**la città esplicita: oltre il brutalismo**
LA CITTÀ ESPLICITA: OLTRE IL BRUTALISMO.
Associazione Psicogeografica Romana
L’etica della concretezza ci ha annoiato, ha finito per annoiarci anche il suo monumento: il Brutalismo. Non c’è più niente di sublime in esso, ma solo una compulsiva documentazione planetaria che l’ha trasformato in un dejà vu senza speranza. Il Brutalismo è morto, lunga vita al Brutalismo. Per quanto riguarda quello dei soviet, il neoliberismo ha buon gioco a resuscitare questo fantasma, ad agitarlo in ogni ambito: dalla moda all'arte contemporanea, dalla fotografia alla filosofia. Non esiste ancora una voce critica, se non qualche coglione, tutti, ma proprio tutti, estasiati e la rete intasata di esaltati e pazzi di gioia. Tutti innamorati dell'etica che si porta dietro, all’estrema sinistra come all’estrema destra. È l'ultima opportunità perché il comunismo non torni, un monumento diffuso e diramato che ci ricorda quel che è stato e che non tornerà. Godetevi il cemento del passato, intanto noi attrezziamoci con idee mai viste prima per nuove città dove possano abitare le nuove generazioni. Vinciamo o perdiamo, troveremo quelli che si innamoreranno perdutamente della nostra anti-civiltà.
LA CITTÀ ESPLICITA: OLTRE IL BRUTALISMO.
Associazione Psicogeografica Romana
“Se è possibile e necessario, perché è vero, affermare che il futuro sarà la rivoluzione, è perché il presente è già la rivoluzione in processo”
Apocalisse e Rivoluzione. Giorgio Cesarano - Ganni Collu. 1973
1. Pretendiamo di più di una vita concreta poiché la concretezza è diventato un affare per individui banali che hanno abbandonato la guerra di classe barattandola con la propria unicità immaginaria. Che ce ne facciamo di una vita capace di realizzare i desideri se nessuno sa neanche cosa desiderare davvero dalla vita se non ripetere fragilmente le passioni dell’amore e della creatività di uomini e donne che hanno avuto la qualità di avviare pratiche indicibili e inaudite mai viste prima. Occorre dell’oblio. Dimenticare per un momento tutti coloro che ci hanno formato e ci hanno fatto diventare ciò che siamo. Realizzare una tregua con la memoria di questi uomini e queste donne che hanno avuto la qualità dell’inizio per poter intraprendere un nuovo principio. L’arte deve negare se stessa, la creatività deve negare se stessa, la poesia deve negare se stessa. Senza negazione nessun superamento. Individuare emozioni forti all’altezza della nostra epoca è armarsi, allo stesso tempo, di pratiche capaci di esprimerle dritte, dirette, esplicite.
2. Poiché riteniamo che lo spazio venga prima del linguaggio, soltanto chi saprà abitare i contorti, degradati e declassati luoghi del nostro tempo parlerà anche la lingua di coloro che sanno sentire emozioni forti. Più saremo ad abitare questi luoghi contorti, degradati e declassati quanto più saremo in grado di costruire la città che vogliamo: la Città Esplicita. Non si pensi che la Città Esplicita richieda immediatamente nuove costruzioni, anzi non c’è più niente da costruire, ma solo da occupare, abitare, de-gentrificare. Saremo implacabili perché non c’è alcuna possibilità dentro il cerchio del nostro spazio e del nostro linguaggio per il Nuovo Capitale e il Nazi-Fascismo. Piuttosto mano alle spranghe. La Città Esplicita sarà in un primo momento un esteso e plastico spazio di relazioni sociali libere, autonome e dirette, in un secondo momento, quando saremo abbastanza forti da essere un Gemeinwesen fuori dalle dinamiche micro-fasciste del Nuovo Capitale, non ci precludiamo la possibilità di creare nuove città per noi e per le future generazioni.
3. Alla concretezza che sa tanto di lavoro morto diffuso preferiamo l’esplicito che è la lingua del vivente. Solo l’esplicito è la rivoluzione in processo, il futuro che è subito tra di noi, senza dover accelerare e andare a sbattere dove vorrebbe il Nuovo Capitale. La Città Esplicita è una migrazione di massa, una fuga laterale dal Nuovo Capitale, dalla città in cui ciascuno abita e dove non è necessario muovere un passo, ma dirsi il desiderio che non ti aspettavi, l’amore che avevi sottovalutato, perdere il tempo che ti perdeva, organizzarsi per la rete della reciproca cura e del reddito di autodeterminazione. Chi continuerà a ritenere che tutto gli è dovuto implicitamente non otterrà mai niente, tutto ci è dovuto ma dobbiamo scriverlo sui muri delle città di tutto il pianeta, su tutte le poesie, esprimerlo con tutte le opere d’arte, intervenire ovunque, musei, gallerie, conferenze, incontri politici, per interromperli e dire esplicitamente: che ce ne facciamo di voi se voi siete ancora dentro una gabbia aperta. Noi siamo fuori e vogliamo tutto e subito!
