***Il COVID-19 e i circuiti del capitale***
Il COVID-19 e i circuiti del capitale.
Di Rob Wallace, Alex Liebman, Luis Fernando Chaves e Rodrick Wallace.
Rob Wallace è Epidemiologo Evolutivo, consulente della FAO e dei CDCP statunitensi (Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie). Alex Liebman è dottorando in Geografia Umana alla Rutgers University con un Master in Agronomia alla University of Minnesota. Luis Fernando Chaves è biologo clinico e Ricercatore Dirigente all’Istituto del Costa Rica per la Ricerca e la Formazione sulla Nutrizione e la Salute a Tres Rios, Costa Rica. Rodrick Wallace è Ricercatore Scientifico nella Divisione Epidemiologica dell’Istituto Psichiatrico della Columbia University.
Ringraziano per i preziosi commenti Kenichi Okamoto.
Traduzione di Chiara Sestili e Daniele Vazquez Pizzi.
Il COVID-19 e i circuiti del capitale.
Di Rob Wallace, Alex Liebman, Luis Fernando Chaves e Rodrick Wallace.
Rob Wallace è Epidemiologo Evolutivo, consulente della FAO e dei CDCP statunitensi (Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie). Alex Liebman è dottorando in Geografia Umana alla Rutgers University con un Master in Agronomia alla University of Minnesota. Luis Fernando Chaves è biologo clinico e Ricercatore Dirigente all’Istituto del Costa Rica per la Ricerca e la Formazione sulla Nutrizione e la Salute a Tres Rios, Costa Rica. Rodrick Wallace è Ricercatore Scientifico nella Divisione Epidemiologica dell’Istituto Psichiatrico della Columbia University.
Ringraziano per i preziosi commenti Kenichi Okamoto.
Traduzione di Chiara Sestili e Daniele Vazquez Pizzi.
Valutazione
Il COVID-19, la malattia causata dal coronavirus SARS-CoV-2, seconda sindrome respiratoria virale acuta apparsa dal 2002, è ora ufficialmente una pandemia. Da fine marzo intere città sono state messe in contenzione e gli ospedali stanno passando, uno dopo l’altro, in codice rosso per l’affollamento dei pazienti.-
La Cina, iniziale focolaio, ora con la contrazione del contagio riprende finalmente fiato [1]. Così come anche la Corea del Sud e Singapore. L’Europa invece, in particolare l’Italia e la Spagna, è già piegata dal numero di decessi nonostante l’epidemia non sia che soltanto all’inizio. Il Sud America e l’Africa iniziano solo ora a registrare un aumento dei casi. In questo contesto, alcuni paesi si preparano meglio di altri. Proprio negli Stati Uniti intanto, storicamente il paese più ricco del mondo, il prossimo futuro si annuncia davvero sinistro. Si stima che l’epidemia non dovrà attendere il picco prima del mese di maggio mentre già i lavoratori del settore sanitario e i pazienti stanno lottando negli ospedali per l’accesso alle ultime forniture di protezione individuali.[2]. Gli infermieri cui i CDC (Centri per il Controllo e la Prevenzione) hanno dato l’insensata indicazione di indossare fazzoletti e sciarpe al posto di maschere, hanno dichiarato che “il sistema è già condannato” [3].
L’amministrazione statunitense nel frattempo continua a promettere ai singoli stati le forniture mediche di base che in principio si era rifiutata di acquistare a livello federale. Ha anche annunciato di rafforzare i controlli alle frontiere come intervento di sanità pubblica mentre il virus si propaga e contagia i più vulnerabili all’interno del paese [4].
Una gruppo di epidemiologi dell’Imperial College ha stimato che la miglior campagna di contenimento – per abbassare la curva prevista di accumulazione dei casi di contagio, mettendo in quarantena quelli accertati e tutelando con il distanziamento gli anziani – non salverebbe comunque gli Stati Uniti da più di un milione di decessi, producendo una richiesta di posti letto in rianimazione otto volte superiore alla disponibilità [5]. La sconfitta della malattia porterebbe la sanità pubblica ancora più avanti verso il modello cinese: la quarantena dei pazienti (e dei loro familiari), il distanziamento sociale diffuso, inclusa la chiusura di tutte le istituzioni pubbliche e di tutti gli uffici pubblici. Tutto ciò farebbe scendere la previsione dei decessi negli Stati Uniti attorno ai 200.000.
Il gruppo dell’Imperial College stima che una campagna di successo per la soppressione del virus richiederebbe almeno diciotto mesi, comportando una contrazione dell’economia e un crollo dei servizi pubblici. Il gruppo ha proposto di bilanciare in base ad un livello prestabilito di soglia critica della disponibilità di posti letto, le esigenze di controllo della malattia e le esigenze dell’economia alternando l’attivazione e disattivazione del contenimento.
