**La fine della città postmoderna**
Ad ottobre del 2015 è stato pubblicato con la casa editrice Mimesis e la prefazione dell'urbanista Cristina Bianchetti il libro di Daniele Vazquez "La fine della città postmoderna". Questo è ciò che si può leggere nell'aletta: "Il concetto di postmoderno non può più essere utilizzato come nei saggi ormai classici sull’argomento. Oggi la costellazione di senso che richiama deve fare esplicito riferimento non solo alla logica culturale del tardo capitalismo ma anche agli ordinamenti spaziali della dispersione urbana che ne sono stati lo scenario. Vi è una stretta corrispondenza tra la genesi, l’affermazione e il declino del postmoderno e i diversi momenti della dispersione urbana. Si tratta di una corrispondenza, per cui l’una, la logica culturale del tardo capitalismo, non è più pensabile senza pensare l’altra, la dispersione urbana. Con il manifestarsi di un’epoca nuova sotto tutti i punti di vista, segnata da una radicale cesura con la postmodernità, è possibile affermare che la dispersione urbana stia raggiungendo parimenti un mutamento di statuto che sancisce la fine della città postmoderna. Dalla crisi economica sta emergendo una città nuova che articola, in modalità complesse, alta e bassa densità, un habitat metropolitano senza limiti precisi, oltre le morfologie urbane ormai tradizionali come città compatta e città diffusa, in cui si stanno affermando forme di condivisione e reciprocità che appaiono come una rottura rispetto alla società dei consumi e all’individualismo espressi dalle precedenti stagioni".
Qui un estratto dalla prefazione di Cristina Bianchetti: “In un’epoca di crisi cosa resta della città compatta e di quella dispersa? Cosa delle immagini generose della porosità, della flessibilità, della continuità che hanno dominato le più recenti interpretazioni del territorio contemporaneo? Se la letteratura che esplora le città del fordismo e del neo-liberismo è ampia, esigua è invece quella che si posiziona sulla faglia generata dalla crisi. Qui si colloca la ricerca di Daniele Vazquez Pizzi, tra antropologia e urbanistica, a partire dall’assunto che i cambiamenti nella configurazione e nella densità spaziale di un territorio corrispondano a cambiamenti nella logica culturale delle popolazioni che lo abitano”.
Questa la nostra recensione:
“È possibile che all’indomani di un avvenimento che ha scosso, semidistrutto, rinnovato la struttura di una società cominci un’altra epoca. Ma non ce ne si potrà accorgere che più tardi, quando una nuova società avrà effettivamente tratto da sé delle nuove risorse, e si sarà posta nuovi obbiettivi” (pag. 91), così scriveva Maurice Halbwachs ne “La memoria collettiva” apparso postumo nel 1950. Daniele Vazquez tenta in questo libro di intercettare tutti quei segnali che costituiscono le nuove risorse e i nuovi obbiettivi dell’epoca contemporanea non ancora divenuti dominanti che ci stanno portando fuori dal postmoderno. Inoltre, non le architetture postmoderne fanno la città postmoderna ma una precisa morfologia dello spazio che Daniele Vazquez individua nella città dispersa. Non troverete in questo libro quindi la città degli edifici eroici e originali, ma l’urbanizzazione diffusa: orizzontale, frammentaria, talvolta polverizzata, senza apparente soluzione di continuità. Il libro di Daniele Vazquez è il tentativo di creare un grande racconto che presenta un’ambiziosa periodizzazione di tale morfologia urbana, una generalizzazione concettuale voluta e cercata (anche a costo di concedere poco all’empirismo) sui suoi luoghi, le sue forme di abitare, le azioni che vi prosperano. La sua decisione è stata quella di una costruzione teorica che lasciasse sottotraccia la ricerca empirica perché doveva posizionarsi da subito con un grande racconto in discontinuità con le indagini micrologiche che hanno fatto la storia della letteratura urbanistica degli ultimi vent’anni e con l’idea postmoderna che i grandi racconti non fossero più possibili. L’influenza di Bernardo Secchi e del suo procedere per figure retoriche è evidente. Olmo ha scritto in “Architettura e Novecento” che la periodizzazione della città diffusa è ancora da avviare e che quelle disponibili sono allegoriche (pag. 40). La periodizzazione presentata è ancora allegorica, ancora metaforica ma con utili prefigurazioni di solido realismo. Anche l’idea di base di questo libro resta sottotraccia pur essendo motivo di ispirazione e guida alle argomentazioni palesando la formazione antropologica dell’autore: a cambiamenti della densità abitativa vi sono cambiamenti nella logica culturale dominante degli abitanti. Il punto di partenza di questo libro è che il postmoderno fosse una logica culturale legata a una bassa densità abitativa, ai territori della dispersione urbana e che questi territori stiano profondamente cambiando e con essi tale logica. La città dispersa come la conosciamo è finita, ispessendosi, densificandosi, producendo nuove contiguità e per contraccolpo nuovi luoghi, nuove forme di abitare e nuove azioni. Tale idea ha una storia esemplare che affonda le radici nella Morfologia Sociale di Marcel Mauss ed Émile Durkheim, in particolare in un saggio di Mauss scritto in collaborazione con Henri Beuchat nel 1906: “Saggio sulle variazioni stagionali delle società eschimesi”. La stretta corrispondenza tra la densità abitativa di uno spazio e “le idee, le rappresentazioni collettive, in una parola tutta la mentalità del gruppo” (Mauss e Beuchat, 1906) che lo abita è un ancoraggio degli studi antropologici che risale agli inizi del XX secolo. Il “fatto sociale” che molte popolazioni avessero una doppia morfologia, una per l’inverno e una per l’estate permise loro di precisare i differenti atteggiamenti verso la vita nelle due stagioni. Alle due morfologie corrispondevano spesso uno spazio abitativo compatto in inverno e uno disperso in estate e a queste due diverse situazioni di densità corrispondevano due diversi sistemi religiosi e i relativi atteggiamenti verso la vita, nonché due diverse forme di diritto proprietario.
Questo saggio che tanto ha influenzato le ricerche di antropologia culturale che seguiranno, basti pensare allo stesso saggio di Durkheim Le forme elementari della vita religiosa di soli sei anni dopo, ispira fortemente questo libro dimostrandone l’importanza anche per l’urbanistica perché indica in modo efficace la stretta correlazione tra densità abitativa e logica culturale. Daniele Vazquez non ha mai dimenticato lungo il suo lavoro che la densificazione della dispersione urbana avrebbe dovuto portare a mentalità e atteggiamenti dei suoi abitanti del tutto differenti che non nei suoi precedenti momenti in cui si poteva metterla in relazione con la bassa densità. Tali osservazioni hanno portato l’autore a sostenere che la città postmoderna fosse finita, la “logica culturale del tardo capitalismo” (Jameson, 1984) che vi era collegata non avrebbe potuto reggere a lungo all’urto dei salti qualitativi nella densità abitativa della dispersione urbana cui oggi assistiamo.
Durkheim E.,Le forme elementari della vita religiosa, di Comunità, Milano, 1963 [1912].
Halbwachs M., La memoria collettiva,Unicopli, Milano,1987 [1950]
Jameson F., Il Postmoderno, Garzanti, Milano, 1989 [1984].
Mauss M. (con Beuchat H.), “Saggio sulle variazioni stagionali delle società eschimesi”, in Émile Durkheim e Marcel Mauss, Sociologia e antropologia, Newton Compton, Roma, 1976 [1906].
Olmo C., Architettura e novecento. Diritti, conflitti, valori, Donzelli, Roma, 2010.
Laura Martini