4. Alla fine della seconda decade del ventunesimo secolo non è possibile più alcuna civilizzazione globale, lo stesso termine “civilizzazione” è in questione. Descrivere e lamentare cataclismi e imminenti apocalissi è ridicolo almeno quanto attardarsi a disputare sulle norme e le strutture organizzative della politica che furono forgiate alla nascita degli stati-nazione. Il capitalismo è stato una civiltà millenaria, nato ben prima degli stati-nazione, e le guerre che lo hanno contrassegnato, per chi ha memoria storica, non sono senza precedenti. Il futuro non ha bisogno di essere costruito a meno che non si voglia salvare il capitalismo neoliberista. Ogni costruzione del futuro da parte nostra si trasformerà nel suo negativo: in una promessa al ribasso di maggiori disuguaglianze. Conflitto e caos sono comunque auspicabili. Questa crisi dell’idea di futuro è sintomatica della situazione storica regressiva della nostra epoca che noi stessi abbiamo contribuito per decenni a creare mentre restavano solo i fascisti a dire “Il futuro è nostro”. I cinici di tutto lo spettro politico ci hanno fatto credere che il “no future” fosse un segno di maturità scettica, tuttavia oggi non si tratta né di costruirlo né di guardare costantemente all’origine delle cose, voltandogli le spalle. L’accelerazionismo propone un futuro più moderno ma è come il capitalismo neoliberista intrinsecamente incapace di generarlo, perché il futuro non esiste affatto se non si parte dalla prassi immediata nel presente. Il futuro non ci viene incontro se noi non vi andiamo incontro: non è inerte. L’orizzonte non si raggiunge mai, meglio rinunciare agli orizzonti: cosa è il Fuori se non la migrazione dei molti dal mondo del Nuovo Capitale?
5. Se l’etica della concretezza ci ha annoiato, ha finito per annoiarci anche il suo monumento: il Brutalismo. Non c’è più niente di sublime in esso, ma solo una compulsiva documentazione planetaria che l’ha trasformato in un dejà vu senza speranza. Il Brutalismo è morto, lunga vita al Brutalismo. Per quanto riguarda quello dei soviet, il neoliberismo ha buon gioco a resuscitare questo fantasma, ad agitarlo in ogni ambito: dalla moda all’arte contemporanea, dalla fotografia alla filosofia. Non esiste ancora una voce critica, se non qualche coglione, tutti, ma proprio tutti, estasiati e la rete intasata di esaltati e pazzi di gioia. Tutti innamorati dell’etica che si porta dietro, all’estrema sinistra come all’estrema destra. È l’ultima opportunità perché il comunismo non torni, un monumento diffuso e diramato che ci ricorda quel che è stato e che non tornerà. Godetevi il cemento del passato, intanto noi attrezziamoci con idee mai viste prima per nuove città dove possano abitare le nuove generazioni. Vinciamo o perdiamo, troveremo quelli che si innamoreranno perdutamente della nostra anti-civiltà.
6. La Città Esplicita non è brutalista, è molto di più, perché è viva e non semplicemente un mucchio di lavoro morto incorporato nello spazio. Per quanto il Brutalismo possa essere straordinario e bizzarro, non ha più la qualità della terribile bellezza di ciò che assalta l’ordine civile del mondo. I civilizzati lo adorano, perché gli ricordano l’Altrove che temono, desiderano e NON vogliono. Un’etica, anche erotica, che non sa uscire dal pantano della civiltà capitalista e che si limita a sognare esteticamente a occhi aperti un altro mondo possibile. Sì possibile, ma nel passato, nella memoria, e quindi inoffensivo come un fantasma che abbacina, spaventa, ma non ferisce più. È proprio lo spaventoso che non ferisce e che non si impone sulla totalità dell’individuo che fa sì di poter mettere una distanza di sicurezza e apprezzarne la bellezza. Se il Brutalismo fosse vivo, si fuggirebbe, come si è fuggiti, perché il linguaggio politico che vi si parlava non era esplicito, ma implicito, biforcuto e doppiogiochista.
