che cos'è la trialettica? Genealogia di una teoria dello spazio 2/2
Quando dissi a Edward Soja che la trialettica poteva essere un tool utile per uscire da certe rigidità concettuali del postmodernismo, egli mi rispose "non si può essere contro qualcosa come la postmodernità". Io gli domandai: "Si riferisce al lavoro di Terry Eagleton?", lui annuì e si lanciò in una sorta di esame del profilo caratteriale degli anti-postmodernisti che può essere riassunta in una parola: "gloomy". Non ho mai parlato di persona con Eagleton, né con altri come lui, ad esempio Alex Callinicos o Perry Anderson, e non so se siano "gloomy" o meno, però una cosa è certa, il saggio di Terry Eagleton "Le illusioni del postmodernismo" è una delle cose più divertenti che abbia mai letto sull'argomento. Le conclusioni cui sono arrivato è che lo "spatial turn" sia un luogo teorico dove hanno riparato i postmodernisti della seconda fase e che forse occorrerebbe tentarne una critica ragionata, partendo dal fatto che, ad ogni modo, dalla spazializzazione epistemologica del pensiero contemporaneo non si deve arretrare. Qui troverete la seconda parte del paper presentato al VI Phd Seminar "Urbanism&Urbanization" dello IUAV di Venezia.
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Che cos’è la trialettica?
Genealogia di una teoria dello spazio 2/2
Daniele Vazquez, Scuola di Dottorato in Urbanistica, IUAV, Venezia
La trialettica del tempo di Jorn
Un anno dopo il testo “Science e art abstrait”, Asger Jorn pubblica per l’Istituto Scandinavo di Vandalismo Comparato da lui fondato il testo “Selvatichezza, barbarie e civiltà”. Alla tripla polarizzazione statica del tempo - passato, presente, futuro - priva di antagonismi che egli ritrova nella pittura italiana del XV secolo (in particolare l’Allegoria della Prudenza di Tiziano), contrappone la teoria degli antagonismi di Lupasco: “È la riunione di due qualunque degli aspetti sotto i quali il tempo ci appare che ha potere di attualizzare e ancora, d’altra parte, di virtualizzare o potenzializzare il suo terzo aspetto. Conseguenza capitale che si evince è che la nozione di tempo racchiude tre differenti tipi di antagonismo, i quali si particolarizzano secondo la natura di quello degli aspetti del tempo che si sceglierà di opporre agli altri due. Avremo la riunione passato-presente che si oppone al proprio contrario virtualizzato: il futuro; poi il passato-futuro opposto al presente; ed infine il presente-futuro opposto al passato”[i].
Qui c’è uno scarto fondamentale dalla tri-dialettica di Lupasco, se in lui il terzo termine era una coesistenza dei due valori opposti, un campo di forze al posto di una sintesi, qui il terzo termine ha lo stesso statuto degli altri due, nessun termine trascende o s’immanentizza asintoticamente rispetto agli altri. Jorn proseguendo il suo ragionamento a tre termini antagonistici di pari statuto arriva a una serie di considerazioni davvero interessanti. La cultura latina sarebbe il risultato di una virtualizzazione del presente a favore di una attualizzazione del passato-futuro; la cultura bizantina e russa una virtualizzazione del passato a favore di un’attualizzazione del presente-futuro; la cultura nordica una virtualizzazione del futuro a favore di un’attualizzazione del passato-presente. Un esempio di virtualizzazione del presente nella cultura latina sarebbe quella del presente inteso come una testa di Giano, come una soglia.
Jorn procede, passando in un ambito a lui più congeniale: la teoria dei colori. Partendo dai colori complementari egli afferma: “Così il rosso ha per contrario un mescolamento di giallo e blu, ossia il verde; il blu un mescolamento di giallo e rosso, ossia l’arancio; il giallo un mescolamento del rosso e blu, ossia il violetto. Queste constatazioni mi hanno permesso di stabilire che ogni mescolamento si caratterizza come polo attualizzato” [ii]. Il pittore danese chiama questi antagonismi a tre termini per la prima volta “trialettica”, e a quanto ci risulta è il primo che l’abbia mai teorizzata apertamente.
