***LA DITTATURA DELLE PROLETARIE***

PARTE III

FETICISMO DELLE MERCI E FEMMINISMO PROLETARIO (I)

La teoria del feticismo delle merci di Marx va superata e criticata da una prospettiva femminista proletaria, perché è un grande errore credere che il lavoro di produzione e riproduzione complessivo e combinato che si autonomizza dalle produttrici e riproduttrici si ripresenti dinnanzi a loro come una potenza estranea e ostile. Ed è proprio per questo motivo che una delle forme del potere femminile borghese più violento è in grado di occultarsi e di esercitarsi subdolamente sulle femmine proletarie attraverso una seduzione e fascinazione continue. Marx nei Manoscritti del 1844 scrive: “L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea”. Ora poiché la forza lavoro femminile proletaria produce e riproduce ed è sfruttata due volte, le argomentazioni di Marx non sono sufficienti.

***LA DITTATURA DELLE PROLETARIE***

PARTE III

FETICISMO DELLE MERCI E FEMMINISMO PROLETARIO

(I)

La teoria del feticismo delle merci di Marx va superata e criticata da una prospettiva femminista proletaria, perché è un grande errore credere che il lavoro di produzione e riproduzione complessivo e combinato che si autonomizza dalle produttrici e riproduttrici si ripresenti dinnanzi a loro come una potenza estranea e ostile. Ed è proprio per questo motivo che una delle forme del potere femminile borghese più violento è in grado di occultarsi e di esercitarsi subdolamente sulle femmine proletarie attraverso una seduzione e fascinazione continue. Marx nei Manoscritti del 1844 scrive: “L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea”. Ora poiché la forza lavoro femminile proletaria produce e riproduce ed è sfruttata due volte, le argomentazioni di Marx non sono sufficienti. In quanto produce, il lavoro complessivo delle femmine proletarie si autonomizza e gli si ripresenta innanzi come “seconda natura” e non come potenza estranea. In quanto “seconda natura” si tratta di una potenza “artificiale” estremamente seduttiva. In quanto “seconda natura” il lavoro complessivo delle femmine proletarie autonomizzzato è la stessa matrice in cui la femmina proletaria vive, dagli spazi domestici a quelli del consumo, dagli stessi dispositivi e macchine con cui comunica e lavora fino all’abbigliamento e alla cosmesi, etc. Non cadiamo nel tranello di chiamarla “natura” pur se il nominarla a questo modo farebbe saltare la dicotomia “natura” e “contronatura”, disvelando quanto la prima non sia che la restituzione del rapporto sociale tra produttrici e lavoro complessivo e le seconda tra produttrici e non-lavoro complessivo, quindi, ad ogni modo, rapporti sociali storicamente determinati e non certo qualcosa dato una volta per sempre da inesistenti “codici della natura”. Non la chiameremo “natura” perché per quanto la matrice in cui la femmina proletaria vive è percepita come “naturale”, “abitudine” e “paesaggio quotidiano” ella sa benissimo che si tratta del prodotto del lavoro combinato, l’unico problema è che non si pone la questione se sia il prodotto di un lavoro combinato che preveda anche il suo, anche qualora non lavorasse, perché una femmina proletaria lavora SEMPRE. Ella sa benissimo che qualcuna ha lavorato per quella matrice solo che lo specchio non le restituisce la sua immagine, ella è trasparente e si pensa nella matrice esclusivamente come consumatrice, o nel migliore dei casi, come ladra, occasionale o meno. Intuisce, perché ne è sedotta e ricorre spesso al piccolo furto, ma non comprende del tutto che le merci appartengono alle femmine proletarie gratuitamente, che il lusso e la lussuria che esse ispirano, tanto propagandate dallo spettacolo della vita asssociata, sono un suo diritto inalienabile.