Altri statistici sono andati in senso contrario. Un gruppo guidato da Nassim Taleb, conosciuto per la sua teoria del “Black Swan”, dichiara che il modello dell’Imperial College non terrebbe conto del tracciamento del contatto e del monitoraggio porta a porta [6]. Questa obiezione, a sua volta, non contempla il fatto che l’epidemia sia già andata molto oltre la capacità dei governi di stabilire un cordone sanitario. Sarà soltanto quando l’epidemia inizierà il suo declino in molti paesi che vedremo certe misure come un test efficiente e accurato. Come è stato detto: ”Il coronavirus è troppo radicale, all’America occorre un virus più moderato al quale si possa rispondere in modo più graduale” [7]
Il gruppo Taleb accusa il gruppo dell’Imperial College di non voler indagare in quali condizioni il virus possa essere davvero sconfitto. Sconfiggerlo non significa certo “zero casi”, ma non permettergli di dare inizio nuovamente ai contagi.
Solo il 5% dei soggetti in contatto con un caso in Cina sono stati successivamente infettati. Inoltre il gruppo di Taleb propende per un programma di soppressione del virus sul modello cinese, abbastanza veloce da sconfiggere la pandemia senza intraprendere una lunga lotta tra il controllo della malattia e la disponibilità di forza- lavoro per l’economia. In altre parole, l’approccio radicale cinese -con grande dispiegamento di risorse libererebbe la popolazione da mesi – se non anni - di contenimento nei quali il gruppo dell’Imperial College raccomanderebbe invece agli altri paesi di restare.
Il matematico ed epidemiologo Rodrick Wallace, tra i redattori di questo saggio, ribalta interamente il modello. Infatti, i modelli approntati fino ad ora per le emergenze, comunque sempre necessari, perdono di vista quando e dove iniziare. Le cause strutturali sono anch’esse parte integrante dell’emergenza. Includerle ci aiuta a prevedere come meglio rispondere all’emergenza superando la tesi di una restaurazione tout court della stessa economia che ha prodotto il danno.
“Se ai pompieri sono date abbastanza risorse”, scrive Wallace, “in normali condizioni, la maggior parte degli incendi, possono spesso essere contenuti con il minimo di perdite e distruzioni. Quel contenimento si realizza meglio con un’impresa più eroica che romantica. Assicurando la vigilanza del fuoco, la messa in sicurezza degli ambienti e la disponibilità di risorse per la protezione per tutti a tutti i livelli, basterebbe un intervento costante che limiti il rischio degli edifici pericolosi attraverso un codice per il consolidamento strutturale e i nuovi progetti urbanistici. Così è anche per le infezioni pandemiche: le attuali strutture politiche permettono alle imprese agricole multinazionali di internalizzare i profitti mentre ne esternalizzano i costi scaricandoli sul pubblico. In tale contesto le multinazionali dovrebbero essere soggette a un “codice di condotta” che re-internalizzi i costi nel caso siano responsabili della malattia per evitare che si ripeta nel prossimo futuro [8]
Il fallimento delle politiche di contenimento non è iniziato a dicembre quando i paesi del mondo non sono stati in grado di rispondere adeguatamente alla diffusione del COVID-19 fuori da Wuhan. Negli Stati Uniti, più precisamente, non è iniziato quando Donald Trump ha smantellato il gruppo di preparazione alla pandemia in seno al consiglio nazionale di sicurezza o quando ha lasciato vacanti settecento posti nei CDC (Centri per il Controllo e la Prevenzione) [9]. Non è iniziato nemmeno quando l’Amministrazione Federale è stata incapace di intervenire nonostante i risultati di una simulazione pandemica nel 2017 mostrassero quanto il paese fosse impreparato [10]. Né quando, come dichiarato in un titolo della Reuters, gli USA “hanno licenziato un esperto dei CDC in Cina, mesi prima dello scoppio del virus”, nonostante un esperto a contatto diretto con il territorio cinese avrebbe potuto aiutare la risposta statunitense.
Ancora: non è iniziato neanche con la sciagurata decisione di non utilizzare i kit per i test già disponibili forniti dall’OMS. Tutti questi fattori, assieme ai ritardi sulle prime informative e alla totale inefficienza nel condurre i test, saranno indubbiamente responsabili di molte, probabilmente migliaia, perdite di vita.[11]
Il fallimento è stato programmato decenni fa quando la sanità pubblica è stata allo stesso tempo dimenticata e monetizzata [12]. Un paese individualista in tempo di pandemia è una totale contraddizione con a malapena abbastanza posti-letti e forniture sanitarie di base, per definizione incapace di gestire le risorse necessarie a raggiungere un risultato di soppressione del virus sul modello cinese.
