**Le ambiance come essere-in-comune**
Le ambiance non sono un qualcosa dello spazio che avrebbe uno statuto di oggettività, né un’esperienza del tutto arbitraria che avrebbe uno statuto di esclusiva soggettività. Inoltre, contro la tradizione fenomenologica del “tra” esse non si formerebbero dall’incontro tra il soggetto e l’oggetto o tra più soggetti. Non basta parlarsi e raggiungere un accordo superficiale per percepire in tutta la sua significatività un’ambiance. Un’équipe psicogeografica che avesse raggiunto un accordo superficiale percepirebbe lo stesso luogo in tanti modi diversi quante sono le persone che la compongono, poiché ciascuno vivrebbe il proprio “essere-con” non con chi va alla deriva, ma con le proprie cerchie di rapporti sociali abituali esterni ad essa. Le ambiance si percepiscono insieme e si possono generare e modificare a partire da un’esperienza di condivisione profonda, in cui i soggetti si scambiano le proprie visioni del mondo, mettendo in comune la propria elaborazione dei più disparati materiali culturali dell’epoca. In cui le diverse soggettività si combinano fino al punto di sopprimere il “tra”.
Le ambiance non sono un qualcosa dello spazio che avrebbe uno statuto di oggettività, né un’esperienza del tutto arbitraria che avrebbe uno statuto di esclusiva soggettività. Inoltre, contro la tradizione fenomenologica del “tra” esse non si formerebbero dall’incontro tra il soggetto e l’oggetto o tra più soggetti. Non basta parlarsi e raggiungere un accordo superficiale per percepire in tutta la sua significatività un’ambiance. Un’équipe psicogeografica che avesse raggiunto un accordo superficiale percepirebbe lo stesso luogo in tanti modi diversi quante sono le persone che la compongono, poiché ciascuno vivrebbe il proprio “essere-con” non con chi va alla deriva, ma con le proprie cerchie di rapporti sociali abituali esterni ad essa. Le ambiance si percepiscono insieme e si possono generare e modificare a partire da un’esperienza di condivisione profonda, in cui i soggetti si scambiano le proprie visioni del mondo, mettendo in comune la propria elaborazione dei più disparati materiali culturali dell’epoca. In cui le diverse soggettività si combinano fino al punto di sopprimere il “tra”. Tale condivisione è un’esperienza molto comune e anche chi vive in solitudine non vi si può sottrarre: o perché ha condiviso in passato un’esperienza simile o perché chiunque vive ad ogni modo immerso in una sfera delle opinioni e emozioni pubbliche che obbliga a condividere se stesso con la visione del mondo dell’epoca in cui il tra è di difficilissima conservazione.
In questo senso l’ambiance non esiste se non nell’intersoggettività, si percepisce sempre con. Nel libro di Arthur Tatossian “La fenomenologia della psicosi” vi sono molte pagine dedicate a Tellenbach, anche se il suo libro sulla melancolia appare più consono all’argomento che non quello sulle atmosfere, nonostante la parte finale di questo lavoro sia sulle psicopatologie. Alla fine del libro di Tatossian vi è un’utile parte sulle note di traduzione in cui vi è la voce “Atmosphérique”, dove vi è scritto che l’autore riprenderebbe il concetto di atmosfera da Tellebanch metaforicamente. Tuttavia in questo autore il concetto non è affatto metaforico. In tale voce l’atmosferico viene accostato al concetto di KI (“pneuma”, “respiro”, “animo”, termine che in origine significava “origine dell’universo”) in Bin Kimura. Su questo autore torneremo. Qui vogliamo arrivare al concetto di “integrale atmosferico” di Tellenbach perché potrebbe essere utilizzato, una volta de-fenomenologizzato, per il nostro discorso sulle ambiance come esssere-in-comune.