La trialettica era pensata come una metodologia all’interno del discorso più ampio della “situologia”, ovvero un contributo alla realizzazione della “scienza delle situazioni” di Debord, auspicata da quest’ultimo fin dal suo primo film del ’52 “Urla in favore di Sade”. Jorn scrive: “si tratta di semplici basi di lavoro, niente affatto dogmatiche, che possono essere modificate ed allargate. E’ nella loro natura essere aperte, a cominciare per esempio da relazioni di una cifra superiore a tre, non essendo legato questo metodo a nessuna mistica dei numeri. Esso ha per scopo di liberare il movimento dialettico fissato sia nel determinismo sottomarxista, sia negli antagonismi non scelti dove Lupasco si è cacciato” [iii]. Dunque la trialettica è, allo stesso tempo, tanto un tentativo di superare la dialettica marxista classica quanto un modo di andare oltre lo “stato T” dove gli opposti coesistono antagonisticamente senza mai risolversi asintoticamente per l’uno e per l’altro.
Situazioni
Jorn suggerisce una sorta di legge della trialettica: “Ciascuna disgiunzione è seguita da una congiunzione e del pari ciascuna congiunzione è seguita da una disgiunzione” [iv], dunque un “e… e… o…”. A nostro avviso occorrerebbe prevedere anche, cosa non presa in considerazione dall’autore, un’attualizzazione del terzo termine a discapito della virtualizzazione degli altri due, un’ulteriore passaggio evolutivo della trialettica che ritroveremo in Lefebvre. La formazione di un antagonismo o di una contraddizione, ovvero l’attualizzazione dei due termini riuniti e la virtualizzazione del terzo è chiamata da Jorn “messa in situazione”.
Prendendo in considerazione i tre poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario, egli arriva a una fondamentale differenziazione delle forme dello spazio pubblico nei tre tipi europei e a tre forme diverse di organizzazione e di autogoverno. Dall’attualizzazione del potere esecutivo e di quello legislativo riuniti e dalla relativa virtualizzazione del potere giudiziario abbiamo la tipica forma dello spazio pubblico dei civilizzati, ovvero la Polis. La riunione di potere legislativo e giudiziario a discapito di quello esecutivo corrisponderebbe alla tipica assemblea barbara: il Ting. Mentre la riunione di potere esecutivo e giudiziario a discapito di quello legislativo corrisponderebbe al Soviet russo.
La trialettica portò Jorn a distinguere tra l’approccio sperimentale dei nordici e quello anti-artistico dei latini, che nella modernità, va detto, corrisponde a un conflitto interno all’Internazionale Situazionista, tra “Debord e i suoi partigiani” e la sezione scandinava, quella che, riunitasi dopo la rottura coi francesi in una Bauhaus Situazionista, Stewart Home chiamerà Seconda Internazionale Situazionista. O ancora prima tra lettristi e COBRA. Mentre Jorn e i suoi intendono trovare nuove forme, i situazionisti francesi vogliono sopprimere la forma.
Ora, si potrebbe pensare, con Lupasco, che Debord voglia portare l’arte a una rottura dello “stato T” rappresentato qui dalla coesistenza Jorn-Debord/arte nordica-arte latina, verso una delle due polarità inautentiche dell’arte astratta descritte dallo stesso Lupasco, ovvero verso il suo annichilimento per omogeneizzazione o per eterogeneizzazione, ma a nostro avviso non è affatto così.
Se è il dato affettivo “lo stato T” per eccellenza dell’artista, esso è investito diversamente da Jorn e Debord e questo è il motivo della loro distanza insanabile: Jorn lo investe nell’arte e Debord nella psicogeografia e infine nell’“iperpolitica”, intesa come politica per una vita qualitativamente e affettivamente superiore: nessuna delle due può essere il superamento dell’altra, sono due ordini del discorso e due pratiche completamente differenti. Entrambi erano autenticamente uno “stato T”, l’una dell’arte e l’altra della vita quotidiana, voler imporre l’ordine di una a l’altra e viceversa non porterebbe né alla soppressione dell’arte come “momento separato” e alla sua realizzazione nella vita quotidiana (creatività generalizzata) né alla soppressione della vita quotidiana come “momento separato” e alla sua realizzazione nell’arte (la festa).
La trialettica come pensiero barbaro
Sarà solo con Lefebvre che lo “stato T”, lo stato di coesistenza verrà finalmente visto come lo spazio tout court. In effetti, la determinazione di Lefebvre a scovare al fondo di ogni discorso il concreto, il qualitativo e l’affettivo non poteva non portarlo a trovare nello spazio l’esperienza diretta e quotidiana dello “stato T”, in cui gli opposti possono coesistere simultaneamente (isotopie-eterotopie).
