33 tesi contro la geografia, senza scendere a compromessi con le teorie sulla "fine della geografia" o con le diverse critiche della geografia assimilabili all'ordine delle geografie critiche radicali, marxiste, anarchiche o postmoderniste, per rendere evidente come una disciplina così apparentemente innocua e senza controindicazioni contenga in realtà, in tutte le sue declinazioni, positiviste o umaniste, quantitative o qualitative, accademiche, militari o militanti, dei danni e dei rischi per la vita tali da poterla in breve tempo annientare. Ovviamente si tratta di un esercizio ludico, un testo scritto di getto e con un certo divertimento, che porta paradossalmente fino alle sue estreme conseguenze la dichiarazione d'amore per lo spazio dell'autore, ma che non va preso troppo sul serio. Le critiche alla geografia ufficiale, quella accademica e quella dei militari, di Yves Lacoste in Francia, di Massimo Quaini in Italia, di David Harvey e Edward Soja negli States sono tutt'altro che dannose. E la proposta dei geografi di Herodote di una geografia che sia "uno strumento di emancipazione delle classi subalterne", che inviti a "saper pensare lo spazio per potercisi organizzare e lottare" è ancora valida oggi ed è la posizione di luoghisingolari sull'argomento.

Bence Hajdu, Abbandoned Paintings, 2012

Sull’utilità e il danno della geografia per la vita

  1. Di tutte le discipline scientifiche, la geografia sembrerebbe quella più a-problematica e priva di contraddizioni interne. Eppure è una scienza il cui statuto epistemologico non è mai stato chiarito completamente. La sua prolungata crisi di coscienza l’ha portata a occuparsi praticamente di tutto ciò che riguarda la terra e l’uomo sempre più in profondità, dalla geologia alle neuroscienze, dalla meteorologia all’antropologia, dall’ingegneria informatica all’estetica, dalla pianificazione territoriale alla finanza. A globalizzazione avvenuta è diventata la coscienza infelice della specie umana.
  2. Nel 1946 sul pianeta terra già non vi erano più terrae incognitae e la geografia sembrava arrivata a un punto morto. Quell’anno John K. Wright all’apertura del quarantatreesimo incontro annuale dell’Associazione dei Geografi  Americani di cui era presidente disse “se per terra incognita intendiamo  un’area  che ignoriamo totalmente allora oggi non esistono più terrae incognitae sulla faccia della terra”. Tuttavia vi erano due possibilità di uscita da questa impasse, avvicinare la mappa al territorio perché “se noi osserviamo abbastanza da vicino la terra intera appare come un immenso patchwork di terrae incognitae in miniatura … se oggi non c’è una terra completamente incognita, allo stesso tempo non c’è una terra completamente cognita”. L’altra possibilità consisteva nell’esplorare le rappresentazioni, le idee e gli immaginari collettivi che le popolazioni avevano dei propri territori, poiché “le più affascinanti terrae incognitae sono quelle che giacciono nelle menti e nei cuori degli uomini”. La prima ipotesi fu scartata (ma solo temporaneamente), la seconda preparava l’assalto alle scienze sociali reinventando di nuovo discipline che già esistevano da anni come la morfologia sociale di fine XIX secolo.     
  3. Dagli anni Ottanta in poi benessere, felicità, libertà, creatività, ricchezza sembravano essere finalmente garantiti da un abbandono della modernità. Tutti i discorsi contro le metanarrazioni moderne finivano con l’invocare nuovi territori da esplorare e una nuova geografia. La geografia divenne così anche una delle principali nuove metanarrazioni che i postmoderni si volevano sentir raccontare. Il furore contro il passato era tale che l’epoca si sentiva nuova, ma era anche senza futuro, così non rimaneva che cartografare le contrade del presente, come se questo fosse eterno.
  4. Non vogliamo negare che la geografia non sia stata utile e indispensabile fino a un certo punto, ma essa non ha mai avuto nulla d’innocente fin dai tempi di Erodoto e Strabone.  Nel XIX secolo la geografia aveva tuttavia ancora tutti i requisiti per diventare un possibile strumento per l’emancipazione e l’unità spirituali della specie. Non è un caso che militassero tra le sue fila rivoluzionari come Reclus e Kropotkin. Nondimeno, a partire dal secondo dopoguerra e, in particolare, durante la postmodernità, essa si è rivelata sempre più apertamente come un mezzo perfetto per l’esercizio del potere. La geografia non era più solo una disciplina ambigua divisa tra sfruttamento ed emancipazione delle moltitudini, era diventata manifestamente una delle più insidiose e dannose per la vita, dannosa almeno quanto la storia ai tempi di Nietzsche.