Innanzi tutto per Tellenbach: “Pressoché in tutte le nostre esperienze sensoriali si trova un di più che rimane inespresso. Questo di più, che va oltre il fatto reale ma che al contempo sentiamo al suo interno, possiamo chiamarlo l’atmosferico” (Tellenbach, 43). I rapporti sociali sarebbero determinati dall’atmosferico: “È l’atmosferico che di solito determina in modo decisivo i rapporti quotidiani con il prossimo. Antipatie (il non poter sentire qualcuno) e simpatie (prendere subito gusto per qualcun altro) spontanee hanno il loro fondamento in questo “aver l’aria di” che può attrarre quanto respingere” (Tellenbach, 45). Poiché per Tellenbach le atmosfere hanno a che fare in particolar modo con gli odori e il gusto la capacità di rilevare un’atmosfera è un “fiutare atmosfere”. Anche le atmosfere della città sarebbero condizionate dagli odori: “Le città prese nel loro insieme, edifici come gli ospedali, le caserme, le scuole, le chiese hanno un odore tipico e all’interno di esso la loro atmosfera si manifesta al nostro percepire con la sua specificità in modo più evidente di quel che potrebbe verificarsi con i sensi superiori” (Tellenbach, 44). Ridurre le atmosfere alla percezione degli odori e al gusto è molto limitante, per questo autore gli odori e il gusto orale formerebbero “frontiere numerose e invisibili… che, selettive ed efficaci, percorrono tutto il mondo della vita umana”. (Tellenabch 50). Senz’altro gli odori e il gusto hanno un ruolo fondamentale nel generare i paesaggi socio-spaziali tuttavia essi non possono esaurire tutto il discorso. Invece quando Tellenbach scrive: “…di solito, nell’incontro emanativo-flagrante di un individuo con un altro, si instaura un’atmosfera comune che in seguito può essere sperimentata come ‘tonalità’ di una relazione con il prossimo tanto dai due che da un terzo. Questo ‘integrale’ atmosferico occupa il dominio di quel M. Buber chiama il “tra” e K.Löwit il “reciproco” (Tellenbach, 49) Questo passaggio ci offre lo spunto per una teoria delle ambiance come esperienza del comune, inoltre Tellenbach parla anche di un “con-essere atmosferico”” (Tellenbach, 51), e contro il tentativo di reificarle o quasi-reificarle citiamo il seguente passaggio: “È impossibile oggettivare l’atmosferico” (Tellenbach, 53). I concetti di integrale atmosferico e con-essere atmosferico possono diventare utili strumenti per un teoria intersoggettiva delle ambiance e per far progredire la pratica psicogeografica se si abbandona la fenomenologia del “tra” per una teoria delle atmosfere come essere-in-comune. Un altro autore, già citato, che ci potrebbe tornare utile è Bin Kimura. Egli parte dalla divisione del soggetto in noetico e noematico e fa l’esempio di un concerto musicale. “l’aspetto attivo dell’esecuzione musicale verrà detto ‘noetico’”, mentre la coscienza della musica verrà detta ‘noematica’” (Kimura 35) L’aspetto noetico della musica, che coincide con l’esecuzione, non può mai essere cosciente in sé in maniera indipendente. Secondo Kimura, l’aspetto noetico è assorbito dall’insieme dell’esecuzione e a sua volta proiettato nella coscienza noematica. (Kimura, 35). Nei musicisti che suonano in un concerto, all’inizio, ciascuno cerca la precisione noematica, nessuno fa un passo oltre la coscienza interiore. In un secondo passaggio vi è un’armonizzazione musicale in cui i musicisti si adeguano alla guida del più bravo e ciascuno perde la propria autonomia. In un terzo stadio ogni musicista ha la sensazione di suonare indipendentemente il proprio pezzo, per una sorta di appropriazione, come se l’insieme fosse creato dalla propria spontaneità noetica. Poi nell’insieme musicale ciascuno si trasferisce negli altri musicisti, la sua coscienza finisce per essere assorbita dal luogo musicale degli altri interpreti. Tale luogo non appartiene a nessuno ed è uno spazio che Kimura chiama lo “aida”, il “tra” di tutti i musicisti, accompagnato da un palese senso di appartenenza al sé noetico. Lo “aida” intersoggettivo è vissuto come lo “aida” intrasogettivo. Poiché è una noesi che integra aspetti noetici individuali il suo luogo può essere definito come principio “meta-noetico” (Kimura, 43). ll principio meta-noetico intersoggettivo, che risiede nello “aida” esterno al soggetto, porta alla coscienza l’aspetto noematico in quanto noesi interna al soggetto. (Kimura, 49). Il fatto che il principio noematico intersoggettivo e quello noetico del soggetto individuale siano due modalità di un’unica azione, significa che lo “aida” intesoggettivo è vissuto esattamente come lo “aida” interno del soggetto (Kimura, 49). Per Kimura vi sarebbe, dunque, un essere-con sia intra (doppio soggetto) e che inter, che egli chiama “aida”. Nell’”aida” l’esterno e l’interno dei soggetti s’incontrano. Se fosse solo un incontro esterno non vi sarebbe reale intersoggettività, è solo con la messa in comune anche della parte noetica che si produce l’essere-con. Tuttavia a nostro avviso sul piano meta-noetico il “tra” viene soppresso, l’“aida” significa “tra” in giapponese, tuttavia occorrerebbe trovare