il quadrato semiotico degli ordinamenti spaziali 3/3
Con questo post si conclude il saggio "Il quadrato semiotico degli ordinamenti spaziali". Come abbiamo scritto nella parte 1/3 si tratta di un gioco che consapevolmente riduce la complessità dello spazio, accettare fin da subito questa premessa era la condizione preliminare del suo stesso inizio. Non c’è, dunque, alcuna pretesa di fornire un sistema definitivo degli ordinamenti spaziali, riteniamo, anzi che fortunatamente ciò, anche volendo, non sia possibile in alcun modo. Il divenire, l’evento, l’invenzione, le pratiche fanno invecchiare ogni teoria e ogni riflessione sullo spazio molto presto, per quanto avanzate possano essere. Soffermandoci per un istante su ciò che il quadrato semiotico ci obbligava a prendere in considerazione, riteniamo che oggi la partita più interessante e gravida di conseguenze si giochi sulle diagonali, tra i termini contradditori e conflittuali. Si tratta delle combinazioni che più ci hanno messo in difficoltà, era possibile rintracciare talvolta situazioni concrete, ma per lo più si tratta di situazioni ancora aperte e poco esplorate. Pensiamo che gli ordinamenti o disordinamenti spaziali che si annidano in queste relazioni contraddittorie e conflittuali, con la fine della crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo, la prima crisi globale space-based, saranno carichi di nuovi inizi, desiderabili o temibili. Buona lettura!
IL QUADRATO SEMIOTICO DEGLI ORDINAMENTI SPAZIALI
Sulle relazioni tra il comune, il pubblico, il privato e l’intimità.
Daniele Vazquez
(nella gallery l’immagine del quadrato semiotico, step 3 di 3)
Dalla combinazione del termine s2, spazio privato, e del termine s1, spazio intimo, ovvero la deissi negativa, abbiamo a seconda dell’intensità del termine s2, lo spazio dell’individuo e della famiglia o lo spazio della soggettività e della singolarità.
s2 + s1:
spazio dell’individuo e della famiglia
spazio della soggettività e della singolarità
Laddove lo spazio intimo è ad alta intensità di spazio privato, il mondo qualitativo individuale della soggettività, degli affetti e delle passioni trapassa nel mondo quantitativo degli interessi, della razionalità e dell’economico. E’ il passaggio dalla individualità intesa come unico e singolarità all’individuo inteso come homo economicus. Si tratta di due regni dell’individuale che concepiscono diversamente la libertà, in entrambi lo statuale è visto con sospetto se non come una minaccia. Dove l’individuale come soggetto razionale predomina, il mercato coincide quasi interamente con lo spazio pubblico. Questo è il luogo dove ipoteticamente ciascuno può stare dinnanzi all’altro come un individuo libero di trattare con altri individui secondo i propri interessi. Nel mercato inteso come luogo pubblico di riunione dei privati tende sempre a generarsi una situazione di esclusione e inclusione e di generalizzata ingiustizia socio-spaziale. Gli esclusi apparentemente sono stati soltanto i meno abili a trattare i propri interessi e, dunque, secondo un vecchio adagio i poveri che non hanno più i mezzi per esercitare in piena autonomia la propria individualità vanno considerati come causa del loro male. Ma vi è un lato oscuro del mercato che chiarisce meglio il motivo per cui si generino tali situazioni di disuguaglianza ed esclusione, un aspetto su cui Fourier ha insistito molto nelle sue opere: ovvero l’inganno. Secondo le teorie più brillanti del gioco[1] il baro non è un giocatore che tradisce le regole del gioco, ma un giocatore che gioca fino in fondo quel gioco e che vi appartiene profondamente, così è per il truffatore che popola i mercati: non è un individuo che trasgredisce le regole del mercato, che scredita gli altri mercanti onesti, ma che gioca fin in fondo con le regole del mercato e che rappresenta una figura che vi appartiene profondamente, fin dalla sua origine. Il truffatore se ha sufficientemente garanzie e certezze di impunità si comporta in modo del tutto razionale, fa i suoi interessi più e meglio di chi rispettando le regole formali dello scambio sacrifica parte dei propri interessi a un astratto interesse generale sovra-individuale. Veblen sostiene[2] più radicalmente di Fourier che non solo il mercato è popolato ovunque da queste figure che trasgrediscono le sue fragili regole, ma che i liberi individui che arrivano a costituirsi in classe dominante sono governati da interessi che corrispondono a un vero e proprio istinto di rapina, individui che hanno come