Valutando in termini più esplicitamente politici il punto di vista del gruppo di Taleb e i loro modelli strategici, il biologo clinico Luis Fernando Chaves, anch’egli co-autore di questo saggio, si trova d’accordo con i biologi dialettici Richard Levins e Richard Lewonti nell’affermare che “limitarsi a far parlare i numeri” maschera soltanto tutti i presupposti pregressi. [13]. I modelli presenti nello studio dell’Imperial College si limitano esplicitamente al campo dell’analisi di questioni approssimativamente ritagliate all’interno dell’ordine sociale dominante. Tralasciano deliberatamente l’individuazione delle più ampie forze di mercato che stanno dietro all’epidemia e a decisioni e provvedimenti politici. Consapevolmente o meno, le proiezioni risultanti mettono in secondo piano l’assicurazione della sanità per tutti, in particolare le migliaia di persone più vulnerabili e a rischio decesso, facendo oscillare il paese tra il controllo dell’epidemia e gli interessi economici. La visione foucaldiana di uno stato che agisce su una popolazione nel suo proprio interesse rappresenta solo un aggiornamento, per quanto più benevolo, dell’atteggiamento Malthusiano dell’’“immunità di gregge” che il governo Tory Britannico e ora quello olandese hanno mostrrato – lasciando il virus contagiare senza ostacoli la popolazione- [14]. Ci sono poche prove, oltre la sola presunzione ideologica, che l’“l’immunità di gregge” possa garantire di fermare un’epidemia. Il virus potrebbe, infatti, rapidamente evolvere al di sotto della copertura immunitaria del “gregge” stesso.
Intervento
Cosa dovrebbe invece essere fatto? In primo luogo abbiamo bisogno di comprendere che, pur affrontando adeguatamente l’epidemia, saremmo comunque ancora impegnati a fronteggiare sia l’emergenza che il pericolo. Dobbiamo nazionalizzare gli ospedali come ha fatto la Spagna [15]. Occorre intensificare i test in quantità e frequenza come ha fatto il Senegal. [16]- Dobbiamo socializzare i farmaci. [17] È urgente rafforzare al massimo le protezioni per il personale medico in modo da rallentarne il contagio. Dobbiamo assicurare il diritto al riuso dei respiratori e di altri macchinari sanitari. [18] Dobbiamo dar vita a una produzione di massa di cocktail antivirali come il Remdesivir e il buon vecchio antimalarico “Clorochina” (e qualsiasi altro farmaco che risulti promettente). Mentre queste cure lavoreranno nell’immediato noi condurremo nei laboratori test clinici e ricerca [19]. Un sistema pianificato dovrebbe essere implementato da: (1) forzare le imprese a produrre i respiratori necessari e le forniture sanitarie di protezione richieste dai lavoratori del settore (2) dare priorità alle zone maggiormente colpite.
Dobbiamo organizzare dei potenti corpi d’intervento sulla pandemia che costituiscano la forza-lavoro – dalla ricerca alla cura- all’altezza della sfida che questo virus (così come altri eventuali patogeni) ci sta ponendo. Rispondere alla casistica con un numero di posti in terapia intensiva, personale e forniture necessari a colmare le attuali carenze. In altre parole, non possiamo accettare l’idea della mera sopravvivenza all’attacco in corso del COVID-19, solo per poi continuare con le misure di tracciamento del contatto e di contenimento della popolazione come soluzione per riportare ogni volta la pandemia sotto la soglia di pericolo. Dobbiamo reclutare abbastanza personale per identificare subito il COVID-19 casa per casa ed equipaggiarlo con i necessari dispositivi di protezione, tra cui maschere adeguate. Durante questo percorso dobbiamo sospendere questa società basata sull’esproprio, sulla proprietà privata e le sanzioni economiche internazionali, così che le popolazioni possano sopravvivere sia alla malattia che alla sua cura.
Tuttavia, prima che un simile programma possa essere completato, la maggior parte della popolazione resterebbe abbandonata. Mentre una pressione continuata deve essere esercitata sui governi recalcitranti, dobbiamo indietro di centocinquanta anni allo spirito, ormai largamente dimenticato, dell’organizzazione proletaria, e coinvolgere le persone comuni che sono in grado di mobilitarsi per unirsi in gruppi di mutuo aiuto e in brigate di quartiere. [20]
Le organizzazioni dei lavoratori dovrebbero individuare il personale professionale della sanità pubblica che istruisca questi gruppi e brigate ad agire in modo che evitino inutili gesti di gentilezza pericolosi per la diffusione del virus.
Se continuiamo ad insistere sulle origini strutturali del virus mentre pianifichiamo l’emergenza è perché vogliamo dare una chiave di lettura per mettere la protezione delle persone prima dei profitti.
Uno dei tanti pericoli sta nel normalizzare “la follia totale” (gioco di parole: “batshit crazy”) attualmente in corso, una stravagante coincidenza di significato, per così dire “serendipico”, con la malattia – proverbialmente “merda di pipistrello nei polmoni”. Occorre superare lo shock causato dall’apprendere che un altro Virus SARS era riapparso fuori dal suo rifugio selvatico e nel giro di otto settimane aveva raggiunto tutta l’umanità [21]. Il virus è apparso a Wuhan in Cina, nel terminal della filiera di una linea regionale di scorte di cibi selvatici ed esotici, compiendo con successo i salti nella catena infettiva fino al livello finale di contagio umano-umano. [22]. Da lì, l’epidemia si è diffusa localmente per poi salire e viaggiare su treni e aeroplani, diffondendosi ulteriormente attraverso il globo attraverso i viaggi in una struttura a rete di connessioni che ha seguito una gerarchia di scala a scendere: dalle città più grandi a quelle più piccole.[23]
Più che descrivere il cibo selvatico del mercato tipico orientale, pochi sforzi sono stati fatti per descrivere la più ovvia delle questioni. Come è arrivato il settore del cibo selvatico ed esotico a vendere le proprie merci accanto a forniture più ordinarie nel più grande mercato di Wuhan? Il cibo selvatico non veniva certo venduto di nascosto dal retro di un camion o nei vicoletti,- pensate ai permessi che occorre ottenere e ai relativi pagamenti ( deregolamentati) che comportano [24]. Nelle pescherie del mondo il cibo selvatico è un settore sempre più formalizzato, sempre più capitalizzato dagli stessi centri che sostengono la produzione industriale [25]. Anche se il volume di questi non è assolutamente paragonabile, la distinzione tra i due settori produttivi tende sempre più a svanire.