  5. Nel tentare di difendere le ragioni della vita contro quelle della geografia andrà sempre tenuto a mente che non significa difenderla contro quelle dello spazio. Diversamente le ragioni dello spazio, per la sua inerzia e opacità, sono quelle della vita stessa.  Difendere le ragioni dello spazio è prendere partito sempre a favore del corpo. Non si tratta di arretrare dalla spazializzazione del pensiero contemporaneo, ma al contrario di dimostrare come questa stessa spazializzazione portata fino in fondo, con il fallimento del postmodernismo, ci conduca di pari passo inesorabilmente a una sommossa contro la geografia.
  6. Non stiamo portando avanti una critica della geografia che sia poi facilmente assimilabile all’ordine delle diverse geografie critiche d’impostazione postmoderna, radicale, marxista o anarchica, ma rendere evidente come una disciplina così apparentemente innocua e senza controindicazioni contenga in realtà, in tutte le sue declinazioni, positiviste o umaniste, quantitative o qualitative, accademiche, militari o militanti, dei danni e dei rischi per la vita tali da poterla in breve tempo annientare.
  7. Tutte le critiche alla geografia sono state, di fatto, allo stesso tempo, delle geografie critiche. Con la conversione al socialismo marxista del geografo liberale David Harvey non ci siamo fatti mancare una geografia marxista. Come se non bastasse dalla conversione al postmodernismo di un geografo che voleva fondare una rivista intitolata “Anti-Post”, Edward Soja, abbiamo avuto anche una geografia postmodernista. Da questo momento in poi alla geografia non sfuggiva più neanche la critica post-coloniale, femminista o queer e le relative lotte. Abbiamo così avuto una geografia femminista, una geografia queer e tante geografie quante erano le culture “subalterne”.  Ovviamente anche le culture che vogliono parlare con la propria voce e non considerarsi “subalterne” non sono al riparo dalle attenzioni della geografia: in questo caso avremo tanti geografi nativi quante sono le culture native
  8. Tutto ciò che i postmoderni non volevano più trovare nella storia hanno voluto trovarlo, anche qualora fosse difficilmente immaginabile, nella geografia. Paradossalmente quest’atteggiamento ha prodotto la coesistenza di tutte le epoche nello stesso spazio. L’eclettismo storicista non è che il risultato di questo rifiuto incondizionato di pensare il tempo. Tuttavia non è stata una mossa a favore dello spazio, in quanto questo è stato trasformato in una pattumiera della storia.
  9. Nel XIX secolo all’interno dell’internazionalismo operaio per un brevissimo periodo alla differenza tra marxisti e anarchici sembrò corrispondere quella tra storia e geografia.  L’approccio era in entrambi i casi positivista e le radici idealiste. Se da un lato abbiamo un Marx allievo di Hegel dall’altra abbiamo un Reclus allievo di Ritter. Ma qui non vogliamo prendere le parti dello storicismo marxista contro quelle della geografia umana anarchica o viceversa. I geografi anarchici consideravano il materialismo storico poco attendibile scientificamente perché inquinato dalla “metafisica” hegeliana, mentre i marxisti non hanno mai capito per quale ragione nella Nouvelle Géographie Universelle di Reclus si trovasse così poca critica politica. Questa divisione, come ampiamente dimostrato dai situazionisti non ha più ragion d’essere da molto tempo e non solo perché i situazionisti praticavano la deriva psicogeografica.
  10. Ferretti, un grande studioso di Reclus ha recentemente scritto: “ Se per Ritter al centro del sistema c’era Dio e per l’altro suo ‘seguace’ Friedrich Ratzel… ci sarà lo Stato, per Reclus c’è l’Umanità”. Ai nostri tempi sarebbe troppo comodo dire che ci troviamo dopo l’umanismo e che ci occorrerebbe una geografia che abbia al centro del sistema un’adeguata filosofia del post-umano. Non ci addentreremo qui nelle debolezze del pensiero di Nietzsche e Heidegger, ci limiteremo a dire che il primo e più grande tentativo di andare oltre l’umano fu quello di Max Stirner, tentativo decostruito pagina per pagina da Karl Marx. Quella decostruzione è una lezione valida ancora oggi contro ogni pretesa di trascendere la specie umana.