loro alter ego il ladro. Il ladro è un’altra interessante figura del mercato, egli è effettivamente un individuo che non partecipa al gioco così come fa il truffatore, egli è più vicino alla figura del guastafeste, nondimeno non è meno razionale e non fa meno i propri interessi, è solo meno astuto. E’ colui che trasgredisce il principio su cui i mercanti onesti e disonesti si trovano in accordo, la proprietà privata. Ma anche qui, come il truffatore è un individuo che gioca con le regole del mercato fino in fondo, il ladro per Veblen partecipa dello stesso istinto di rapina di coloro che sono riusciti a costituirsi come classe agiata, con l’unica differenza che non sa adoperarsi alla rapina con mezzi legali. Laddove l’ordine pubblico corrisponde alla tutela del libero individuo esso sarà costruito attorno alla protezione della proprietà privata. Ma su due livelli: a livello sociale contro il ladro, che sarà dunque la figura per eccellenza del delinquente, a livello economico contro il truffatore, che sarà dunque la figura per eccellenza del disonesto. Ovviamente il reato del truffatore per quanto abbia potuto danneggiare più individui e più gravemente sarà sempre considerato con maggiore tolleranza del ladro che abbia potuto danneggiare un solo individuo trasgredendo anche solo simbolicamente con un piccolo furto il principio della proprietà privata. Per prevenire l’uno sarà prevista un’istituzione di regolazione del mercato, per prevenire l’altro un’istituzione di deterrenza, polizia e prigioni. Il mercante, il truffatore, il capitalista, il ladro sono tutte figure dello spazio privato fondato sul quantitativo e la razionalità. Ciò, nondimeno, non è sufficiente a spiegare la feroce ingiustizia socio-spaziale che storicamente il mercato ha generato. Tutte queste figure non spiegano come si sia generata una classe agiata, una classe di individui associati per governare e danneggiare a tutela dei propri interessi, con la forza degli smisurati mezzi acquisiti in parte con lo scambio, in parte con la truffa e in parte con la rapina legale, altri individui liberi. Questa situazione può in certe circostanze ingenerare un tale accrescimento dei poteri della sfera privata che questa può finire con l’esercitare la propria potenza proprio sullo spazio privato individuale inteso come spazio intimo, acquisendo le stesse funzioni e poteri di regolazione della vita che abbiamo visto per il termine complesso a predominanza di statuale. Il chiarimento è possibile solo se abbandoniamo l’equivoca utopia dei liberali di un mercato come regno di individui liberi, la quale già così si presenta come una situazione insostenibile se non vi siano polizia e prigioni. La mitologia liberale immagina la vita privata esclusivamente come la vita dell’individuo senza considerare che è, diversamente, anche la vita della famiglia. Cerchiamo ora di vedere quali siano le prerogative della famiglia. Intanto queste sarebbero in parte o in tutto negate da una perfetta e completa affermazione dello spazio sociale. Mentre la famiglia può rilasciare alcune sue prerogative alla sfera pubblica non può farlo con la sfera sociale senza minarsi alla base. Così come ogni spazio sociale è sempre minacciato da un’organizzazione perfettamente tribalizzata in un sistema di famiglie. I sistemi di famiglie che accrescono in modo abnorme la propria potenza ingenerano sempre clan, caste, aristocrazie, privilegi di nascita e guerre fratricide. Il fallimento dell’utopia liberale e del mito dell’individuo è nel non aver compreso che la sfera privata non fosse solo costituita dall’individuo, inteso come homo economicus, i cui comportamenti fossero razionali e prevedibili una volta conosciuti i suoi interessi, ma anche dalla famiglia la cui strutturazione e i cui interessi hanno sempre ostacolato quelli dell’individuo e reso impossibile una perfetta e corretta concorrenza. E’ qui che possiamo trovare anche il luogo dove si è generata l’idea di nazionalismo: lo spazio domestico è lo spazio della famiglia così come la patria è lo spazio domestico della famiglia nazionale. Il nazionalismo è sempre minacciato da una perfetta affermazione della società civile esattamente come lo è il sistema di alleanze tra famiglie. Allo stesso tempo la società civile è sempre minacciata da una perfetta affermazione del nazionalismo a meno che non accetti che il suo legame costitutivo non sia la socialità, ma la parentela, il sangue e il suolo, che sarebbe come dire: non essere più una società ma un popolo.