Questa geografia economica presenta delle sovrapposizioni che si estendono dal mercato di Wuhan all’entroterra dove l’alimentazione animale sia selvatica che ordinaria è prodotta ormai al limite di uno spazio naturale contratto. [26]
Come la produzione industriale sconfina sottraendo terreno alla foresta, le operazioni di raffinazione del cibo selvatico devono migliorare per renderlo sempre più delizioso e per conquistare il mercato all’aperto fino all’ultimo banco. Come risultato, il più esotico dei patogeni, in questo caso il SARS-2 ospitato nei pipistrelli, trova la sua via di trasporto su un camion, sia come animale destinato alla raffinazione sia nei lavoratori che li sorvegliano e come un colpo di fucile percorre il circuito periurbano prima di arrivare sulla scena mondiale. [27]
Infiltrazione
La connessione di tutti questi fattori comporta un’elaborazione ulteriore per poter pianificare la sconfitta di questa epidemia: comprendere quanto l’umanità sia stata indotta a cadere in una simile trappola.
Alcuni patogeni provengono direttamente dai centri della produzione capitalista, pensiamo ad esempio a batteri di origine alimentare come la Salmonella e il Campylobacter . Invece altri come il COVID-19 provengono da aree più periferiche. Infatti, almeno il 60% dei nuovi patogeni umani hanno origine dal passaggio dagli animali selvatici alle comunità locali umane (fino a che i più resistenti si diffondono al resto del mondo) [28].
Numerosi esperti nel settore della eco-sanità, alcuni finanziati in parte da Colgate-Palmolive e Johnson&Johnson, multinazionali che stanno superando violentemente i limiti della sostenibilità dell’agro business responsabile della deforestazione, hanno prodotto una mappa globale basata sulle precedenti epidemie fin dal 1940. Con tali mappe si sono posti l’obiettivo di individuare dove i nuovi patogeni con più probabilità possono emergere e iniziare a propagarsi [29]. Se il colore in un’area della mappa è caldo, con più probabilità un nuovo patogeno potrebbe emergervi. Ma nel considerare tali geografie come assolute, questo gruppo di studio con le loro mappe - colore caldo in Cina, India, Indonesia e parti del Sud America e dell’Africa- ha trascurato un fattore essenziale. Mettendo a fuoco le zone epidemiche classiche ha ignorato i rapporti tra gli attori dell’economia globale che formano il contesto delle epidemiologie. Gli interessi del capitale finanziando la crescita – e quindi la produzione- e imponendo cambiamenti strutturali come contropartita alle aree povere del globo nell’uso della terra e nella gestione dell’emergenza, sono responsabili delle epidemie tra le popolazioni indigene e delle loro pratiche culturali giudicate così maledettamente “sporche”.[31] La raffinazione della selvaggina e le sepolture domestiche sono due pratiche biasimate per l’emersione di nuovi patogeni. Invece, al contrario, correlando le geografie relazionali, immediatamente la questione si rovescia: New York, Londra e Hong Kong, i tre centri finanziarie chiave del capitale globale, sono i tre centri più colpiti dall’esplosione e propagazione dei virus.
Le aree epidemiche non si formano più soltanto da politiche tradizionali. Un iniquo scambio ecologico - scaricando i peggiori danni dall’agricoltura industriale al Sud del globo- è continuato non solo esclusivamente attraverso l’esproprio delle risorse locali da parte degli stati imperialisti ma si è trasformato anche in nuove complesse economie di scala e nuovi mercati [32]
Il business dell’agricoltura sta riconfigurando le sue attività “estrattiviste” in reti spazialmente discontinue su territori a differenti scale. [33]. Una serie di “Repubbliche della Soia” che si appoggiano alle multinazionali, ad esempio, ora spaziano attraverso Bolivia, Paraguay, Argentina e Brasile. La nuova geografia è rappresentata dalle trasformazioni delle strutture manageriali delle imprese, dalla capitalizzazione, dai subappalti, dalle sostituzioni della catene di rifornimento, dalla locazione finanziaria e dall’accorpamento transnazionale di terreni. [34]. Questi “paesi della merce” trasversali alle frontiere nazionali e flessibili tra ecologia e confini politici, stanno producendo le nuove mappe epidemiologiche. [35]
Ad esempio, nonostante un generalizzato spostamento di popolazione dalle aree rurali produttive alle baraccopoli urbane ancora oggi presenti nel globo, il discorso sull’emergenza epidemica porta ancora alla separazione urbano-rurale tralasciando completamente il fatto che il lavoro destinato all’agricoltura trova come suo contesto la rapida crescita e trasformazione delle città rurali in città villaggi “desakotos” periurbani.