7. Non ci occorre nemmeno la vecchia teoria rivoluzionaria urbana per la Città Esplicita. Il “diritto alla città” di Lefebvre ci fa sorridere, un libro che deve tutto a Heidegger, a noi non deve niente. Che poi la questione dell’abitare sia molto oltre la questione degli alloggi lo sappiamo dai tempi dei primi lettristi, ben prima di Lefebvre. Abitare non è semplicemente avere una casa, ma poter vivere liberamente un quartiere, una città, un continente, il pianeta Terra. Io abito se posso andare libero e a testa alta, di giorno e di notte, per la città, se posso entrare e uscire dai palazzi liberamente, se posso infilarmi dove voglio senza divieti che mi ricordino in ogni momento la proprietà privata dei luoghi. La città dev’essere un groviglio, una matassa, un ginepraio senza telecamere, dove si possa godere degli amici, dei compagni e degli amanti senza il proprio doppio riprodotto in digitale. Mettete via gli smartphone, è ora di parlarsi e guardarsi in faccia, troppe storie marcite a causa di un controllo di cui siamo vittime e carnefici, un complotto che ci è stato messo nelle nostre stesse mani. Abito se posso andare a zonzo, ma vado a zonzo se ho una casa. E non sarà casa mia, tutte le case ai Consigli metropolitani e case per tutti, di modo che si possa abitare dove si vuole.
8. Inoltre è da mettere in questione la prima parola dello slogan “Diritto all’abitare”, quanto è abusato questo termine borghese “diritto”? Certo in un’epoca in cui la borghesia arretra all’Ottocento anche i diritti del Settecento ci sembrano una conquista, ma dovremmo pensare oltre, perché non è un termine che appartiene ai rivoluzionari. Diritti e Doveri appartengono a un linguaggio che ci è estraneo. Noi abbiamo solo pretese verso la vita e ciò che i borghesi chiamano “dovere” per noi si declina completamente diversamente, come un aver “cura”, come un “sostenere”, come un sistema di alleanze di reciproca unione tra Dividui. Facciamola finita con la retorica dei diritti, non ci bastano, vogliamo che il mondo ci appartenga e non dovercelo andare a cercare. Vogliamo non dover ricorrere a poliziotti e psico-poliziotti per far valere le nostre pretese di inviolabilità, felicità e mobilità.
9. Lefebvre qualche anno più tardi ne “La produzione dello spazio” riprenderà la “triolettica” del pittore danese marxista Asger Jorn e la triplicità spaziale di Merleau Ponty e si affrancherà da Heidegger finalmente. Vediamo di comprendere senza troppi giri di parole cosa sia la “trialettica” (termine inventato dal geografo Soja per la “dialettica triplice” di Lefebvre), essa non è solo la tripartizione in spazio “percepito”, “concepito” e “vissuto”, non ci interessa entrare nel merito di questa tripartizione che tanta fortuna ha avuto nell’Accademia, se non per dire che lo spazio vissuto è vissuto e il vissuto se lo tiene, ma per trovarne la base materiale. Essa si fonda sulle tripartizione piuttosto tra pubblico, privato e comune, che riteniamo superata per diverse ragioni. Non tiene conto infatti degli spazi di “nascondimento” e di opacità dove la parola esplicita è più potente e libera di esprimersi, non perché si faccia scrupoli davanti a un pubblico, allo sguardo, alle telecamere, figuriamoci! Ma perché le pertiene un luogo in cui essere massimamente presso stessi, l’Altro e l’Altrove, e questi luoghi devono essere poco reperibili.
10. Una città esplicita per un linguaggio esplicito: ci aspetta un’impresa non priva di pericoli e ostacoli. Una città anti-fascista e anti-capitalista, non cerchiamo l’esodo, ma la migrazione di massa verso, dalla e nella città. C’è una differenza tra esodo e migrazione. L’esodo è organizzato, la migrazione è acefala e senza controllo, l’esodo punta a creare una nuova civiltà, la migrazione a distruggerla e a creare una situazione superiore in cui si possano esprimere emozioni molto al di sopra di quelle cui oggi la maggior parte degli individui vive. La città esplicità è una città incivile, ma superiore. Non vogliamo accontentarci. Mai più chiusi i nostri luoghi d’incontro! La gabbia è aperta per tutti, se ci restate è perché avete scelto questo mondo. Non c’è che da perdere la noia, la povertà e il “sempre identico” dell’utopia concreta, dove l’utopia è la proiezione di uno scompenso emozionale dovuto a un torto cui non si sa come poter porre rimedio e la concretezza è il mondo dei desideri imprecisi e indecisi. Solo l’esplicito rende il desiderio preciso e deciso. Non c’è che da conquistare con pretese esplicite allora questo desiderio: è ora! Adesso non si tratta che di perdere i nostri giorni per questa lurida e magnifica abiezione urbanistica.