Se l’intensità dello spazio privato è minimo, si avrà uno spazio intimo nel quale non si ritroveranno i caratteri tipici dell’individuo inteso come homo economicus, uno spazio estraneo al mercato e a quello del sistema di alleanze tra famiglie. La cosa va considerata con diverse gradazioni d’intensità, ma prendendo i casi eccezionali come paradigmatici ci troviamo in presenza di relazioni tra individui governati dal qualitativo e da passioni anti-utilitarie, non regolamentate e in linea di principio non regolamentabili. Relazioni che negano del tutto la dimensione pubblica e in cui questa non può nulla, ma la cui esistenza è sempre messa a rischio da un’interferenza morale da parte della sfera sociale. Si tratta sempre di spazi relazionali sottratti alla società, che contraddicono con il loro manifestarsi l’ambito pubblico e che mancano di alcuni requisiti per dirsi realmente privati. Nell’ambito delle passioni può essere lo spazio relazionale non-pubblico di una coppia di amanti, il loro essere coppia è talvolta tutto e può trascendere completamente il momento individuale. Le vite private degli amanti vengono negli istanti di maggior intensità del tutto dimenticate e quando riappaiono tendono a minacciare la loro unione e complicità. Questa situazione è ancora più evidente in quello spazio effimero ma pieno di spessore qualitativo nel quale due individui scelgono di unirsi una sola volta o solo occasionalmente. Ciò che condividono non ha alcuna qualità sociale, il loro comportamento è quanto di meno vicino al pubblico esiste nelle nostre civiltà, si tratta di uno spazio in cui la sfera privata rappresenta solo un freno, un monito, un invito ad essere prudenti, a non abbandonarsi, a non concedersi del tutto, a non andare contro i propri interessi. Quando le prerogative della vita privata reclamano i propri diritti il gioco diviene doppio, la distanza ostacola l’abbandonarsi, lo spazio dell’amore è desiderato e allo stesso tempo temuto. Spazio pubblico, spazio privato, spazio sociale, tutti spazi che possono essere ridotti al punto di non poter interferire in alcun modo, il mondo è del tutto tagliato fuori. Lo stesso vale in una forma decisamente diversa per le amicizie che raggiungono una grande profondità d’intesa e per il rapporto di ciascuno con le cose che affettivamente distinguono la propria singolarità, oppure ancora il rapporto con il proprio corpo, i propri sogni, i propri ricordi. Si tratta di elementi che entrano a far parte di una costellazione unica e irripetibile con la quale si instaura un legame al limite dell’incomunicabilità e la cui restituzione allo spazio privato può passare per il diario e la poesia. E’ lo spazio della soggettività e della singolarità, più che dell’individuo vero e proprio, uno spazio che se rivendicasse il suo primato minaccerebbe l’ordine pubblico del mondo e lo getterebbe nel caos, che talvolta trova forme di condivisione che sembrano poter riempire tutto lo spazio della vita ma la cui esistenza è in realtà precaria e incerta giacché ciascuno dovrà continuare a rispondere alle regole del mondo e diversi saranno i destini privati. La regolamentazione di questo spazio da parte dei poteri pubblici è impensabile, se non in una forma contraddittoria che finisce per corromperlo e fargli perdere ogni autenticità. L’unica possibilità di frenare davvero le spinte irrazionali della soggettività e della singolarità qualora si volgano contro la vita associata è stato il controllo sociale più che il controllo pubblico e statuale. Lo spazio sociale è l’unico antidoto efficace contro questo spazio anarchico, le cui pretese sono relegate nella clandestinità e nei mondi sotterranei più che nel privato.