Mike Davis e altri hanno individuato come questi nuovi paesaggi in via di urbanizzazione funzionino sia come mercati locali che come centri regionali per il passaggio delle merci agricole globali. [36] Alcune di tali regioni sono addirittura divenute “post-agricole” [37]. Come risultato, le dinamiche delle malattie che provengono dalle foreste, centri classici dei patogeni, non sono più contenute nel solo entroterra. Le epidemiologie loro associate si sono trasformate in “epidemiologie relazionali” che attraversano lo spazio e il tempo. Una SARS può immediatamente passare agli umani della grande città pochi giorni dopo essere uscita dalla tana del pipistrello.
Gli ecosistemi, nei quali questi virus selvatici erano in parte controllati dalla biodiversità della foresta tropicale, sono stati violentemente sconvolti dalla deforestazione portata avanti dal capitale, d’altro canto anche lo sviluppo dello spazio periurbano è stato sconvolto dalla mancanza di sanità pubblica e di sanificazione ambientale. [38] Come risultato, mentre molti patogeni forestali stanno scomparendo con le specie che li ospitano, un sotto-gruppo di infezioni che una volta si estinguevano in modo relativamente veloce, anche solo per un tasso irregolare di incontro con le loro tipiche specie ospitanti, si stanno ora propagando tra la popolazione umana più vulnerabile alle infezioni. Vulnerabilità spesso aggravata nelle città dai programmi di austerità e da una gestione corrotta. Anche in vista di vaccini efficaci, le epidemie risultanti sono caratterizzate da una estensione, durata e “momentum” più ampi. Quelli che un tempo erano fenomeni infettivi locali sono oggi epidemie che setacciano le reti globali dei viaggi e del commercio [39]
Attraverso questo “effetto parallasse” – dovuto al cambiamento dello sfondo ambientale- i vecchi comportamenti di Ebola, Zika, malaria e febbre gialla, a paragone dei nuovi patogeni si evolvono poco e si sono tutti trasformati in pericoli regionali. [40]. I nuovi sono passati invece dalla diffusione immediata agli abitanti dei villaggi più remoti a infettare ora migliaia di persone nelle grandi città. Anche in condizioni ecologiche non così alterate, persino gli animali selvatici, colpiti da tempo immemorabile da queste malattie, ne stanno soffrendo le conseguenze. Le loro popolazioni sono frammentate dalla deforestazione e ad esempio le scimmie native del Nuovo Mondo vulnerabili alla forma selvatica della febbre gialla, alla quale sono state esposte per almeno cento anni, stanno perdendo ora la loro “immunità di gregge” e morendo a centinaia di migliaia.
Espansione
Proprio a causa della loro espansione globale, i prodotti agricoli servono sia come veicolo che come sistema di connessioni attraverso i quali patogeni di diverse origini migrano dal più isolato epicentro al più internazionale dei centri di popolazione [42]. È qui e per questa via che i nuovi patogeni riescono a infiltrarsi anche nelle “gated communities” agricole. Più esteso è il percorso di rifornimenti associato, più grande è l’estensione della deforestazione che ne deriva, più diversificati (ed esotici) saranno i patogeni zoonotici che entrano nella catena alimentare. Tra i recenti patogeni emergenti e riemergenti che provengono dagli allevamenti e dagli alimenti, che hanno origine da cause antropogeniche, vi sono la febbre suina africana, il Campylobacter, Cryptosporidium, Cyclospora, Ebola Reston, Escherichia coli O157:H7, le malattie del piede e della bocca, l’epatite E, la Listeria, il Virus Nipah, la FebbreQ, la Salmonella, la Vibrio, lo Yersinia, e numerose nuove varianti dell’influenzaincluse H1N1 (2009), H1N2v, H3N2v, H5N1, H5N2, H5Nx, H6N1, H7N1, H7N3, H7N7, H7N9, and H9N2 [43].
Anche se involontariamente, l’intera produzione capitalista è organizzata attorno a pratiche che accelerano l’evoluzione della virulenza dei patogeni e la conseguente trasmissione [44].L’incremento delle monocolture genetiche – cibi animali e piante con genomi quasi identici – abbassa le specifiche difese immunitarie presenti nelle diverse popolazioni, in grado di rallentare i contagi.[45]. I patogeni ora possono velocemente evolvere attorno ai genotipi dell’ospitante immune abituale. Inoltre, condizioni affollate deprimono la risposta immunitaria. [46]. Le dimensioni delle popolazioni animali nelle grandi aziende agricole e la densità degli allevamenti intensivi facilitano smisuratamente il contagio e la ricorrenza dell’infezione. [47] L’alta produttività, parte di qualsiasi produzione industriale, provvede a un continuo rinnovo della fornitura di popolazioni animali vulnerabili al contagio nelle stalle, nelle aziende e a livelli regionali, togliendo ogni limite alla mortalità del patogeno. [48]. Far coabitare un gran numero di animali favorisce quei ceppi che possono contagiarli meglio. Abbassare l’età della macellazione - a sei settimane nei polli – è come selezionare patogeni in grado di sopravvivere a sistemi immunitari più robusti. [49]. L’ampliamento dell’estensione geografica del commercio e dell’esportazione di animali vivi ha incrementato la diversità di segmenti genomici e lo scambio dei patogeni loro associati, aumentando il tasso di probabilità al quale gli agenti epidemici esplorano le loro possibilità evolutive. [50].