(II)

Inoltre, la femmina proletaria che riproduce la prole, la vede autonomizzarsi innanzi come una potenza cui occorre per la propria sopravvivenza il suo lavoro di cura. La prole coinvolge tutta la sfera dell’affettività e in quanto tale può essere tanto vicina e sentita quanto estranea e ostile. Tale potenza autonomizzata può dominare la femmina proletaria tanto da generare rifiuto o può sincronizzarsi con lei tanto da generare desiderabilità. Quando diciamo riproduzione non ci limitiamo a sostenere che la femmina proletaria riproduce semplicemente prole, la riproduzione riguarda tutta l’attività di cura necessaria cui occorre alla prole per raggiungere la piena autonomizzazione. Per troppo tempo il lavoro di cura è stato demandato alle femmine proletarie, costringendole a un doppio lavoro, quello di produttrici e quello di riproduttrici, lavoro salariato e lavoro di cura non pagato. Solo le conquiste del movimento femminista hanno costretto i maschi proletari ad occuparsi anche dell’attività di cura, ma anche in questo caso non sarà pagato. Inoltre una femmina proletaria che non si riproduce subisce uno stigma colpevolizzante da parte del patriarcato per essere una femmina che non ha completamente realizzato sé stessa in quanto femmina biologica. Il patriarcato soggettivizza le femmine proletarie che non si riproducono come femmine mancate, mentre le femmine proletarie per ottenere l’unità delle propria guerra di classe devono rifiutare per principio di essere considerate forza lavoro riproduttrice e SCEGLIERE quale forma di autodeterminazione ritengono per sé stesse più desiderabile. Essere delle femmine che hanno SCELTO di riprodursi non garantisce loro in alcun modo di essersi autodeterminate in modo superiore a chi ha scelto altri percorsi di autodeterminazione. L’autodeterminazione è il fine, il mezzo non ha alcuna importanza. Dunque, tutte le femmine che non si sono riprodotte subiscono una doppia oppressione: in quanto femmine proletarie e in quanto soggettivizzate come colpevoli di essere femmine biologiche mancate. In questo senso se le femmine proletarie che si riproducono fanno un doppio lavoro imposto dal patriarcato, le femmine che non si riproducono subiscono una doppia oppressione patriarcale. In ogni caso, siamo dinnanzi a una forma di feticismo della merce che Marx non aveva previsto. In quanto in un caso è occultato il lavoro di cura nello spazio domestico, anche qualora dovesse essere diviso con i maschi proletari, nell’altro è occultata l’oppressione violenta contro le femmine proletarie che non si riproducono. Se nel lavoro di produzione il risultato sono prodotti che nella circolazione diventano merci, nel lavoro di riproduzione il risultato è prole che pienamente autonomizzata diventa forza lavoro. Ora sappiamo che la forza lavoro è una merce di tipo particolare, soggetta a una compravendita che si scambia su un mercato, dunque alla prole occorre cura per divenire-merce sul mercato del lavoro. La prole in quanto futura forza lavoro è merce in potenza. Se parliamo di feticismo delle merci per quanto riguarda anche il lavoro di riproduzione e di cura è perché alle femmine proletarie si mente dicendole che la loro finalità sia quella biologica e non quella che si produce vincendo il conflitto per la propria autodeterminazione. LA PROLE NON FA LA FEMMINA PROLETARIA, ciò che fa la femmina proletaria è la sua oppressione in quanto femmina ricondotta continuamente alle sue prerogative biologiche di produttrice di prole, cui può e deve ribellarsi. Ciò che è occultato in questo feticismo delle merci è che la prole in quanto merce-in-potenza sia un attributo inalienabile della femmina proletaria, quando esso può e deve esser solo il prodotto di una LIBERA SCELTA, di una delle tante forme di autodeterminazione delle femmine proletarie. Inoltre, la cura è demandata non solo alla femmina proletaria che ha scelto di riprodursi, ma