Danilo Correale, il vincitore della XIV edizione del Premio Ermanno Casoli è un artista molto particolare, quasi un antropologo, attento alle tematiche della precarietà, alle pratiche collettive, alle critiche al capitalismo neoliberista, agli sconfinamenti dell'arte nelle asperità della vita quotidiana e a creare collaborazioni fertili tra soggetti a prima vista incompatibili. Ha vinto con il progetto "The game", facendo un eccellente lavoro di scavo sulla trialettica e il calcio a tre porte, coinvolgendo i lavoratori di tre aziende del territorio senese (ColleVilca, PR Industrial, Trigano) colpiti dalla crisi e unendoli in un contesto sportivo in cui si valorizza la capacità di allearsi, di difendersi e creare reti di relazioni piuttosto che l'agonismo e la competizione. Si sono così messe su tre squadre (miste), si sono scelti i colori della maglie e i loghi, si sono organizzate le tifoserie i cui striscioni facevano riferimento alla crisi delle imprese e al rischio che correvano i lavoratori, si sono preparati gli allenamenti e infine giocata la partita a tre tempi in un campo ovviamente esagonale, un momento di condivisione e di lotta di classe favorito in ogni passaggio dall'iniziativa di Correale. Luoghi singolari ha collaborato fornendo un breve ma denso spunto teorico e critico sulla trialettica che si trova nel catalogo "The game" in italiano e in inglese e che qui postiamo in italiano.

La trialettica: comunismo o civiltà?

Daniele Vazquez

Con il fallimento dell’istituzione del mercato autoregolato e la dismissione del welfare è emersa una modalità alternativa e terza per provvedere al benessere e l’appagamento di bisogni e desideri dei cittadini: la reciprocità. Essa corrisponde a una mobilitazione dal basso dei cittadini che in mancanza di supporto pubblico e a rischio di esclusione a causa di un mercato sempre più spietatamente selettivo si autoproduce mezzi non-statali e regole che non corrispondono a quelle del profitto privato, il cui spazio è stato individuato da numerosi autori come lo spazio dei commons. Il discorso sullo spazio pubblico e la cittadinanza è sempre stato legato al mito della Polis la cui articolazione socio-spaziale era binaria: spazio pubblico e spazio privato. Tuttavia tale articolazione è in crisi, da un lato lo spazio pubblico è disertato e il suo statuto è mutato perdendo la sua caratteristica principale, ovvero la durevolezza e la permanenza, dall’altro lato lo spazio privato è sempre meno tutelato, la privacy fa sempre meno parte del nostro mondo, l’individualismo è sempre meno un mezzo efficace per ottenere vantaggi individuali e lo status della famiglia nucleare con il precariato è sempre più un lusso per privilegiati. In questa situazione sta emergendo un’articolazione spaziale più complessa che non sembra più essere riducibile a un’opposizione binaria e sempre meno riconducibile al modello classico della Polis, un’articolazione ternaria che vedrebbe oltre al pubblico e al privato anche il comune. Tale terzo spazio in cui le forme di reciprocità, condivisione, vivere insieme e cooperazione sociale sono alternative sia allo scambio commerciale che alla redistribuzione statale non ha trovato ancora del tutto un riconoscimento istituzionale, esso è per lo più una nuova e, allo stesso tempo, iniziale dimensione socio-spaziale prodotta dalla riscoperta della prossimità, dagli usi e il godimento diretto di beni, dalle pratiche d’invenzione della gente con le quali si mettono all’opera soluzioni originali per questioni biopolitiche che hanno una lunga storia. Si tratta di forme di scambio e gestione che si realizzano attraverso l’associazionismo, l’autogestione e in certi casi un vero e proprio autogoverno. Tale articolazione ternaria non è un fenomeno nuovo, ma senz’altro era sconosciuto alla Polis. L’agorà piuttosto che lo spazio del dialogo sta divenendo ovunque lo spazio per eccellenza della disputa e del conflitto aperto, per questa ragione è sempre più militarizzata, come scrive Ranciere: “il trattamento di un torto è la forma universale dell’incontro tra polizia e uguaglianza”. Non si può dialogare dove la premessa è che non ci sono alternative, se non l’uso della forza. L’articolazione ternaria era tipica delle città barbare e non dei civilizzati. La genealogia della trialettica porta a due autori-chiave, una corrente parte dalla controcultura britannica e dal Luther Blissett Project e ci porta alle teorie del pittore situazionista Asger Jorn, un’altra corrente parte dalla Scuola di Los Angeles, in particolar modo il geografo marxista Edward Soja, e ci porta al filosofo Henri Lefebvre. In entrambi i casi si tratta di una forma di pensiero profondamente implicata con l’organizzazione della città barbara. Non a caso la sua prima teorizzazione avviene in un testo di Jorn intitolato “Selvatichezza, barbarie e civiltà” e una sua più affinata argomentazione, in Lefebvre, l’associa con un terzo tipo di città che nulla ha a che vedere con la città orientale o la città classica, una città tripartita in pubblico, privato e comune: la città barbara. Il pensiero trialettico ha, dunque, il suo fondamento materiale proprio nella tripartizione dello spazio tipico della città barbara e tale pensiero, con la fine della città postmoderna, diviene quanto mai attuale, in quanto logica alternativa sia ai sistemi binari moderni che ai sistemi polivalenti postmoderni. Il nostro avvenire non è tra socialismo o barbarie, ma tra comunismo o civiltà, in quanto la civiltà è un forma-di-vita senza futuro e che si è dimostrata profondamente iniqua.