Mentre l’evoluzione del patogeno corre velocemente in tutte queste direzioni, s’interviene poco o niente persino qualora richiesto dalla stessa impresa: si preferisce mettere in sicurezza ciò che è necessario per salvare ogni margine fiscale trimestrale dall’improvvisa emergenza di un’epidemia. [51] La tendenza è quelle di limitare le ispezioni governative degli allevamenti e degli impianti di lavorazione e di giungere a una legislazione sfavorevole alla sorveglianza governativa, alle inchieste degli attivisti e al diritto di informazione anche nei casi in cui l’epidemia sia mortale. Nonostante recenti vittorie in tribunale contro i pesticidi e l’inquinamento da allevamento suino, il controllo governativo sulla produzione privata resta interamente focalizzato sul profitto. E i costi causati dalle conseguenti epidemie, come se fosse materia di priorità nazionale, sono esternalizzati sul bestiame, sul raccolto, sulla selvaggina, sui lavoratori, sui governi locali e nazionali, sui sistemi sanitari pubblici e gli agrosistemi alternativi all’estero. Negli USA, sono gli stessi CDC (Centri di Controllo e Prevenzione) che riferiscono che le epidemie di origine alimentare stanno impattando in un numero sempre maggiore di stati e infettando un numero sempre maggiore di persone. [52].
In sintesi, l’alienazione provocata dal capitale sta giocando in favore dei patogeni. Mentre l’interesse pubblico è lasciato fuori dagli allevamenti e dai cancelli delle produzioni alimentari, i patogeni dissestano le misure di bio-sicurezza: l’industria fa finta di internalizzarne i costi, facendosi poi risarcire dal pubblico. Ogni giorno, la produzione capitalista produce rischi mortali che si rivelano essere un ripugnante affare che divora i nostri beni pubblici sanitari.
Liberazione
C’è un’ironia rivelatrice a New York, una delle più grandi città del mondo in contenimento per il COVID-19, in un emisfero lontano dalle origini del virus: milioni di newyorkesi si stanno nascondendo in appartamenti controllati finanziariamente fino a non poco fa da una certa Alicia Glen, che fino al 2018 è stata la rappresentante del sindaco responsabile per le abitazioni e lo sviluppo economico. [53] Glen è una ex manager della Goldman Sachs che sovrintendeva agli investimenti del Gruppo Aziendale per i Fondi Urbani e al finanziamento dei progetti pensati per tipologie di comunità che altri settori della stessa multinazionale scartavano immediatamente. [54]
Glen, sicuramente, non è in alcun modo da incolpare per l’epidemia, ma è più un simbolo di una relazione tra epidemia e politiche urbane che colpisce fin dentro le abitazioni. Tre anni prima che il comune la assumesse per la crisi delle abitazioni e la Grande Recessione che esso stesso aveva contribuito a creare, il suo ex datore di lavoro, assieme a JPMorgan, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo & Co, e Morgan Stanley, ha incassato il 63% dei fondi federali per l’emergenza abitativa [55].
Goldman Sachs, disinvestendo dall’immobiliare, ha diversificato le sue partecipazioni fuori dai settori in crisi. Goldman Sachs ha preso il 60% delle quote finanziarie della Shuanghui Investimenti e Sviluppo, parte del gigante cinese dell’agribusiness che ha comprato Smithfield-Food negli USA , la più grande produzione di prodotti suini nel mondo. [56] Per 300 Milioni di Dollari, ha sbaragliato ripetutamente la concorrenza di dieci aziende di pollame a Fujian e Hunan, una provincia non lontana da Wuhan e ben collocata all’interno dell’area di caccia della selvaggina della città [57]. Ha investito ulteriori 300 milioni di dollari assieme alla Deutsche Bank per l’allevamento di maiali nelle stesse province [58].
Le geografie relazionali appena esplorate hanno avuto un andamento circolare. Infatti, non solo attualmente la pandemia fa ammalare gli abitanti di tutta New York, il più grande epicentro americano del COVID-19, abitazione per abitazione, nelle circoscrizioni elettorali di Glen. Ma occorre anche tenere bene a mente che il circuito di concause dell’epidemia ha avuto proprio inizio a New York per poi estendersi a Wuhan. E questo anche se gli investimenti della Goldman Sachs appaiono solo come una piccola parte rispetto alla vastità dell’agricoltura cinese. Le accuse nazionalistiche razziste sul “Virus Cinese” di Trump e di tutto il continuum liberale oscura gli intrecci globali dei consigli direttivi dello stato e del capitale [59]. Karl Marx li ha chiamati “fratelli nemici” [60]. Molti lavoratori sono morti, altri hanno subito danni sul campo di battaglia, prima nell’economia e ora dai loro divani lottano per rendere pubblica questa competizione tra le élite per accaparrarsi le risorse naturali in esaurimento, i sistemi con cui le spartiscono tra loro e gli intrighi per dividere l’umanità e catturarla letteralmente in queste macchinazioni.