Lefebvre non chiamerà mai la sua dialettica a tre termini “trialettica”, sarà solo con Soja che prenderà questo nome, inoltre non riconoscerà mai il suo debito con Jorn e Lupasco, preferirà trovare il precorritore della trialettica nello stesso Marx. E non è un caso che sia stato proprio Lefebvre a spazializzare il pensiero marxista: la sua formazione giovanile avviene soprattutto attraverso lo studio del terzo libro del “Il Capitale”, essendosi occupato fin da subito di problemi agrari e della questione della rendita.
Crediamo che dopo i primi timidi passi verso la trialettica dello spazio, quello decisivo lo si trovi nel libro “Il marxismo e la città” del 1972. Qui forzando un po’ i passaggi sulla città dei Grundrisse, oppure, meglio, procedendo per deduzione, egli periodizza la storia della città, individuandone tre tipologie: quella orientale, quella antica e quella germanica. Lefebvre scrive “Nei Lineamenti, la città antica appare dunque come una seconda linea di sviluppo e, successivamente, di decadenza, mentre una prima linea è rappresentata dalla città orientale. Ma esiste una terza forma, e per tanto una terza linea di sviluppo, che trae origine dalle comunità barbariche dei germani” [v].
Lefebvre continua: “Cerchiamo di comprendere esattamente la differenza, minima in apparenza che distingue queste forme. In Oriente la proprietà rimane sempre comunitaria, ivi compresa quella dell’Unico, del Sovrano. Nella città antica due forme di proprietà si contrappongono, ma si riuniscono nel quadro urbano: la proprietà privata, quella del cittadino, e la proprietà pubblica, quella della città, l’ager publicus. A partire dalla comunità tribale germanica si costituiscono tre forme di proprietà: una proprietà privata ( della casa, di una parte del suolo arabile); una proprietà collettiva, che dipende dall’assemblea dei proprietari e non dalla città o dal villaggio come tali; e infine una proprietà comune, terra comunale o terra del popolo, ben distinta dalle proprietà individuali e dal loro raggrupparsi in associazione. Si tratta di terreni di caccia, di pascolo, forestali, ecc….”[vi].
La periodizzazione in tre fasi è uno schema classico che ricalca quello che ritroviamo da Gioacchino da Fiore in poi: non si tratta che di un’applicazione alla storia della trinità teologica. Ma ecco che nella città barbara emergere un pensiero trialettico che ha un fondamento materiale, nella triplice forma proprietaria che la caratterizza. Lefebvre è molto chiaro a proposito: “Una prima linea di sviluppo condanna la società e la città alla stagnazione. Una seconda conduce necessariamente la città e la società a uno sviluppo rapido, a una riuscita folgorante, poi al declino. Un terzo orientamento conduce la città, nel suo rapporto con la campagna, ad una crescita lenta, ma a un avvenire i cui limiti non sono prevedibili. La prima formula è unitaria, la seconda binaria, la terza trinitaria”[vii].
In nota Lefebvre è prudente, mostra qualche riserva sulle sue stesse conclusioni. Ma chiude la nota così: ”Tuttavia non si potrebbero negare la tendenza (manicheista) del mondo mediterraneo, né alcuni aspetti trinitari della società e dell’ideologia in Europa occidentale”[viii]. Anche qui, come in Jorn, appare evidente che il pensiero trialettico è di origine barbara e negli anni successivi, dopo aver pienamente sviluppato la sua dialettica triplice, Lefebvre non mancherà di definirsi un pensatore barbaro.
Il terzo spazio non è uno stato-T
Nel 1974 esce, come abbiamo detto, “La produzione dello spazio”. Questo libro diviene un caso studiato da geografi e urbanisti di tutto il mondo, e oggi fa parte della cassetta degli attrezzi degli studiosi dello spazio urbano più avanzati. Vista la sua popolarità non ci addentreremo nelle sue argomentazioni che oggi sono molto conosciute. Basti dire che qui troviamo la prima formulazione vera e propria della dialettica triplice di Lefebvre. Conosciutissima è la sua indagine dello spazio attraverso la triangolazione: spazi percepiti, concepiti e vissuti, ai quali corrispondono la pratica spaziale, le rappresentazioni dello spazio e gli spazi di rappresentazione.