anche all’istruzione pubblica. La prole merce-in-potenza si presenta anche come lavoro di riproduzione e di cura combinato, quand’essa entra nel sistema di assistenza, istruzione ed educazione pubblico. Quindi perché l’intera cura non dovrebbe essere pubblica? E perché sotto il patriarcato non si paga il lavoro di cura della propria prole e si deve pagare il lavoro di cura della propria prole da parte dell’istruzione pubblica? E per quale ragione, addirittura, esiste una tale un’assurdità come l’istruzione demandata ai privati? In cui la cura della prole è in mano ad estranei che fanno solo i propri interessi economici che non rispondono agli interessi della collettività? Ad ogni modo non saremmo soddisfatti se tutta la cura fosse esclusivamente pubblica e gratuita, perché significherebbe rispettare ancora un’articolazione della vita associata che prevede la famiglia e lo Stato, mentre pretendiamo di più. Pretendiamo l’estinzione della famiglia e dello Stato e la presa in cura totale della prole da parte di soviet pensati appositamente. Che poi una femmina proletaria possa decidere di prendersi parte della cura è una sua LIBERA SCELTA. Oppure che una femmina proletaria senza prole decida di far parte di questi soviet, anch’essa non può che essere solo una sua LIBERA SCELTA. L’insurrezione delle femmine proletarie che hanno deciso di non riprodursi contro l’oppressione del patriarcato sarà addirittura più dura, in quanto dovranno saper liberarsi dalla colpevolizzazione e dall’auto-svalutazione in quanto soggettivizzate come femmine biologiche mancate, rischiando di puntare tutta la propria vita sull’essere forza lavoro di produzione. L’unità delle femmine proletarie sta sia nell’AUTODETERMINARSI, sia NEL RIFIUTO DEL LAVORO SOTTO IL DOMINIO DEL CAPITALE PATRIARCALE.
A questo punto si capirà ulteriormente lo sfruttamento delle femmine borghesi sulle femmine proletarie.
1) Come abbiamo visto, quando maschi hanno cominciato ad accumulare femmine in quanto equivalente generale le hanno trasformate in denaro. Dunque le femmine borghesi che accumulano ricchezza è come se accumulassero non solo il prodotto del lavoro delle femmine proletarie, ma simbolicamente anche femmine-denaro: mettono in scena lo spettacolo indecente dell’accumulo simbolico delle femmine sotto-proletarie (femmine-denaro), le quali per questo motivo sono fattualmente escluse dalla vita associata e simbolicamente “uccidibili”.
2) Le femmine borghesi accumulando ricchezza e mettendo in scena lo spettacolo del lusso e della lussuria più laidi, seducono e affascinano le femmine proletarie costringendole a prender a modello il loro stile di vita. In questo senso il comportamento delle femmine borghesi genera frustrazione e malattia nelle proletarie, oltre a generare un consumo alla portata delle tasche delle seconde necessario all’accumulazione di ricchezza delle prime. Lo sfruttamento in quanto forza-lavoro di produzione delle proletarie evidentemente non bastava.
3) Le femmine borghesi sono mezzi di riproduzione e non forza lavoro di riproduzione, in quanto macchine per produrre non prole, ovvero forza lavoro o merci-in-potenza, ma padroni, i quali non entrano in circolazione e diventano merci, ma entrano in competizione e diventano capitalista collettivo. Le femmine borghesi demandano quasi tutta la cura dei padroni-in-potenza alle femmine proletarie e, in quanto poi l’istruzione è demandata ai privati, scoraggiano le femmine proletarie che le prendono a modello dall’utilizzare il livello intermedio tra privato e soviet, ovvero il pubblico.
4) Le femmine borghesi se non si riproducono hanno la possibilità di sfondare il soffitto di cristallo o dedicarsi ad attività anti-utilitarie senza alcuno stigma, le femmine proletarie hanno come unica chance per evitare lo stigma di puntare tutto sull’essere forza lavoro per non diventare simbolicamente delle femmine-denaro e, quindi, “uccidibili”.