Le relazioni contraddittorie, chiamate da Greimas e Rastier “schemi”, sono come le sovrapposizioni quantistiche, rispondono a una logica fuzzy o agli stati-T (stati dove è immaginabile un “terzo incluso”) di Stéphane Lupasco. Non sono presi in seria considerazione dalla logica classica e anche quando sono presi in considerazione gli esempi che si portano sono solitamente immaginari. Uno classico è il seguente: se il termine s1 è vita e il termine s1 è non-vita avremo gli zombie o i vampiri. Invece per quanto riguarda lo spazio queste relazioni appaiono sorprendentemente cariche di senso. Sembrano indicarci i fenomeni più recenti di riorganizzazione degli ordinamenti spaziali contemporanei. Ad esempio, se supponiamo che spazio pubblico, il termine s1, sia combinabile con lo spazio che lo nega, lo spazio non-pubblico, lo spazio intimo, il termine s1, avremo due possibilità: prendere in considerazione che questa relazione contraddittoria sia dominata dal termine primitivo o al contrario dal termine residuale. In un caso avremo lo spazio biopolitico e nell’altro quello che l’urbanista Bianchetti ha chiamato “spazio pubblico intermittente del nuovo ceto medio”.
s1 + s1
spazio biopolitico
spazio pubblico intermittente del nuovo ceto medio
Se è lo spazio pubblico a dominare questa relazione contraddittoria dovremmo prendere in seria considerazione che i poteri pubblici e lo statuale possano farsi carico delle prerogative dello spazio intimo. Abbiamo visto che la relazione tra spazio intimo e spazio sociale è una combinazione del tutto ordinaria, ma cosa succede quando sono i poteri pubblici e lo statuale a ritenere che sia un questione di sicurezza nazionale raccogliere informazioni sullo spazio intimo dei suoi cittadini per poterli classificare e amministrare più in profondità? E qualora un sistema del genere funzionasse in quali recessi si sposterebbe lo spazio intimo? Foucault nel suo libro “La volontà di sapere”[3] aveva previsto questa combinazione. Qui non parliamo di quelle circostanze in cui lo spazio della soggettività e della singolarità ha minacciato nella forma del delitto o della malattia lo spazio pubblico e in cui quest’ultimo ha reagito escludendo i corpi e, allo stesso tempo, re-includendoli in prigioni, manicomi, ospedali, confini, inventando le istituzioni totali, ovvero le prime istituzioni nelle quali si è tentato di dominare il paradosso spazio pubblico/spazio intimo. Lo spazio intimo finisce sempre per minacciare l’ordine dello spazio pubblico e i poteri pubblici hanno dovuto ammetterlo anche qualora questo non si fosse presentato nella forma del delitto e l’hanno potuto controllare identificandosi profondamente e populisticamente con lo spazio sociale, l’unico spazio che può prendersi carico realmente di un controllo dello spazio intimo. E’ la nascita della società del controllo e della biopolitica. Dal campo di concentramento ai centri di permanenza temporanea (poi centri di identificazione ed espulsione), nei quali si è reclusi per un unico delitto: essere dei corpi out-of-place. Fino al controllo informale dello statuale sull’intera popolazione esercitato direttamente sulle strade e le piazze delle città o attraverso l’intercettazione e immagazzinamento di informazioni banali - con la diffusione di nuovi dispositivi attraverso i quali allo stesso tempo passa la maggior parte della comunicazione intima e il suo immagazzinamento da parte di agenzie private che hanno come committenti i poteri pubblici. L’obbiettivo contrariamente a quello formale non sono i comportamenti delittuosi ma l’interferenza della soggettività e della singolarità