Infatti, una pandemia che viene dal modo di produzione capitalista è ovvio che venga gestita dallo stato, in quanto offre una opportunità sulla quale i burocrati del sistema e i loro beneficiari possano prosperare. A metà febbraio, cinque Senatori e venti Deputati hanno liquidato azioni da loro possedute per milioni di dollari nei settori che verosimilmente erano a rischio a causa della pandemia in arrivo [61] I politici hanno basato questa operazione sull’intelligence privata, anche se alcuni dei loro rappresentanti continuavano a ripetere pubblicamente che la pandemia non avrebbe comportato un grande rischio. Assieme a queste volgari rapine, la corruzione da parte dello stato è sistematica, un segno della fine del ciclo di accumulazione di capitale statunitense, quando tutto il capitale viene incassato.
Al confronto c’è qualcosa di davvero anacronistico nel pretendere di continuare ad accumulare capitale anche se questo è ancora organizzato sulla reificazione finanziaria delle realtà ecologiche primarie (e delle epidemiologie correlate) . Per Goldman Sachs ad esempio, la pandemia, come la crisi precedente, continua ad offrire ancora “spazio per crescere”.
“Noi condividiamo l’ottimismo di numerosi esperti e ricercatori di vaccini nelle aziende biotech basate sull’eccellente progresso che è stato fatto in numerose terapie da tempo. Crediamo che la paura si mitigherà alla prima significativa prova di tale progresso…
Provare a vendere per un obiettivo minore è svantaggioso se si ha ben presente un obiettivo finale più alto, può semmai convenire agli operatori di borsa che investono giorno per giorno inseguendo l’occasione o ad alcuni manager di fondi speculativi, ma non agli investitori di lungo termine.
Ugualmente, non ci sono prove che il mercato possa raggiungere livelli così bassi per giustificare una vendita oggi. Noi siamo fiduciosi nel fatto che il mercato raggiungerà invece obiettivi più alti vista la resilienza e la preminenza dell’economia statunitense.
E, infine, noi crediamo che i livelli attuali costituiscano solo una opportunità per accrescere più lentamente i livelli di rischio del portafoglio azionario.
Per quelli che vogliono invece, che hanno gran di disponibilità di capitale, che hanno una forte stabilità, crediamo che con la giusta allocazione degli assetti strategici, questo sia il momento giusto per accrescere incrementalmente le azioni Standard&Poor” [62]
Inorridita dalla carneficina in corso, la popolazione mondiale è arrivata a conclusioni del tutto diverse [63]. I circuiti del capitale che i patogeni fanno rischiarare come fossero radioattivi sono ormai smascherati uno dopo l’altro senza scrupoli.
Come rappresentare questi sistemi che sono molto oltre a situazioni episodiche e circostanziate? Il nostro gruppo è coinvolto nella ricerca di un modello che sorpassi la moderna medicina coloniale fondata sulla eco-salute e sull’approccio olistico della “One Health” che continua ad accusare le popolazioni indigene e i piccoli agricoltori per la deforestazione e che porta all’emergenza delle malattie mortali. [64]-
La nostra teoria critica generale sull’emergenza sanitaria neoliberale, inclusa sì, anche la Cina, combina:
- I circuiti globali del capitale
- Il modo con cui il capitale si manifesta per distruggere la complessità ambientale regionale e con cui tiene sotto controllo la crescita delle popolazioni di patogeni virulenti di cui è responsabile.
- Il risultante incremento dei tassi e dell’ampiezza tassonomica degli eventi di contagio.
- L’espansione periurbana dei circuiti percorsi dalle merci che veicolano i patogeni colpendo il bestiame e i lavoratori, dall’entroterra più profondo alle città regionali.
- L’estensione delle reti di viaggio globali (e di commercio di bestiame) attraverso le quali i patogeni vengono veicolati dalle città regionali al resto del mondo in tempi record.
- I modi in cui questi network abbassano i livelli di resistenza al contagio, selezionano i patogeni mortali più grandi sia nel bestiame che nella popolazione e li fanno evolvere.
E oltre ai punti appena esposti, l’insufficiente riproduzione naturale del bestiame industriale che rimuove la selezione naturale come servizio dell’ecosistema in tempo reale (e quasi a costo zero) all’immunità. La nostra premessa critica sottesa è che la causa del COVID-19 e di altri simili patogeni non stia tanto nella loro origine o luogo di origine e nel suo andamento clinico, ma soprattutto nel campo delle relazioni ecosistemiche che il capitale e altre cause strutturali hanno prodotto per il proprio vantaggio [65].
L’ampia varietà di patogeni rappresentata dalle numerose tassonomie, dai numerosi ospiti-sorgente, dalle numerose modalità di contagio, dai numerosi andamenti clinici, dai numerosi risultati epidemiologici, tutti aspetti che ci spingono a correre allucinati a consultare i nostri motori di ricerca, passano sempre attraverso le diverse aree e i diversi percorsi degli stessi circuiti di uso della terra e accumulazione del valore. Un programma generale di intervento deve allora correre in parallelo e anticipare un determinato virus.