  11. Oggi non ci sono dubbi sul fatto che la geografia dei professori sia altrettanto pericolosa di quella dei militari. Ma non basta dimostrare che in entrambi gli ambiti la geografia sia sfacciatamente uno strumento di colonizzazione, controllo, dominazione e governo di popolazioni e territori e rivendicare con Yves Lacoste una geografia come strumento di presa di coscienza delle moltitudini contro quella ufficiale. La geografia è pericolosa in ogni sua forma, ufficiale o militante. Questa situazione è il risultato della sua capacità ormai di avere una visione sinottica prima impensabile degli spazi interni: soggettività, spazi chiusi e corpi. Lavorano a quest’assoluta trasparenza del globo figure professionali molto diverse tra loro: non solo geografi, urbanisti, architetti, sociologi e antropologi, ma ovviamente anche ingegneri informatici e artisti, manager della finanza e romanzieri, militari e viaggiatori…
  12. Ciò cui assistiamo non è la fine della geografia come affermato dall’economista Richard O’Brien nel 1991 o dall’urbanista Paul Virilio nel 1997. Per il primo le tecnologie dell’informazione e della comunicazione unite alla deregulation economico-finanziaria avrebbero spazzato via gli Stati-Nazione e ogni possibilità di geografia, per l’altro il dominio del paradigma della velocità sulla vita avrebbe azzerato le distanze trasformando il globo in un mondo tanto piccolo da rendere la geografia ormai inessenziale.  O’ Brien è recentemente tornato sui suoi passi ammettendo che il capitalismo finanziario quando è in crisi ritrova la necessità di localizzarsi ed è passato a teorizzare una geografia della finanza. Quanto alla teoria di Virilio si tratta di un sogno o un incubo che si scontra contro l’inerzia ineliminabile dello spazio. Dunque, noi non ci uniremo a coloro che dopo la fine della storia dichiarano anche la fine della geografia, la geografia non ha ancora compiuto il suo destino: quello di rendere il mondo assolutamente trasparente. Inoltre, anche qualora tale destino fosse raggiunto non si tratterà ancora della sua fine, ci sarà solo uno spostamento del suo oggetto d’indagine: ciò che gli competerà sarà esclusivamente lo spazio artificiale i cui tratti distintivi saranno il continuo mutamento e la prevenzione del rischio in ogni sua forma. Non sarà la fine della geografia ma la geografia della fine.
  13. Se la geografia fosse davvero finita avremmo avuto in futuro molti meno rischi da correre, invece il problema è che si tratta di una disciplina sempre più strategica per l’amministrazione, la gestione e la pianificazione del sistema-mondo. Stando così le cose ci occorre urgentemente sviluppare un’immaginazione spaziale non-geografica, dovremmo inventare dei nuovi comportamenti che ci permettano di popolare lo spazio come se la geografia fosse per noi ormai lettera morta. In questo senso potremmo parlare di un immaginario e di comportamenti post-geografici, ma non certo nel senso di una effettiva fine della geografia e del suo potere. Un immaginario e dei comportamenti post-geografici sufficientemente evoluti dovrebbero essere in grado di metterci nella condizione di produrre delle pratiche che tendano a restituire all’opacità ciò che la geografia rende eccessivamente trasparente.
  14. Non sempre i migliori geografi erano degli esploratori o dei viaggiatori, spesso anzi erano i geografi da tavolino grazie ai numerosi collaboratori che percorrevano i quattro angoli del globo a riuscire nelle sintesi più efficaci.  Si potrebbe pensare che oggi non via sia più alcuna necessità di inviare esploratori per il mondo, a meno che non si considerino tali i precari che lavorano con le google car. Ma dipende dall’ambizione del potere che sta dietro all’impresa geografica e oggi tale ambizione è smisurata. Chi sono oggi i migliori esploratori che lavorano per i nuovi geografi da tavolino? Siamo noi, e gratis.