nello spazio pubblico. Altrove abbiamo scritto come questo tipo di controllo lavori contro l’esistenza stessa dei flâneur e dei poeti[4], coloro che più di ogni altro nella modernità hanno trovato i loro piaceri e le loro ispirazioni in certe sorprendenti corrispondenze tra lo spazio intimo e lo spazio pubblico urbano. Allo statuale non basta più classificare gli individui per amministrarli in quanto individui, per le loro opinioni politiche, per il loro orientamento culturale o sessuale dichiarato o la loro appartenenza etnica, vuole avere presa anche sulla soggettività che eccede l’individuo. Non si tratta più di controllare lo spazio privato, ma sopratutto quello intimo perché allo statuale non interessa più solamente ciò che gli individui pensano di essere in pubblico e in privato, ma ciò che li eccede e che potrebbe essere fuori controllo. Ciò che si richiede, con la persuasione o la minaccia, è l’aderenza dell’interiorità all’ordine pubblico così che lo spazio pubblico divenga non più solo la riunione dei privati in pubblico ma la riunione delle soggettività normalizzate in pubblico. Si tratta di uno spazio pubblico in cui si fa il deserto preventivamente di ogni evento della soggettività e della singolarità, prima che possano manifestarsi in forme desiderabili o meno, delittuose o meno. Naturalmente lo statuale non avrebbe alcun modo di controllare davvero la soggettività e la singolarità che eccedono l’individuo se non vi fosse una società civile in buona parte composta da soggettività e singolarità già normalizzate che si mobilitase volontariamente a contenerle nell’interesse generale. La vita pubblica è oggi presa in un double bind che la sta distruggendo lentamente. Infatti, man mano che il pubblico avoca di fatto a sé anche le prerogative dello spazio intimo, perde di forza, perché assimilando quelle forze mina alla base la sua stessa certezza del mondo. Lo spazio pubblico collassa per molte ragioni, una di queste è il suo tentativo di assimilare il suo termine contradditorio e di fondarsi su questa combinazione equivoca. Allora non ci sembra sorprendente, di contro, che qualora episodicamente domini il paradosso il termine residuale, ovvero lo spazio intimo, ci ritroviamo con tutto un proliferare di pratiche artistiche, sperimentali, trasgressive, attiviste che portano apertamente le pretese dell’intimità nello spazio pubblico o riproducono uno spazio pubblico negli spazi tradizionalmente pensati per l’intimità. Azioni temporanee di piccole équipe che tentano di ricostituire lo spazio pubblico in crisi e che si fondano proprio sullo stesso equivoco di base che è all’origine di quella crisi. Si tratta di pratiche che stanno creando una nuova concezione dello spazio pubblico che Cristina Bianchetti ha chiamato “lo spazio pubblico intermittente del nuovo ceto medio”. Pur partendo da un malinteso questa concezione dello spazio pubblico è un possibile antidoto alla portata di chiunque per rovesciare il dominio paradossale dei poteri pubblici sullo spazio intimo laddove esistono solo in forma germinale pratiche politiche e linguaggi davvero radicali all’altezza della nuova situazione.
Se supponiamo, ora, che “spazio privato”, il termine s2, sia combinabile con lo spazio che lo nega, lo spazio non-privato, lo “spazio sociale”, il termine s2, abbiamo due possibilità: prendere in considerazione che questa relazione contraddittoria sia dominata dal termine primitivo o, al contrario, dal termine residuale. In un caso avremo lo spazio tribale e nell’altro lo spazio del nuovo essere-in-comune.
s2 + s2
spazio tribale
spazio del nuovo essere-in-comune.