PARTE IV

(III)

Il feticismo delle merci da una prospettiva femminista proletaria disvela anche come in caso di separazione di una femmina proletaria da un maschio proletario e in caso di presa in carico della cura della prole da parte di questa, la richiesta di denaro al maschio proletario non sia che la “cura deficitaria” di questo pagata con un aumento della produttività della sua forza lavoro. Il deficit di cura richiede al maschio proletario un aumento, dunque, di produttività della propria forza lavoro che significa poter trasformare “denaro” nella “cura necessaria” alla femmina proletaria. Tuttavia se questo ha un senso in una vita associata dominata dal patriarcato occorre essere impopolari e ammettere che è lo stesso capitalismo patriarcale a sfruttare da una parte le femmine proletarie che si prendono la maggior parte delle responsabilità del lavoro di cura e dall’altra il maschio proletario che dovrà trasformare il proprio salario in attività di cura immateriale con un aumento di produttività del proprio lavoro. Così se la femmine proletarie trovano una soluzione tampone nell’immediato, dall’altra i loro possibili alleati, una volta riprogrammati, i maschi proletari, sono sfruttati due volte, in quanto forza lavoro che produce e in quanto forza lavoro che produce attività di cura in quanto denaro. Occorre tenersi stretta per ora questa sciocca conquista del femminismo borghese in modo tattico, ma con la forte consapevolezza che l’attività di cura sia delle femmine che dei maschi proletari dovrebbe essere pagata dallo Stato e che in caso di separazione essa dovrebbe continuare ad essere pagata da esso e non scaricata sui maschi proletari. Inoltre i maschi proletari dovrebbero in questo frangente dividersi l’attività di cura pagata dallo Stato con la femmina proletaria. Fin qui siamo nella preistoria patriarcale. IL FUNNY SOVIET sostiene che, con l’estinzione della famiglia, la femmina proletaria possa e debba scegliere se adoperarsi all’attività di cura o meno della propria prole e, in caso di scelta della maternità, essere sostenuta in tutto e per tutto non tanto dal maschio proletario che è biologicamente il padre. Non ci interessa chi sia il padre o meno, la paternità biologica come la maternità biologica non avranno alcuna importanza sotto LA DITTATURA DELLE PROLETARIE, sarà solo la maternità come autodeterminazione che conterà ed essa sarà sostenuta da un sistema di soviet ad hoc. I soviet pensati per il sostegno alla maternità sostituiranno il denaro che deriva dalla forza lavoro produttivamente aumentata del marito, il compagno, il padre da cui si è separata la madre nella famiglia tradizionale, nell’unione civile borghese o comunque nelle relazioni monogame o occasionali della preistoria capitalista patriarcale. L’attività di cura di questi soviet sarà opera soprattutto di maschi proletari, di modo da lasciarci più tempo libero possibile. Dove si trova la ricchezza per finanziare l’attività di cura dei soviet? Semplicissimo: espropriando con la violenza delle femmine proletarie tutta la ricchezza dei maschi e delle femmine borghesi. Ma qui entreremmo in un altro discorso, quello dell’esproprio dei mezzi di produzione e di riproduzione e della ridistribuzione della ricchezza che affronteremo in una parte successiva. Vogliamo invece continuare a puntare dritti su cosa occulti subdolamente il feticismo delle merci da un punto di vista femminista proletario e affronteremo ora la questione della violenza sul corpo e la psiche delle femmine proletarie.

(IV)