Per evitare scenari ancora peggiori rispetto a quelli che si stanno materializzando, la disalienazione offre la possibilità per la prossima grande transizione umana: abbandonare le ideologie coloniali, reintrodurre l’umanità nei cicli di rigenerazione della Terra e riscoprire la nostra capacità di riconoscerci individualmente in moltitudini oltre il capitale e lo stato [66]. L’economicismo, l’abitudine a credere che ogni causa sia soltanto economica, non ci porterà sufficientemente alla liberazione. Il capitalismo globale è una hydra a più teste che divora, internalizza e disciplina molteplici piani delle relazioni sociali. [67] Il capitalismo lavora attraverso diversi complessi livelli interconnessi per razza, classe e genere al fine di produrre regimi regionali del valore, luogo per luogo.
Con il rischio di accettare le indicazioni di ciò che Donna Haraway ha liquidato come “storia della salvezza” – “possiamo disinnescare la bomba in tempo?” – la disalienazione può smantellare tali gerarchie stratificate di oppressione e le modalità locali attraverso cui interagiscono con l’accumulazione. [68]. Occorre fuoriuscire dalle appropriazioni intensive del capitale attraverso materialismi produttivi, sociali e simbolici. [69]. Tutto questo ci porta fuori dal totalitarismo. Il capitalismo mercifica ogni cosa - dall’esplorazione di Marte all’andare a dormire, dalle lagune di litio alle riparazioni dei respiratori, fino alla stessa sostenibilità e ancora e ancora potremmo andare avanti nell’elenco. Tutte permutazioni che sono oltre la fabbrica e l’agricoltura industriale. Quasi tutto, ciascuno, ovunque è soggetto al mercato, che, non potrebbe essere più chiaro, in un’epoca come questa si è progressivamente antropomorfizzato a causa delle politiche neoliberali. [70]
In breve, un intervento di successo che ostacoli tutti questi patogeni che si inseriscono nei circuiti agroeconomici dall’uccidere un miliardo di persone deve passare attraverso uno scontro globale con il capitale e i suoi rappresentanti locali. Tuttavia questa fanteria della borghesia, e Glen è tra questi, tentano continuamente di attenuare il danno. Come il nostro gruppo ha descritto in alcuni dei nostri ultimi lavori, l’agribusiness è una guerra per la sanità pubblica. [71] E la sanità pubblica si sta perdendo irrimediabilmente.
Può l’intera umanità vincere un conflitto così generazionale, possiamo reintrodurre noi stessi in un metabolismo planetario che, pur esprimendosi differentemente di luogo in luogo- riconnetta le nostre ecologie e le nostre economie? [72] Questi discorsi sono più che materia di utopia. Nel praticarli, convergiamo verso soluzioni immediate. Occorre proteggere la complessità delle foreste che trattengono i patogeni mortali dall’infettare a colpo sicuro il network di viaggi del globo [73]. Occorre introdurre le diversità dei bestiami e delle colture e reintegrare allevamenti di animali e coltivazioni su scale più sostenibili che trattengano i patogeni dall’accrescersi in virulenza a dall’estendersi geograficamente. [74] Occorre permettere ai nostri animali destinati alla nutrizione di riprodursi naturalmente, riiniziando una selezione naturale che consenta un’evoluzione immunitaria e il tracciamento dei patogeni in tempo reale. È un grande disegno, ma è tempo di fermarci e smettere di minacciare la natura e le comunità così abbondanti di tutto ciò che ci occorre per sopravvivere, quasi ci sentissimo un altro competitore da estromettere dal mercato.
La fuoriuscita dai circuiti del capitale non è per nulla semplice così come non lo è la nascita di un mondo (o forse un ritorno alla Terra). Questa fuoriuscita aiuterà anche a risolvere – rimboccandoci le maniche – molti dei nostri più pressanti problemi. Nessuno di noi, nei nostri salotti a New York, a Pechino, o peggio, piangendo i nostri morti, vuole passare di nuovo attraverso una simile epidemia. Sì, le malattie infettive, la più grande causa di mortalità prematura nella storia dell’umanità, rimarranno una minaccia. Tuttavia, considerato il bestiario di patogeni ora in circolazione che si diffondono ormai quasi annualmente in modo sempre peggiore, noi verosimilmente stiamo affrontando una pandemia mortale in tempi molto più veloci di quelli di cento anni fa, dal 1918. Potremo finalmente trasformare le modalità con le quali ci rapportiamo alla natura e arrivare a qualcosa di più che una tregua con le infezioni?
Note
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Credits immagini Archivio Meraki:
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6) Vjenceslav Richter, “Rilievometro (dettaglio)”, 1969, Zagabria, Museo Arte Contemporanea.
7) François Morellet, “Ripartizione aleatoria di 40000 quadrati che seguono le cifre pari e dispari di un elenco telefonico 50% blu 50% rosso”, 1963, Centre Pompidou, Parigi.
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