  15. La geografia è un database spazializzato, un sistema spaziale d’informazioni sulle forme-di-vita  attraverso il quale poter prendere decisioni strategiche in ogni ambito biopolitico. La mappatura della soggettività nello spazio è stata per lungo tempo prerogativa di artisti, architetti o filosofi. Tutti loro non erano nella posizione di poter restituire un’esperienza sufficientemente certa sulla quale garantire l’ordine o il disordine del mondo, potevano nel migliore dei casi ambire alla riproduzione selettiva di un certo tipo di soggettività. Quest’approccio al rapporto tra soggettività e spazio ha però anticipato e ispirato quello neopositivista: oggi è la neuroscienza che si sta incaricando di mappare la soggettività nello spazio.
  16. L’artista Christian Nold è l’inventore nel 2004 del biomapping. Attraverso un dispositivo che unisce un sensore che misura il Galvanic Skin Response  (GSR) e un GPS trovò il modo  di localizzare su mappa le reazioni emozionali di chi lo utilizzava mentre camminava. Nold aveva iniziato con l’intenzione di produrre un evento artisticamente apprezzabile e questi eventi,  apparendo innocui e divertenti, spesso si avvalgono della mobilitazione volontaria di numerosi utenti dei social network, ma poi vi sono state imprese che si sono seriamente interessate al suo dispositivo. Egli collabora con istituzioni e aziende soprattutto nel campo della pianificazione urbana, ma denuncia che la sua idea è stata imitata da numerose istituzioni e aziende con cui non ha nulla a che fare. Nold cerca di difenderla con il diritto d’autore, ma ormai la strada è spianata e non ci sarà modo di fermare l’avvento di questa particolare declinazione della neurogeografia.
  17. Quanto agli spazi chiusi, sono numerose le applicazioni per smartphone come Place Raider già disponibili che permettono di  mapparli e che permetteranno in futuro di esplorarli come fossero strade e piazze. Si tratta di applicazioni spesso sviluppate da ricercatori universitari finanziate da agenzie governative o apparati militari.  Quando vengono presentate al pubblico si fa sempre allusione all’uso deviante che ne potrebbero fare hacker ladri e mai a strategie di controllo, governo e amministrazione informali della popolazione da parte di  stati e corporation. Ovviamente una tale mappatura sarà solo in parte il risultato di una consapevole collaborazione degli utenti, molto più probabilmente tali applicazioni verranno propagate volutamente come malware e mapperanno gli spazi interni del globo all’insaputa dei loro abitanti e frequentatori. Una volta all’interno dello smartphone saranno in grado di fotografare a ciclo continuo lo spazio interno rendendolo navigabile.
  18. Progetti come Memoto, nato attraverso il crowdfunding, e altri che promettono ancora maggiore definizione permetteranno attraverso una piccolissima telecamera  appesa al collo di documentare e georeferenziare ogni 30 secondi tutta la propria vita. Non è lontano il tempo in cui invece di un indirizzo potremmo digitare il nome e cognome di un individuo ed esplorarne percorsi, luoghi e incontri. I corpi stessi saranno diventati luoghi geografici. Non dovremo attendere molto per questa ultima chiusura della mappa e l’impresa sarà possibile grazie alla mobilitazione volontaria delle popolazioni del mondo e il loro consenso entusiastico.
  19. Saranno dunque i dispositivi il mezzo con cui le popolazioni mondiali saranno mobilitate alla collaborazione talvolta consensuale di questa  geografia universale definitiva. Satelliti, telecamere, immersive media ufficiali non bastano più. Saranno i dispositivi che si utilizzano quotidianamente a completare la cartografia intensiva del globo. In una tale geografia universale il mondo soggettivo sarà finalmente reso trasparente da statistica e neuroscienza,  gli spazi interni, ultime riserve del mondo selvaggio, navigabili come gli spazi esterni e i corpi monitorabili e le loro esperienze scaricabili come una serie tv. Le geografia universale definitiva sarà un infallibile strumento di controllo che renderà i movimenti, le traiettorie, le pause e le emozioni dei sette miliardi di corpi nello spazio del tutto prevedibili e anticipabili.
  20. Tale obbiettivo non solo non è lontano ma è già parzialmente raggiunto, quei  territori che sfuggono ancora alla gestione e al governo della geografia  come nelle società disciplinari di un tempo implicano la presenza di sentinelle sul posto. La geografia universale definitiva sarà compiuta quando non ci sarà più alcun bisogno di ingegneria sociale e l’intelligence sarà quasi del tutto affare di precari in telelavoro.