Il feticismo delle merci occulta viscidamente anche come dietro la violenza psicologica e fisica sul nostro corpo da parte dei maschi proletari vi siano i maschi e le femmine borghesi. Senza dubbio per le femmine proletarie, i maschi proletari sono più pericolosi dei maschi borghesi, in quanto sono coloro che popolano con noi lo spazio domestico e quelli che ci sono più vicini, nelle TAZ, nelle PAZ, nei nostri locali privati aperti al pubblico, come nello spazio pubblico tout court. Sono loro che commettono la maggior parte delle violenze psicologiche e fisiche su di noi e il fatto che siano proletari non è un attenuante ma un aggravante: dovrebbero essere dalla nostra parte spontaneamente e invece si comportano come padri-padroni e, pensando di non rischiare nulla sotto la protezione del patriarcato, si rifiutano di AUTODETERMINARSI come maschi proletari che sostengono il nostro programma di DITTATURA DELLE PROLETARIE. Non esistono maschi proletari che sbagliano ma maschi proletari che fanno da cani da guardia dell’ordine patriarcale dei maschi e delle femmine borghesi. Si credono padri-padroni ma sono solo padroncini, poliziotti a loro insaputa che difendono gli osceni interessi dei veri padroni: i maschi borghesi. Quindi se contro i maschi proletari è NECESSARIO organizzare l’autodifesa delle femmine proletarie, occorre insistere che riguardo alla questione della violenza su di noi il reale nemico è il maschio borghese che si dissimula dietro il maschio proletario e non appare direttamente a noi come il nostro vero stupratore, in quanto colui che produce - e costringe le femmine borghesi a riprodurre – la violenza e il potere padronali dell’ordine patriarcale. Quindi contro il maschio borghese non basta l’autodifesa in quanto egli si presenta come una figura lontana e che non ci molesta nella nostra vita quotidiana, egli è tuttavia colui che manda avanti il maschio proletario, è il mandante, è colui che crea il contesto nel quale il maschio proletario si sente protetto. Caduto il maschio borghese, il maschio proletario non avrà più ragioni di difendersi l’ordine patriarcale. Se ora se lo difende è solo perché gli è più conveniente, è l’unica forma di esercizio di potere e violenza che può conoscere in quanto vigliacco che non azzanna il suo stesso padrone ma chi gli sta accanto e divide la sua stessa oppressione in quanto forza lavoro venduta sul mercato del lavoro in quanto merce e che lo riproduce. Quindi, contro il maschio borghese non basta l’autodifesa, egli va stanato, occorre l’ATTACCO DIRETTO. Perché riteniamo che sia il feticismo delle merci ad occultare lo stupro e le molestie continue del maschio borghese, pur se nella maggior parte dei casi realizzate di fatto dai maschi proletari? Perché in questo caso la potenza di feticcio della merce si presenta a noi nella forma del maschio proletario-merce, non facendoci intravedere il suo sfruttatore nei rapporti di produzione, rischiamo di lasciare a quest’ultimo completamente le mani libere di opprimerci nella forma più spietata, producendo l’intero sistema patriarcale. Così noi ci difendiamo giustamente dal maschio proletario, ma mai abbastanza dal maschio borghese. Non facciamo differenza tra maschi proletari e maschi borghesi ed è errato. Invece, così come abbiamo fin qui insistito sulla profonda diversità di interessi delle femmine proletarie e delle femmine borghesi, così va fatto per i maschi. A meno che non si voglia trovare un nemico fondandolo sulla sua natura biologica, il feticismo delle merci nasconde che invece è la soggettivizzazione del maschio proletario in quanto maschio padre-padrone, la sua costruzione sociale, che conta. Se tutto il patriarcato è un sistema di gerarchie e potere fondato per il dominio del maschio biologico borghese, questo non può che soggettivizzarsi per quello è, sovrascrivendosi su questo inesistente ruolo biologico. Egli così DIVENTA il soggettivizzatore di tutte le singolarità e non una singolarità soggettivizzabile. La sua essenza biologica non esiste, essa è una sovrascrittura storicamente determinata sotto il patriarcato senza scampo, egli è ipersoggettivizzato in quanto padrone, è determinato da subito, fin dalla nascita, come padre-padrone dal sistema patriarcale. Dovrebbe diventare un proletario e rinunciare a tutta la sua ricchezza per sfuggire a questa iper-soggettivizzazione che ne fa il soggettivizzatore per eccellenza. Egli soggettivizza i maschi proletari in ruoli patriarcali di padri-padroni solo per poter meglio giustificare un’inesistente ordine fondato sui codici naturali e codici biologici, quando anch’egli è soggettivizzato, ma immediatamente, senza possibilità di altra determinazione, come soggettivizzatore. Così i maschi proletari sono una parodia dei reali padroni e la loro violenza più rozza dei maschi borghesi. Tutta la feroce violenza invece che subiamo e che ci rende difficile AUTODETERMINARCI in quanto femmine proletarie rivoluzionarie deriva dal fatto che tale AUTODERMINAZIONE è soggetta a una continua violenza psicologica dei maschi borghesi e fisica, per procura, dei maschi proletari. Il motivo di questa violenza è presto detto: costituiamo il più rischioso e potente pericolo per l’ordine capitalista e patriarcale. IL FUNNY SOVIET continua a sostenere che se da una parte è necessario organizzare l’autodifesa contro i maschi proletari e preparare misure straordinarie contro la violenza domestica psicologica e fisica sempre più incentivata dai padroni reali, così contro questi ultimi va ORGANIZZATO L’ATTACCO CHE BUTTERÀ GIÙ IL PATRIARCATO E IL CAPITALISMO, perché IL PATRIARCATO non lo buttiamo giù attaccando i maschi proletari ma solo sconfiggendo i maschi borghesi e istituendo LA NOSTRA DITTATURA DELLE PROLETARIE in cui tutti i maschi proletari verranno riprogrammati nei FUNNY SOVIET e i maschi borghesi appesi a testa in giù.

FUNNY SOVIET DI ROMA