Se è l’ambito privato a dominare il suo elemento contradditorio, lo spazio sociale, avremo una società senza lo statuale ma ridotta a un mercato, in cui la specie passa in ogni campo dell’esperienza a relazioni che si stabiliscono sul modello del contratto tra individui liberi e in cui ogni violazione del contratto significa allo stesso tempo un dileguamento della sociabilità. Ma una società così incorporata nell’elemento privato sarebbe allo stesso tempo ridotta anche a meta-famiglia. La società civile sarebbe assimilata alla logica del sistema di alleanze tra famiglie, frammentandosi al suo interno in clan, caste, tribù. I privilegi di nascita sarebbero formalizzati e la violenza fratricida o quella tra famiglie dilagherebbe. Le civiltà umane hanno conosciuto questo paradosso nella forma del nazionalismo che da una parte incorpora, in quanto meta-famiglia basata sulla parentela, il sangue e il suolo, la società civile e dall’altra permette l’esistenza del mercato regolando con la forza il rapporto conflittuale tra capitale e lavoro. In questa situazione coloro che possono considerarsi individui liberi sono dei privilegiati che hanno acquisito tale status per la loro appartenenza a un clan, a una casta o una burocrazia. Diversamente, il dominio del paradosso da parte della società civile tende ad estinguere allo stesso tempo l’individuo e la famiglia. Anche qui, la predominanza del termine residuale ha sempre avuto meno gioco e si è presentato in modo oscillante ed episodico, esso è particolarmente vivo nelle riflessioni filosofiche su un nuovo modo dell’“essere-in- comune” che eviti gli aspetti meno desiderabili dello “spazio del comune” e trattenga alcuni aspetti auspicabili della vita privata pur nel tentativo di assimilarla e superarla. I filosofi sono coloro che più si sono cimentati nell’immaginare questa relazione contraddittoria, coloro che più di ogni altro hanno tentato di ritagliare uno spazio sociale per tutto ciò che eccede l’individuo. Il termine “desoggettivizzazione” utilizzato da Deleuze e Guattari ci sembra più adeguato a una socializzazione del desiderio, dunque alla situazione che risulta dalla combinazione dei sub-contrari “spazio sociale” e “spazio intimo”, invece, in questo caso, riteniamo più appropriata la formulazione di una “molteplicità qualunque” così come si ritrova in Badiou[5]. Riteniamo che si tratti di uno spazio sociale che assimila alcune prerogative quantitative che abbiamo visto tipiche dello spazio privato, le cui nuove proprietà fin qui sconosciute possiamo ritrovare nel concetto di Agamben di “singolarità qualunque”[6]. Quel “qualunque” è un termine che dilegua l’aspetto identitario di individui e famiglie, che tenta di risolvere la contraddizione per renderli compatibili con uno spazio sociale. Qui l’estinzione della famiglia non corrisponde con la sua morte come situazione liberamente scelta, potendo questa resistere nello spazio delle singolarità, ma solo del suo statuto giuridico. La famiglia è tenuta dalla società civile in uno stato di intangibilità e, allo stesso tempo, di possibilità ed eguaglianza dinnanzi ad altre declinazioni relazionali possibili espresse dalla collettività. In entrambi i casi, dominio del paradosso da parte dello spazio privato e dominio del paradosso da parte dello spazio sociale, il termine contraddittorio scava e mina alla base il termine che cerca di assimilarlo. Così nella prima situazione lo spazio privato incorporando la società finirebbe per regredire alla logica della guerra tra tribù, a forme primitive e frammentarie di spazio sociale, tanto che per darsi delle regole dovrebbe necessariamente, così come nei momenti più arcaici delle civiltà umane, trovare un principio di unificazione di natura teologica o ideologica, di una riduzione ad uno della società attraverso una divinità, un sovrano o un tiranno, tutte figure dell’individuale che possono anche presentarsi in modalità ternarie recuperando la figura della famiglia, dinnanzi al quale pacificarsi e recuperare un minimo dell’eguaglianza perduta. Nel secondo caso, la società incorporando l’elemento privato finirebbe per assomigliare più che a una nuova forma di spazio del comune, a un capitalismo senza individui e senza famiglie, alcuni aspetti del quale possiamo ritrovare nell’innovativo stile di vita dei precari. Lo spazio sociale dei precari non è uno spazio del comune o è uno spazio del comune spurio, corrisponde piuttosto a un nuovo tipo di spazio sociale che ci sembra prefigurato da quei luoghi singolari [7] dalle “pareti sottili” che Peter Sloterdijk chiama “bolle” e che qui intendiamo in un’accezione più intersoggettiva che diadica [8]. Si tratta di una forma di capitalismo anti-identitario i cui esiti e le cui forme di liberazione o sfruttamento possiamo forse già immaginare rintracciandole nelle teorie più radicali del postmodernismo e degli studi culturali [9].