  21. La lotta della geografia per la trasparenza totale è una lotta contro lo spazio, contro la sua inerzia e contro la sua opacità. Non si può vincere l’una senza vincere anche l’altra. Vincere l’inerzia senza vincere contro l’opacità significa facilitare la mobilità della popolazione mondiale e aumentare i fattori di imprevedibilità, instabilità e agitazione del sistema-mondo. Vincere l’opacità senza vincere l’inerzia significa facilitare ovunque le mobilitazioni locali delle popolazioni contro qualsiasi governo del territorio che faccia gli interessi del capitale globale. Ma vincerle entrambe significa eliminarne le controindicazioni e permettere una completa gestione degli eventi.
  22. La geografia si occupa della lotta contro l’inerzia dello spazio quando incrementa il proprio potere di individuare flussi globali di ogni sorta e determinarne le contiguità a-spaziali, quando incrementa il proprio potere di diminuire la durata dei percorsi e della configurazione dei territori.  Si occupa della lotta contro l’opacità quando incrementa il proprio potere di rendere trasparenti i luoghi che si sottraggono ancora all’esplorazione a portata di click, quando incrementa il proprio potere di approssimare la mappa al territorio inteso come soggetto.
  23. Come ci dimostra la storia recente delle ICT non basteranno competenze informatiche sufficienti per proteggersi da queste tre modalità di chiusura della mappa: gli hacker attivisti potranno creare delle importanti disfunzioni temporanee nella geografia universale definitiva ma non salveranno il mondo. Queste tre modalità di chiusura della mappa saranno una grande operazione di ingegneria sociale perché implicheranno per un breve periodo lo stare sul luogo di tutti noi, dopodiché lo stare sul luogo diverrà solo una grande mise-en-scène.
  24. Detto questo, occorrerà disfarsi dei dispositivi? Trattare dei danni della geografia significa esprimere la nostalgia per un mondo sorpassato? No, noi confidiamo nel fatto che i dispositivi con il maturare delle condizioni del loro uso diverranno più chiaramente opzionali.  Tutti useremo i dispositivi, ma saranno diventati una tale ovvietà quotidiana che avremo imparato anche a non usarli.  L’uso dei dispositivi sarà intermittente perché diverrà evidente l’inquinamento di tipo nuovo che producono:  l’eccessiva trasparenza.
  25. Non si tratta di lottare per la totale opacità, ma per il diritto al nascondimento. Occorre decostruire la banalità per cui tutto ciò che si nasconde è per il fatto stesso di nascondersi offensivo verso il prossimo. Coloro che si offendono se si nasconde qualcosa, si offendono per troppa malizia. Così come occorre decostruire la banalità per cui il nascondere se stessi sarebbe una forma di fuga. Coloro che si offendono se si nasconde se stessi, si offendono perché gli è tolto il piacere di poter giudicare. Il nascondimento è un momento necessario al proprio raccoglimento,  un momento in cui recuperarsi dalla spaesatezza della specie umana e ritrovare le corrispondenze tra soggettività e vita. Con la scusa che nascondere qualcosa sia offensivo per la società o che nascondere se stessi sia una forma di fuga si sono sottratti all’uomo i luoghi e i momenti in cui gli è possibile massimamente essere presso se stesso. Il nascondimento è il ripristino sempre necessario dell’opacità , necessario all’uomo come l’acqua, il cibo, un tetto e l’amore.
  26. Nella lotta contro l’opacità dello spazio le società disciplinari chiudevano gli irregolari in spazi chiusi i cui interni erano del tutto trasparenti al potere, restando opachi al resto della popolazione. Diversamente, fuori da quegli spazi chiusi, gli spazi pubblici e gli spazi privati erano ancora relativamente opachi al potere, la loro trasparenza richiedeva presenza sul territorio. Era l’epoca degli apparati di stato.
  27. Ma con la società del controllo il potere fa un passo avanti nella lotta contro l’opacità rendendo progressivamente sempre più trasparenti gli spazi pubblici. Ora restavano solo gli spazi privati ad essere relativamente opachi al potere e a richiedere la presenza sul posto.  Occorre non sbagliarsi sulla situazione in corso: il fatto che molti potenti e criminali siano stati messi in condizione di trasparenza non è un potere della moltitudine, ma una prerogativa del potere giudiziario. Oggi la maggior parte della popolazione è trasparente al potere senza che questo lo sia nella medesima misura alla popolazione. È l’epoca degli apparecchi privati.