Per i fini del nostro discorso riporteremo solo la definizione delle “rappresentazioni dello spazio”. Lo spazio concepito, è “quello degli esperti, dei pianificatori, degli urbanisti, dei tecnocrati specializzati, di certi artisti dall’atteggiamento più o meno scientifico, che identificano il vissuto con il percepito e con il concepito (ciò che viene perpetuato dalle dotte speculazioni sui numeri: il numero d’oro, i moduli, i “canoni”). È lo spazio dominante in una società (un modo di produzione). Le concezioni dello spazio tendono (con qualche riserva, su cui occorrerà ritornare) verso un sistema di segni verbali, dunque elaborati intellettualmente”[ix].
Ora, è qui da notare, ancora una volta, che Edward Soja commette un errore quando ritiene lo spazio vissuto come una sorta di “Stato T” alla Lupasco o un Aleph borgesiano che comprende gli altri due e assimilandolo all’eterotopia. Ruolo che Lefebvre, invece, riservava all’utopia nella dialettica isotopia-eterotopia, quando la sua dialettica triplice ancora non era molto sviluppata. In realtà ne “La produzione dello spazio” Lefebvre ha abbandonato lo stile classico dell’argomentazione che si ritrova ancora in Lupasco ed è già del tutto “barbaro”, ovvero ragiona come Jorn: i tre spazi hanno lo stesso statuto e non vi è un “terzo spazio” che funzioni alla stessa stregua dello “stato T”.
Nella descrizione degli “spazi concepiti” vi è già la critica a Soja, esattamente quando scrive di “esperti” che “identificano il vissuto con il percepito e con il concepito (ciò che viene perpetuato dalle dotte speculazioni sui numeri: il numero d’oro, i moduli, i “canoni”)”. Soja fa proprio quello che il filosofo francese dice degli esperti: confonde lo spazio vissuto come una coesistenza di spazi percepiti e concepiti, una dotta speculazione insomma che è ancora ferma al “secondo spazio”. È, casomai, lo spazio tout court che funziona come uno “stato T” della dialettica marxiana.
Si legga il seguente passaggio: “Qui vogliamo soltanto indicare il rapporto dialettico all’interno di questa triplicità: il percepito, il pensato, il vissuto. Triplicità: tre termini, e non due. Un rapporto che implica due termini si riduce a un’opposizione, ad un contrasto, ad una contrarietà; si definisce attraverso un effetto significante: effetto d’eco, di ripercussione, di specchio. La filosofia ha superato con difficoltà i rapporti dualistici: il soggetti e l’oggetto, la ‘res cogitans’ e la ‘res extensa’ di Cartesio, l’Io e il non-Io dei kantiani, post-kantiani e neo-kantiani. Il ‘binarismo’ non ha più niente a che vedere con le concezioni manichee della lotta accanita fra due principi cosmici; una volta trasferito a livello mentale, esso ha abbandonato la vita, il pensiero, la società ( i fatti fisici, mentali, sociali, vissuti, percepiti e concepiti), tutto ciò che costituisce l’attività vivente. Dopo lo sforzo titanico di Hegel e Marx, la filosofia è ricaduta nelle opposizioni cosiddette ‘pertinenti’, trascinando con sé molte scienze specializzate (o da queste trascinata), e determinando i criteri dell’intelligibilità mediante opposizioni e sistemi di opposizioni, con il pretesto della trasparenza. Un sistema del genere non avrebbe né materialità né residui; sistema perfetto, si offre all’ispezione mentale come un’evidenza razionale”[x].
Il terzo spazio è tutto ciò che sfugge ai primi due spazi, uno spazio residuale, sotterraneo, clandestino, immaginario e simbolico, ma del loro stesso ordine e grado, che si triangola con essi così come avviene nella trialettica di Jorn, con l’unica differenza che c’è sempre la possibilità che possa virtualizzarsi o attualizzarsi in opposizione agli altri due, mentre nel pittore danese si attualizzano sempre e solo i due termini riuniti contro il terzo.
La formula trinitaria di Marx
Nel ’75 Lefebvre è intervistato da Claude Glayman, intervista che diviene il libro Le temps des méprises (tradotto in italia da Mirella Bandini nel 1980). In questa intervista egli rivela da dove venga il suo progressivo avvicinamento a una dialettica triplice. Parlando dei suoi primi lavori sui problemi agrari dice: “Nel corso di queste ricerche, mi sono accorto che in Marx non vi erano due termini; in certi testi soltanto vi sono l’uno di fronte all’altro, il salario e il profitto, la borghesia e il proletariato, e così di seguito. In realtà vi sono sempre tre termini. Marx ironicamente parla alla fine del Capitale della trinità capitalista: il signor Capitale, la signora la Terra e poi il Lavoro. Così l’analisi si arricchisce considerevolmente, poiché non si tratta di un’opposizione binaria, ma di un rapporto incomparabilmente più complesso attraverso tre termini”[xi].