una parola diversa e sicuramente quella di comune sarebbe a nostro avviso più pertinente. Solo un gruppo che abbia eliminato il “tra” in mezzo ai soggetti può percepire la medesima ambiance e avere la forza di generarle. Ad esempio la statua di Giordano bruno a Campo de’ Fiori a Roma ad alcuni ingenera inquietudine perché condivide con le proprie cerchie che un uomo con il mantello e il cappuccio che nasconde il volto è tetro, qualcuno che ne conosce la storia potrà dire che non è affatto inquietante, anzi stimolante, altri per il semplice gusto romantico dell’oscuro, senza saper niente di lui, potrà pensare che sia seducente, invece se un gruppo condivide le letture e il pensiero di Giordano Bruno, se eliminerà il “tra” di loro, percepirà la stessa atmosfera e sarà in grado di trasformare il luogo in un unità d’ambiance con certi valori, con certe qualità, certi requisiti. Se il gruppo si disperde, la percezione di quei valori, qualità e requisiti dell’atmosfera si disperde con esso. Insomma tutti coloro che sono compresenti nella piazza percepiranno diversamente l’atmosfera a seconda del proprio essere-con, perché c’è un tra. Puoi anche studiare un’ambiance, come sostiene Augoyard, in tutti suoi aspetti: illuminazione, sensazioni termiche, paesaggio acustico, paesaggio olfattivo, sensazioni tattili, in modo inter-disciplinare, facendo interagire discipline qualitative e quantitative, dalla etnologia alla neurofisiologia, ma quando si passa al “fare un’ambiance” non si può pretendere di coinvolgere tutti nelle stesse percezioni, non è possibile una scienza esatta delle ambiance né, al contrario, lasciarle nella pura fenomenologia. Egli fa l’esempio di film makers, designer, artisti, musicisti, ecc. A nostro avviso è un approccio senza vie d’uscita, perché le ambiance sono un prodotto intersoggettivo e se non si prende in considerazione che le percezioni dello spazio che ne hanno le persone sono diverse, che ad esempio un film, un’architettura, un’opera d’arte, una canzone pop, non solo non piacciono a tutti allo stesso modo ma smuovono emozioni e portano con sé un’ambiance diversa per ciascuno, non si va da nessuna parte. Ciascuno è se stesso e le sue circostanze, non si può sottovalutare questo. C’è sempre un integrale atmosferico, il con-essere atmosferico che accorda i sensi con la propria cerchia e che fa percepire un luogo in un certo modo. Tra persone diverse, con diversi con-essere, occorre un processo di condivisione a accordo prima di poter cominciare a percepire le cose allo stesso modo. Come quando si raccontano e condividono intorno al fuoco storie di paura e ci si accorda su quella emozione producendo l’ambiance della paura. O come quando si mettono in comune esperienze della propria vita comiche e ci si accorda su un certo tipo di humour, producendo un’ambiance allegra. Ci occorre ritrovare l’origine delle ambiance nei rapporti interpersonali per poter generare ambiance, perché esse si generano a partire da questi, occorre abbandonare qualsiasi pretesa scientifica che intenda progettarli a prescindere dal soggetto e qualsiasi pretesa fenomenologica che le naturalizzi. E poiché i rapporti interpersonali sono fatti di spazio, gesti e linguaggio è qui che occorre continuare ad approfondire le ricerche psicogeografiche sia per trovare le unità d’ambiance delle città sia per generarle. Kimura si richiama al concetto giapponese di ma, un termine che designa generalmente lo spazio vuoto e silenzioso tra i suoni. Kimura scrive: “Qui occorre correggere la concezione corrente di ma come silenzio o intervallo tra i suoni, rappresentato da uno spazio bianco o da una pausa sugli spartiti musicali. In realtà il ma si apre nel pieno del suono stesso” (Kimura, 52). Kimura sostiene che l’espressione ma pur non utilizzata per un discorso o la lettura può essere valida anche per questi campi dell’esperienza umana (Kimura, 51-53). Si potrebbe dire con Kimura che nel discorso il ma si apre nel pieno della parola stessa. Questa interpretazione dell’espressione ma di Kimura è di fondamentale importanza per una teoria dell’intersoggettività attraverso il discorso. Se i fenomenologi concepiscono il tra del discorso come un’apertura al pieno della parola, è a nostro avviso ripristinando il senso originario del tra come silenzio e intervallo, ciò che noi chiamiamo soppressione del tra ovvero la soppressione del tra pieno della parola, che vi è un superamento temporaneo di quelle che i situazionisti chiamavano separazioni, la messa in comune delle soggettività, la possibilità di percepire allo stesso modo un’ambiance e di generarla.
Tellenbach H., L’aroma del mondo. Gusto, olfatto e atmosfere, Marinotti, 2013, Milano.
Tatossian A., La fenomenologia delle psicosi, Fioriti, 2003, Roma.
Augoyard J-F., “Eléments pour une théorie des ambiances architecturales et urbaines”, in Les Cahiers de la recerche architecturale 42/43, Ambiances architecturales et urbaines, Editions Parenthèses, 1998, Marseille, pp.13-23
Kimura B., Tra. Per una fenomenologia dell’incontro., Il pozzo di Giacobbe, 2013, Trapani.