In città c’è aria di festa, disordine, deboscia e rivolta. Lo spazio pubblico è una favoletta raccontata nelle accademie di cui non vogliamo più sentir parlare. Per non annoiarci non ci occorrono più utopie. Il Tempo del Sole è andato alla malora ed è un bene che sia crollato a questo modo, perché ci ostacolava, ci illudeva e ci nascondeva il sentimento di inferiorità, incompletezza e imperfezione che provano tutti gli utopisti e che non desideriamo mai più condividere con loro. Le gambe delle passanti hanno riaperto le chiavi a stella e le coppe di cristallo, noi conosciamo bene l’arte delle fratte. Si ricomincia ed è tutto più brutale. Non c’è più poesia che tenga perché non vogliamo praticare la morfologia dei visi e dei gesti, siamo persone che passano all’azione. Non ci crediamo alle promesse che non vengono mantenute, non vogliamo più attorno a noi persone che fanno giuramenti, non fanno più parte dell’amore che ci appassiona. La poesia è morta, viva la poesia. Siamo oltre l’incanto dei manifesti sulla pubblica via, delle belle frasi sui muri e sugli stickers. Surrealisti e situazionisti oggi schiatterebbero per tutta questa ferocia brutalista. Oggi che lo spettacolo fa acqua da tutte la parti, il vero è tornato a pretendere i suoi diritti contro il mistero e la fascinazione. La coscienza infelice passa il testimone a quella cinica e questa a quella comica: la gioia per il degrado porta alla rivolta, riguarda tutti ed è inarrestabile.

“Chiave a stella” (Sajmiste Spomenik - Serbia), Chiara Sestili - 2018

 

Versione Demo

NUOVO FORMULARIO PER L’URBANISMO.

OMAGGIO A IVAIN

Deturnamento di Daniele Vazquez - Fotografie di Chiara Sestili.

In città c’è aria di festa, disordine, deboscia e rivolta. Lo spazio pubblico è una favoletta raccontata nelle accademie di cui non vogliamo più sentir parlare. Per non annoiarci non ci occorrono più utopie. Il Tempo del Sole è andato alla malora ed è un bene che sia crollato a questo modo, perché ci ostacolava, ci illudeva e ci nascondeva il sentimento di inferiorità, incompletezza e imperfezione che provano tutti gli utopisti e che non desideriamo mai più condividere con loro. Le gambe delle passanti hanno riaperto le chiavi a stella e le coppe di cristallo, noi conosciamo bene l’arte delle fratte. Si ricomincia ed è tutto più brutale. Non c’è più poesia che tenga perché non vogliamo praticare la morfologia dei visi e dei gesti, siamo persone che passano all’azione. Non ci crediamo alle promesse che non vengono mantenute, non vogliamo più attorno a noi persone che fanno giuramenti, non fanno più parte dell’amore che ci appassiona. La poesia è morta, viva la poesia. Siamo oltre l’incanto dei manifesti sulla pubblica via, delle belle frasi sui muri e sugli stickers. Surrealisti e situazionisti oggi schiatterebbero per tutta questa ferocia brutalista. Oggi che lo spettacolo fa acqua da tutte la parti, il vero è tornato a pretendere i suoi diritti contro il mistero e la fascinazione. La coscienza infelice passa il testimone a quella cinica e questa a quella comica: la gioia per il degrado porta alla rivolta, riguarda tutti ed è inarrestabile.

Agamben bla bla bla

Levate (brand su un sedile di un aereo di Air Serbia)

È tutto loro quello che luccica

Sarà un selfie che vi seppellirà

Abbasso la lampo

Ti amo a delinquere

Cambia vita. risposta: diventa lesbica : )  

Non ci sono più le mezze emozioni

I saw you on tinder

Non porto rancore, solo odio di qualità.

Le cose belle della vita non sono cose

Chissà se un giorno quelli che contano ci diranno a quanto sono arrivati

Fuori gli hipster, i fascisti e i palazzinari dai quartieri

I love degrado

E tu, sveglissima e piena di intuizione per l’incontro fortuito, che conosci tutti i segreti del mondo. Tu non conosci rancore, non rubi mappamondi ai bambini, non ti porti via gabbie per restarci tutta la vita. Tu, invece, piuttosto, mappi le brutalità del mondo e ne gioisci, ricolma di musica dura, pratichi l’arte pazza di Ivain e la innovi per il tuo godimento, non vuoi più la sua hacienda. Essa è stata costruita ed era l’ennesima utopia divorata da architetti e urbanisti. Tu l’hai vista esistere e ora siamo qui, oltre. Bisogna superare l’hacienda, il mondo è troppo brutale. E noi vestiamo di nero e abbiamo il cuore troppo rosso per poterci fermare in quel paradiso, per poterci fermare in qualsiasi altro posto. Anche l’inferno ci sta troppo stretto anche se frequentato da gente squisita.

