Quando si parla del lavoro solitamente si parla dell’impresa, in questo saggio cercheremo di fare l’impossibile: parlare di lavoro e non lavoro senza troppo riguardo per l’impresa. Soltanto per trasgredire subito l’incipit vogliamo dire che tanto più l’impresa sarà intelligente (smart) quanto più il lavoratore preso isolatamente sarà imbelle, timoroso e “stolto”. 

I would prefer not to

IL FALLIMENTO DELLA NETWORK SOCIETY

La rete non è per sempre e non sarà il futuro del lavoro. Non vi sarà più una network society così come descritta nel 1996 da Castells in quanto la rete è un modello che la geopolitica più recente ha dimostrato poter essere fatta saltare in aria con nuovi strumenti di guerra informatica e che il web 2.0 ha trasformato in una nuova architettura: i social media. Si tratta di un sistema di pesi e contrappesi molari che è servito a ritrovare l’equilibrio della rete a un livello inferiore e che ha messo fine alla sua originaria idea di sistema libero, aperto e senza confini.

Se la globalizzazione è stata messa in crisi dal ritorno degli stati nazione, allora il suo linguaggio, la rete, è divenuto sempre più spezzato, modulare, verticale, stratificato, invece che orizzontale e rizomatico. La rete è figlia del Novecento e della guerra fredda. Sia urbanisticamente che mediologicamente, la parola d’ordine: disperdere, diradare, diramare era un eccellente escamotage per non soccombere in un possibile conflitto atomico.

Così le Levittown, si sa, sono ispirate ai modelli di comunità create in segreto a Oak Ridge, così la rete è figlia di Arpanet. La network society è “una struttura sociale che si fonda su reti”, “un sistema altamente dinamico, aperto all’innovazione senza che ciò ne comprometta l’equilibrio” (Castells, 2002: 537). È successo proprio questo: la network society è stata tanto dinamica da perdere l’equilibrio e andare in scompenso.

Da una parte, all’orizzontalità della rete si sono sostituiti i social media. Media che potremmo definire a grappolo: graspi sono Facebook, Twitter, SoundCloud, Pinterest, Linkedin. Poiché i social media profilano gli utenti di modo che il sistema di piattaforme di ciascuno lo renda unico, in parte sconnesso piuttosto che connesso agli altri individui, si tratta più di grappoli attaccati a un graspo principale che di nodi di una rete dischiusa.

Il nuovo sistema sarà sempre più a grappoli, non sarà né anarchico né gerarchico, sarà basato sulla separazione degli individui in un primo tempo nei grappoli e la loro riunione in un secondo tempo nei graspi. In questo contesto una prefigurazione del non lavoro del futuro dovrà tener conto della sostituzione del modello della rete o, per dirla con Deleuze e Guattari, del rizoma, con quello del grappolo. Il grappolo è un modo più pertinente e immaginifico di nominare l’arido vocabolo “piattaforma” utilizzato negli internet studies. 

IL CONFLITTO TRIALETTICO CAPITALE-LAVORO versus NONLAVORO

Il graspo per eccellenza è il corpo del capitale e i grappoli i lavoratori, tutti coloro che sono fuori dal lavoro faranno grappoli sul graspo del sistema di nicchie di consumo creato appositamente per loro. Dunque il conflitto intorno al lavoro vedrà tre soggetti sociali affrontarsi: i lavoratori, ovvero i garantiti, i capitalisti, ovvero i garanti, e i precari (e in generale tutti i non garantiti). Altre relazioni trialettiche come quella celebre “capitale, lavoro e spazio” ampiamente studiata da Henri Lefebvre non tiene in considerazione tre soggetti sociali, ma due soggetti e un sistema fisico e allo stesso tempo intersoggettivo.

Tra i lavoratori e i capitalisti vi sarà sempre più complicità, l’alleanza sarà inizialmente tra lavoratori e capitalisti da una parte in difesa del vecchio sistema e i non garantiti dall’altra, tuttavia, pur essendo già arrivato il tempo per essere un soggetto sociale capace di azione, decisione e intervento politico, i non garantiti non saranno mai in grado, per la loro dispersione contrattuale, di vincere. Sarà solo quando i garanti scaricheranno sotto le spinte della quarta rivoluzione industriale la maggior parte dei garantiti, che le alleanze trialettiche cambieranno: gli scaricati si alleeranno con i non garantiti contro il capitalista collettivo.

Il mondo del lavoro diverrà, allora, una sfera chiusa, opaca e molto ridotta in cui le macchine dopo aver incorporato la forza nella prima rivoluzione industriale (energia motrice), dopo aver incorporato l’intelligenza nella seconda (potenza di calcolo e linguaggio), dopo aver incorporato il sociale e l’affettività nelle terza (rete), incorporerà la capacità critica e quindi la capacità di risolvere problemi complessi reali e quindi di trasformare l’esistente nella quarta (gestione automatizzata e flessibile del sistema-mondo, dal controllo climatico a quello demografico).