Conclusioni
Lungo il nostro percorso abbiamo seguito passo passo i rapporti logici tra i quattro tipi di spazio ipotizzati all’inizio, scelta che ci ha costretti ad utilizzare radicalmente l’immaginazione socio-spaziale. Si tratta, tuttavia, di un percorso che dovrebbe essere ulteriormente approfondito, senza dubbio non sono state prese in considerazione tutte le possibilità e tratte tutte le conseguenze necessarie dall’esame delle articolazioni tra i quattro termini e dai termini complessi che risultavano dalle loro combinazioni. Come abbiamo scritto all’inizio si tratta di un gioco che consapevolmente riduce la complessità dello spazio, accettare fin da subito questa premessa era la condizione preliminare del suo stesso inizio. Non c’è, dunque, alcuna pretesa di fornire un sistema definitivo degli ordinamenti spaziali, riteniamo, anzi che fortunatamente ciò, anche volendo, non sia possibile in alcun modo: il divenire, l’evento, l’invenzione, le pratiche fanno invecchiare ogni teoria e ogni riflessione sullo spazio molto presto, per quanto avanzate possano essere. Soffermandoci per un istante su ciò che il quadrato semiotico ci obbligava a prendere in considerazione, riteniamo che oggi la partita più interessante e gravida di conseguenze si giochi sulle diagonali, tra i termini contradditori e conflittuali. Si tratta delle combinazioni che più ci hanno messo in difficoltà, era possibile rintracciare talvolta situazioni concrete, ma per lo più si tratta di situazioni ancora aperte e poco esplorate. Pensiamo che gli ordinamenti o disordinamenti spaziali che si annidano in queste relazioni contraddittorie e conflittuali, con la fine della crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo, la prima crisi globale space-based, saranno carichi di nuovi inizi, desiderabili o temibili. E’ possibile che qualcuno con più immaginazione, rispettando le regole di questo gioco, utilizzando altri tool o procedendo contro ogni metodo, possa stravolgere completamente la nostra interpretazione. Senz’altro ci siamo impegnati in questi ragionamenti perché insoddisfatti del dibattito sullo spazio pubblico e dell’inconsistenza di tante teorie dello spazio pubblico, con importanti eccezioni, in cui ci siamo imbattuti. Non abbiamo dubbi che vi siano studiosi più preparati di noi che possano rompere questi schemi con una semplice osservazione, è già accaduto durante la sua stesura, cosa che ci ha spinti diverse volte a correggere le nostre conclusioni. Ne saremmo felici perché questi sono i momenti più produttivi e innovativi e in cui si avanza davvero. Con il quadrato semiotico degli ordinamenti spaziali vorremmo, quindi, solamente portare un piccolo contributo che speriamo utile a una discussione che riteniamo decisiva e alle ricerche che verranno sul destino dello spazio condiviso così come abbiamo imparato a conoscerlo fino ad ora.
[1] Caillois R., I giochi e gli uomini, Bompiani, 1989, Milano; Huizinga J., Homo ludens, Il saggiatore, 1983, Milano.
[2] Veblen T., Teoria della classe agiata, Il saggiatore, 1969, Milano.
[3] Foucault M., La volontà di sapere, Feltrinelli, 1984, Milano.
[4] Vazquez D., Manuale di psicogeografia, Nerosubianco, 2010, Cuneo.
[5] Badiou A., Manifesto per la filosofia, Cronopio, 2008, Napoli; Badiou A., Secondo manifesto per la filosofia, Cronopio, 2010, Napoli.
[6] Agamben G., La comunità che viene, Einaudi, 1990, Torino.
[7] Manifesto del Centro di Ricerca dei Luoghi Singolari, 2004, Roma.
[8] Sloterdijk P., Il mondo dentro il capitale, Meltemi, 2006, Roma; Sloterdijk P., Sfere I. Bolle, Meltemi, 2009, Roma.
[9] Per una panoramica degli aspetti meno desiderabili del postmodernismo radicale: Eagleton T., Le illusioni del postmodernismo, Riuniti, 1998, Roma.