Tutte le città sono psicogeografiche e non si fanno quattro passi senza incrociare il fantasma di Ivain, armato di tutto il suo prestigio esoterico, magico e rivoluzionario.

Noi ci evolviamo in un paesaggio aperto i cui non ci sono più punti di riferimento, tutto si disperde, si sparpaglia, si dirada. La New Babylon è divenuta un’idea in voga nell’epoca postmoderna, non ci occorre fuggire ora che è tutto finito, non vogliamo essere originali, creativi, poeti, artisti, lo spazio ci ispira ancora più della parola e i nostri corpi vi si muovono liberamente, silenziosi, ansimanti, pieni di lussuria. Non ci interessano più i frammenti, siamo tornati esseri totali dai cui cuori si leva una dolce musica. I racconti popolari sono sui libri, sappiamo dei sentimenti prosciugati dei mortali e dispersi dalla deriva dei continenti attraverso i discorsi degli anziani nei bar, con i quali si mescola la teppa e la delinquenza e i ribelli.

Non cercheremo più un urbanismo simbolico, perché amiamo la vita autentica dove ci si ama nel vero. Non vogliamo lamentarci più come il nostro amatissimo fantasma. Che ci protegga nella nostra follia di volerlo portare con noi oltre se stesso. C’è già tutto quello di cui abbiamo desiderio in città, noi usiamo l’esistente e nel farlo lo radicalizziamo contro la civiltà, contro ogni civiltà, perché esse non possono conoscere la fragranza dell’insolenza insurrezionale.

Siamo nel ventunesimo secolo e nessuno ne dubita. Il nostro spazio mentale è popolato di nuove creature mai viste prima. Le macchine si sono dimostrate una trappola per topi e non ci hanno liberato dal lavoro. Il nostro fantasma aspetterà con noi il momento della spinta al momento giusto quando requisiremo tutte le macchine a nostro vantaggio.

Scienza e mito si sono integrati fatalmente. L’eros e il sublime hanno ricoperto vecchie astrazioni vuote, come piante che ricoprono un edificio abbandonato da un secolo di incuria. L’occhio si eccita e diventa rovente davanti a tante curve, spigoli, buchi, muri ciechi e dettagli bruschi. La città si presenta come una sintesi potente, spetta a noi spezzarne il cerchio e frantumarla. La terra delle sintesi promesse è da fuggire come la peste. Andiamo avanti, non viviamo nel passato, guardiamo di nuovo al futuro e sappiamo farlo di nuovo perché il punk è morto davvero e ciò che ne segue è commercio ridicolo o stanca ripetizione.

Noi non prolungheremo le civiltà digitali e l’architettura che portano solo a disperdere la folla meglio dei manganelli. Ci proponiamo d’inventare nuovi scenari per il cosmo. La terra è satura ed è satura di scenari mobili.

Il nostro fantasma ora gioisce dell’uso brutale e superiore al gotico fiammeggiante che si fa del cemento armato. Quanto a Le Corbusier aveva ragione, il suo stile era per ospedali, fabbriche e chiese. Ma nemmeno lui ha potuto fare in modo che ospedali, fabbriche e chiese divenissero belle ed espropriabili dai consigli operai e di quartiere. Il suo potere di rincretinimento è finito da un pezzo. Un progetto di Le Corbusier è oggi un’immagine che non porta al suicidio nessuno e la gioia, la passione e la libertà si sono ripresi le loro prerogative: ciò che ha costruito restano degli eccellenti luoghi da squattare.     

Certi quartieri sono più oscuri di una volta, indietreggia l’illuminazione, le donne camminano fiere nella notte, tagliamo le palle a chi ne ostacola il passo. Le stagioni sono sempre più imprevedibili mandando in confusione l’organizzazione del tempo libero: l’aria condizionata è ancora una causa persa. La notte resta per noi il luogo delle derive, l’estate con le sua bombe d’acqua rende impossibili le vacanze ai ricchi e ai piccoli borghesi: questo non può che riempirci di felicità. Siamo di nuovo vicini al cosmo e sogniamo di nuovo viaggi spaziali. Il motivo è evidente, questo sogno nasce dalla realtà e si realizza nelle concrete possibilità ora che anche la nostra civiltà vi investe le proprie risorse concretamente.