  28. Eppure in un certo senso questo sistema si democratizza. La fase attuale della lotta contro l’opacità rende trasparenti anche gli spazi privati e ha sempre meno bisogno di telecamere fisse per controllare lo spazio pubblico. Per mezzo dei dispositivi ha trasformato ciascuno allo stesso tempo in un controllore e in un controllato.  Tutti si mobilitano a titolo volontario per aderire alla lotta del potere contro l’opacità senza rendersi conto che si tratta di una lotta contro loro stessi.
  29. La nostra considerazione è intempestiva, sappiamo bene che queste condizioni che si stanno generalizzando a tutto il globo sono accolte con leggerezza se non con entusiasmo dalla maggioranza della popolazione. Sono molti coloro che si trovano a proprio agio nella trasparenza raggiunta e non vi vorrebbe rinunciare, anche perché con il rinunciarvi sembrerebbe dover rinunciare alle forme stesse della sociabilità umana. Ma non dubitiamo che quando la trasparenza sarà completa questo tipo nuovo di inquinamento diverrà  evidente ai più e si tornerà a cercare luoghi dove poter raccogliersi nell’invisibilità, mentre questo sarà già un lusso da tempo acquistabile dai potenti.
  30. Negli anni’80 la geografia sembrava aver chiuso definitivamente la mappa del globo, era difficile immaginare che potesse avanzare ulteriormente. In questa situazione l’anarchico Hakim Bey propose di sottrarre temporaneamente delle zone a questa mappa perché si potesse in libertà sperimentare nuove forme di convivialità. Questa proposta oggi appare polverosa. Se in una TAZ (Temporary Autonomous Zone) c’è anche una sola persona con un dispositivo mobile la mappa si chiude immediatamente dall’interno. E’ ciò che accade ogni giorno ai luoghi occupati e autogestiti, al loro interno la mappa è già chiusa e la riproduzione dell’ordine del mondo ancora una volta garantita. TAZ e luoghi autogestiti non sono fuori dalla geografia, sono regioni di una geografia alternativa. Ciò che qui si propone è la produzione di un layer da sovrapporre alla mappa del globo che ne oscuri selettivamente alcune zone, non che le separi dal resto del territorio.
  31. Tutto oggi cospira contro l’arte di perdersi, dicevamo anni fa con degli amici. Di fatto la geografia ci carica di fin troppi indizi per ritrovarci. Eppure mai come oggi che è tanto facile orientarsi, mai tanto grande è stata la spaesatezza della nostra specie. Tale spaesatezza è dovuta proprio al fatto che vi sono sempre meno luoghi geograficamente opachi per il raccoglimento. Allora una azione politica post-geografica consisterà nel cominciare a cancellare dalle mappe quei luoghi e percorsi la cui bellezza socio-spaziale è tale da meritare di essere sottratta il più a lungo possibile alla riproduzione tecnica. Si tratta di rendere questi luoghi e percorsi inintellegibili e non esplorabili da un dispositivo, non conoscibili se non percorrendoli di persona e recandosi sul posto. 
  32. Si tratta di contribuire con una mobilitazione simmetrica a quella incentivata dal potere al sabotaggio della geografia, del censimento e della trasparenza di luoghi e corpi, in modo da rendere difficile la gestione e l’amministrazione della popolazione mondiale e facilitare la riscoperta di alcune qualità dell’opacità necessarie al progresso della specie e alla sua capacità di scoperta. Si tratta di ripristinare in un’epoca di trasparenza le terrae incognitae e adoperarsi perché rimangano tali il più a lungo possibile.
  33. La de-mappatura del mondo deve prendere avvio il prima possibile,  luoghi e percorsi dovranno essere cancellati dalle proprie mappe, in essi dovrà essere proibito qualsiasi uso di dispositivo di riproduzione, il solo passaparola e la trascrizione di itinerari in termini di azioni nello spazio (”Entra… “, “Svolta a sinistra… “, “Procedi lungo il marciapiede destro per tre edifici…”,  ecc.) opposte alla logica della mappa dovranno permetterci di trovarli. E se il potere sarà interessato a sapere cosa vi accade all’interno dovrà inviare sentinelle che vedano di persona e riferiscano a parole ciò che hanno visto, così anche il potere dovrà riscoprire le sue antiche tecniche di sorveglianza di cui non dubitiamo abbia da tempo nostalgia.

 

Daniele Vazquez, Ottobre, 2012