Il mondo del lavoro si presenterà allo stesso tempo come il mondo del capitale e anzi il lavoro come uno dei suoi attributi in quanto rapporto uomo-macchina ciberfisico utilizzato per forgiare l’ambiente quotidiano, sociale, naturale, finanziario, eccetera. Fuori dal mondo del lavoro ogni filosofia critica sarà immediatamente pensiero della macchina e l’attacco al sistema molto difficile perché legato a linguaggi emozionali poco codificati e codificabili.

In questo senso l’imprevedibilità del linguaggio emozionale sarà l’ultima risorsa disponibile per una conflitto aperto contro il mondo del lavoro, se quest’ultimo dovesse incorporare anche le emozioni ci troveremmo in una situazione insostenibile da tutti i punti di vista e dagli esiti poco prevedibili: non possiamo sapere infatti quale sia il comportamento di macchine che parlino il linguaggio emozionale e come lo svilupperebbero.

Al momento si sta aprendo una nuova fase di dominio formale del capitale sul lavoro, questo significa che i non garantiti possono pur se sorvegliati e disciplinati dalla tipologie contrattuali diversificate, a progetto, a partita iva e a tempi determinato, eccetera,  essere meno controllabili nel tempo del consumo e più opachi se l’uso dei dispositivi diverrà più opzionale e meno necessario alla sociabilità.

Avremo, quindi, da una parte, il mondo del lavoro la cui intelligenza sarà nell’occultarsi e nel rendere impossibile l’accesso. Il lavoratori faranno a tutti gli effetti parte della classe capitalista come piccoli capitalisti operosi, lasciando agli altri il mondo della finanza. Dall’altra i non garantiti la cui intelligenza sarà nella fuoriuscita di massa dai social media, unica mossa strategica per non essere contenuti, rendersi simmetricamente opachi al mondo del lavoro e trovare una forza di pressione tale per ottenere un nuovo tipo di welfare mai visto prima.   

IL WEBFARE

Chiamiamo webfare il sistema di garanzie che potrebbe essere offerto a tutti i non garantiti che utilizzano i social media, i motori di ricerca e gli smartphone qualora questi incredibili mezzi di produzione economica, sociale e culturale fossero sottratti ai loro gestori. Coloro che lavoreranno saranno una sotto-classe produttiva dei capitalisti e saranno la parte umana che gestirà le nuove macchine quantistiche. Macchine che avranno il ruolo di gestire e indirizzare la vita associata e naturale (sistema-mondo). La parola d’ordine non sarà più gli utenti produrranno i contenuti, ma il contenente produrrà gli utenti. Il sociale non produrrà più il web 2.0 ma il web 3.0 produrrà il sociale (social media aumentati).

Tutti gli esclusi non riusciranno mai ad avere un sistema di garanzie sostenibile se non interverranno con dei conflitti rivoluzionari. Per quanto se ne dica e per quanto se ne parli un nuovo welfare per tutti gli esclusi dal mondo del lavoro salariato, dalla classe dei piccoli capitalisti produttivi, non sarà possibile come soluzione di lunga durata e non verrà mai realizzato senza una mobilitazione dei non garantiti stessi.

Il sottoproletariato postmoderno realizza lavoro necessario ma non pluslavoro quindi non produce valore. Si è tentato invano nei decenni scorsi di sostenere che la stessa esistenza di un individuo valorizzasse il capitale: questo tipo di discorsi è comprensibile solo da una marxista eterodosso e non certo da un neomarginalista. Provate a spiegare a un neomarginalsta che un gruppetto di lettristi negli anni ’50 o un gruppetto di punk negli anni ’70 producesse un’immensa ricchezza che si sarebbe poi realizzata in denaro. Non è con la teoria del valore che questi processi sono comprensibili.

Solo quando l’esistenza entra di fatto nel circuito della valorizzazione capitalista, ovvero nel sistema di domanda e offerta, che essa è effettivamente compensabile e compensabile nella misura in cui è riuscita a vendersi, nella quantità di tempo che è riuscita vendersi e con quali risultati della propria performance. Altrimenti il lavoro necessario che non produce pluslavoro e non produce valore, è lavoro gratuito che il capitale non pagherà mai.

Un’uscita in massa dai social media aumentati, un sciopero generale tale del sociale on line (social media strike nel web 3.0) potrebbe essere una eccellente mossa strategica per poter fare pressione e ottenere per la prima volta che si metta in crisi e in questione a livello planetario la loro gestione privata, a fini economici e di gestione del sistema-mondo. Pressione perché il web passi di nuovo, a un livello superiore rispetto al passato, a un autogoverno orizzontale e decentratato. Solo in questo caso sarebbe perfettamente accertabile il valore prodotto dal sociale incorporato nelle piattaforme del web 2.0 e 3.0 da decenni e decenni, misurabile lo sfruttamento avvenuto e possibile la redistribuzione della ricchezza attraverso un nuovo tipo di welfare autogestito mai visto prima.

 

Bibliografia:

Castells M, La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, EGEA, Milano, 2002.

Jorn A., La comunità prodiga, Zona, Rapallo, 2000.

Lefebvre H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976.

Lovink G., L’abisso dei social media. Nuove reti oltre l’economia dei ‘like’, Egea, Milano, 2016

Marx K., Il Capitale, Libro I, Capitolo VI Inedito, La Nuova Italia, Firenze, 1969.