L’architettura non è più il mezzo più semplice per articolare il tempo e lo spazio, per modulare la realtà, per far sognare, perché ora è l’uso ciò che ci permetterà di trasformare radicalmente l’esistente. Non c’è più né plasticismo né modulazione influenzale, ma solo l’uso, i desideri non sono eterni vanno continuamente alimentati e tenuti vivi nel fuoco della curva dell’amore. L’architettura di domani non sarà il mezzo per modificare le attuali concezioni del tempo e dello spazio, non c’è più nulla da costruire, saranno la conoscenza delle città e l’azione in esse a modificare tempo e spazio. Non è tanto il complesso architettonico a dover essere variabile, ma gli abitanti a poter decidere costantemente dove abitare, occorre mettere in discussione la proprietà privata e pubblica dell’abitazione. Tutte le abitazioni ai consigli e gli abitanti dove vogliono. 

Non è auspicabile che l’architettura esprima più una nuova civiltà, perché è la civiltà stessa a dover essere messa in questione, essa non solo è sempre fallita, ma non dovrà essere nemmeno più desiderata. La concezione dello spazio e quella del tempo non dovranno più gettare le fondamenta di una civiltà, ma semplicemente essere il linguaggio comune delle donne e degli uomini del pianeta. Quanto ai comportamenti essi saranno tali e talmente liberi da non poter ricostituire una civiltà in alcun caso.

Si è passati da civiltà in cui vi erano verità assolute e mitiche, a civiltà relativiste, ma la quantistica oggi ci dice, che tutto dipende esclusivamente da noi stessi, dall’insieme degli unici che decidono della propria sorte e non c’è oroscopo, cartomanzia, chiromanzia, destino e Kairos che tengano.

Il nostro fantasma ci ricorda che una sintesi resta leggendaria, leggenda resti, vogliamo un mondo aperto ad altri mondi e non sarà l’architettura ad aprirceli né a modificare la vita. Questo determinismo spaziale radicale ha perso la sua partita. La malattia mentale non esiste e non ha invaso il pianeta: lamentarsi della banalizzazione della vita è semplificare le condizioni della vita dell’epoca. Oggi non saranno coloro che si lamentano di tale banalizzazione sui social a cambiare le condizioni della vita, ma solo coloro che vivono tali condizioni nella autenticità della vita quotidiana. Ci siamo liberati dalla noia, per tornare nella miseria. Ma nella miseria la gioventù ha riscoperto l’amore, lo spirito si sta liberando da tutte le catene, nuovi desideri emergono, se alcuni desideri del passato sono stati dimenticati allora ci sarà un motivo valido per non ricordarli. Meglio l’oblio se si è liberi. Nessuna propaganda sarà necessaria. Non vogliamo nessuna avanguardia che ci dica cosa e come si debba desiderare.

Guy Debord voleva fondare una nuova civiltà basata sul desiderio di costruire nuove situazioni. Ma tali nuove situazioni perché dovrebbero coincidere con il giocare con l’architettura. Troppo facile voler rifondare deterministicamente il tempo e lo spazio con l’architettura credendo che essa restituisca il desiderio che s’imprime nel momento del progetto.

“Innesto” (Kosmaj spomenik - Serbia), Chiara Sestili - 2018

Siamo già dentro una visione del tempo e dello spazio nuovi, le costruzioni auspicate dai lettristi sono diventate delle Disneyland, ma i comportamenti che si ribellano al tempo di non lavoro come al tempo di lavoro, allo spazio pubblico così come allo spazio privato dilagano mettendo in agitazione tutte le città col nome di degrado.  Gli edifici non devono evocare proprio nulla ma invocare all’azione, non devono essere simbolici, ma significanti di modo che vi si possano iscrivere i nostri desideri. Non il contrario. Le forze e gli avvenimenti del passato non ci sono più di nessun soccorso per appassionarci del presente e preparare il nostro futuro. Non occorre riproporre sistemi religiosi, vecchi racconti o una psicanalisi a beneficio dell’architettura, perché tutto ciò non ci appassiona, ci rende solo degli individui costantemente monitorati e da correggere. Non siamo in cerca delle nostre cattedrali personali, siamo troppo unici per questi sogni individualisti. Una stanza con la giusta atmosfera è uno dei posti migliori dove farsi e fare l’amore, magari la stanza temporanea in un paese straniero. Siamo noi i viaggiatori.

Non ci faremo fermare dai divieti, quante volte li abbiamo trasgrediti, siamo andati controcorrente e contromano per trovare un lavoro ad Arianna e ora lei non ci fa più perdere.

Una tale città potrebbe essere pensata come un incastro continuo di edifici brutalisti, in cui vi sono dappertutto luoghi dove praticare il nascondimento. Si tratta di riconoscere il potere mitopoietico degli autogrill, novelli luoghi in cui realizzare la fantasie piranesiane.

Si tratta di una città puzzle o di una città domino, due sue modalità del presentarsi ai nostri corpi e del nostro urbanismo, ma mai funzionerà la proposta di quartieri stati d’animo. Non è possibile costruire un quartiere che influenzi il comportamento affettivo di un individuo in modo così preciso né influenzare nello stesso modo individui diversi. Ci credono ormai solo aridi fenomenologi che lavorano in fondo solo per trovare nuove nicchie di mercato all’interior design e alla costruzione contraffatta di paesaggi. Il bizzarro è tra di noi quando lo cerchiamo nella relazione, così come la felicità, la nobiltà, lo spazio hanno buon gioco solo se è usati da una soggettività libera e insurrezionale. Tragedia, Utilità, Paura sono sentimenti e comportamenti che cercano di essere installati in noi dalla civiltà, quanto alla storia la sua dannosità per l’uomo è stata dimostrata almeno quanto, recentemente, quella della geografia umana. Invece la coscienza cosmica ci pervade, abbiamo riscoperto lo spazio e le stelle e ambiamo di nuovo a un’astronautica rivoluzionaria. Quanto alla Morte, la ferocia di cui parliamo non trae la sua potenza da essa, ma dal vivente, non c’è innocenza nella ferocia che trae la sua potenza dalla Morte, non c’è cara in alcun modo e neppure in Messico. La città dei quartieri stati d’animo è stata ampiamente realizzata dalla civiltà postmoderna, città flessibile, variabile, divertita, spaventosa, un immenso luna park che si è dimostrata il piano generale di evacuazione del proletariato da tutte le città del mondo, il piano definitivo, così credono, con cui trasformare e gentrificare i quartieri per renderli luoghi esclusivamente ad uso del transito, del commercio e del turismo.

 

Non si può andare sempre in deriva se non si può sostare in alcun posto. Senza possibilità di sosta la deriva continua diviene una pratica che fa il gioco del mercato e della pacificazione sociale. Senza sosta non può esistere deriva continua. Lo spaesamento è oggi totale, è ora di ritrovarsi. La coppia? Se vuoi stare in coppia, se non vuoi stare in coppia stai con chiunque vuoi, nella tua abitazione come nelle strade del mondo, in centro, in periferia o nello sprawl. Il nostro fantasma aveva delle idee un po’ banali sulla banalizzazione dell’amore.  Eccentrico non significa essere solo fuori dal centro, ma essere fuori di sé, solo se si è fuori di sé si è fuori dal centro ovunque ti trovi. Segretezza se vuoi, esibizionismo se vuoi, il pensiero non conosce limiti e va e viene dove e quando vuole e non aspetterà la tecnica per implementarsi. I gesti non si usurano mai se c’è amore e vita autentica, non c’è il rischio che si cristallizzino in una rappresentazione, lo spettacolo stesso è un diventato un cristallo fragile che non tiene più davanti all’irrompere di quello che il nostro amato fantasma chiamava ancora “vissuto”, termine alquanto sbagliato, perché chiama la vita sempre al passato.

Non vogliamo un’estetica dei comportamenti ma dei comportanti estatici, mai più nuovi gruppi chiusi e settari, i mezzi pratici per fondarli siano dimenticati insieme alla fenomenologia delle coppie, degli incontri e della durata. La coppia scoppia se si ricorre a mezzucci pratici, gli incontri ugualmente acquisiscono qualcosa del falso e la durata si perde per sempre. Se si vuole la coppia bene, sarà l’amore a deciderlo e non l’accordo pratico tra gli amanti. Gli  incontri siano casuali, quanto più il caso vi giocherà la sua parte quanto più sarà potente l’incontro e la durata ne trarrà beneficio. Chiavi a stella, Coppe di cristallo, nostro caro amato Ivain si aprono come fiori e noi, nel tuo nome, non crediamo più davvero nella coppia se essa stessa non ci sceglie e ci desidera.

Le derive non sono una messa, le derive non si praticano soltanto la domenica, non ci sono specialisti né allievi, le derive ormai sono ovunque e in nessun posto, sotto mentite spoglie, con altri nomi, tutti hanno ripreso a camminare. Quale ne sia il motivo non è importante, ciò che conta è che la collettività sta captando immense energie grazie a questa civiltà della deriva che ci hai donato cui manca solo la possibilità di sostare per gioire un momento degli occhi, dei sorrisi, dei baci, degli abbracci, dell’amore delle nostre compagne e dei nostri compagni. Ci occorre sostare ogni tanto da questa deriva continua e questa è la pretesa innovativa della nostra epoca.

L’obiezione economica che ti facevi era giusta. Avresti dovuto portarla avanti e non concludere con Las Vegas o Monaco, perché il nemico ti ha dato ragione e ti devi allora domandare dove ha sbagliato nel prenderti così sul serio. Eri un ragazzo di una intelligenza strepitosa, te hai colto la civiltà a venire, oppure ci rimane il sospetto che la civiltà che è arrivata ti abbia isolato e sequestrato il cuore. Tralasciando la vera natura del gioco urbanistico che desideravi, un gioco libero e gratuito.