Finalmente nel quarto volume del notevole lavoro di Lefebvre “Lo Stato”, il metodo è divenuto del tutto esplicito. Era inevitabile che la dialettica spazializzante lo conducesse a realizzare un’indagine sullo Stato, giacché doveva porsi ormai il problema della gestione e del controllo dello spazio che un’indagine puramente basata sulla critica dell’economica politica non era da sola in grado di spiegare, era giunto il momento quindi di una critica della produzione statuale dello spazio.
Lefebvre scrive: “Come avviene il superamento – non l’abolizione – dei concetti filosofici? Passando dalle relazioni a due termini (opposizioni, contrasti e antiteticità, binarietà, relazioni rette dalla logica) a quelle triadiche, ovvero a tre termini dipendenti dall’analisi dialettica; passando, ad esempio, dall’opposizione binaria ‘classe operaia-borghesia’, o ‘salario-plusvalore’, alle relazioni triadiche ‘terra-capitale-lavoro’, ‘rendite-salari-plusvalore’, o ‘proprietari terrieri-lavoratori e classe operaia-borghesia detentrice dei mezzi di produzione industriali’. Queste relazioni mutevoli ed altamente complesse, Marx iniziò a studiarle nella parte incompiuta del Capitale. Scoprendo, o piuttosto riprendendo ad un livello più alto, il terzo termine (la terra, il suolo), Marx giungeva a considerare non soltanto l’agricoltura e le questioni agrarie, ma anche il suolo edificato (rendite urbane), il sottosuolo, l’estensione a livello della terra intera del mercato (il mercato mondiale): concetti che avrebbe dispiegato sino in fondo, se avesse avuto il tempo di portare a termine il suo lavoro. Se di questo si tiene conto, cade tutta una parte delle critiche e delle obiezioni contro il ‘marxismo’”[xii].
Ecco alcuni esempi di relazioni ternarie proposte da Lefebvre: ‘scoperta-produzione-creazione’, ‘ignoranza-disconoscenza-conoscenza’, ‘bisogno-lavoro-godimento’, ‘vissuto-percepito-concepito’, ‘forma-funzione-struttura’, ‘ritmo-melodia-armonia’, ‘nazione-stato-classi’.
Trialettica o nomadologia?
In quegli anni vi erano altri due autori che prendevano molto sul serio la spazializzazione della filosofia, si tratta di Deleuze e Guattari e della loro nomadologia. Questi due autori provarono a fondare un pensiero filosofico sulla polivalenza. Ma mentre il discorso di Lefebvre è un discorso sulla triplicità che procede trialetticamente, il discorso di Deleuze e Guattari è un discorso sulla polivalenza che procede ancora binariamente.
Chiunque li conosca a fondo sa bene che sono stati degli abilissimi creatori di nuove opposizioni binarie: spazio striato/spazio liscio, deterritorializzazione/riterritorializzazione, nomadismo/stanzialità, rizoma/struttura arborea, ecc. Non poteva che andare così in quanto il loro lavoro partiva da una critica radicale della psicanalisi e la psicanalisi aveva lavorato fin dall’inizio con triangolazioni (Io, Es e Super-Io in Freud ad esempio, o Reale, Simbolico e Immaginario in Lacan), senza contare che la teologia cristiana funzionava ugualmente trinitariamente, dunque questi due autori non potevano che avere la trivalenza in sospetto (anche se come abbiamo visto all’inizio la figura geometrica della trialettica è un esagono piuttosto che un triangolo).
Ad ogni modo non vogliamo legarci a nessuna mistica dei numeri, tuttavia se riteniamo che oggi la trialettica sia una strategia di pensiero più utile della nomadologia è anche per il fatto che la trivalenza logica oggi trova importanti applicazioni pratiche. I computer quantistici basati sui qubit (quantum bit) sono ancora molto rozzi e grandi quanto un laboratorio di una facoltà di fisica, ma sfruttano già le proprietà di “sovrapposizione” dei fotoni, si basano già su una trivalenza (“0, 1, 0 e 1” invece che “0 o 1”), anche se occorrerà aspettare ancora molto per vedere realizzata ovunque una rete basata su un sistema ternario.
Dopo lo studio sullo Stato Lefebvre allenterà la sua produzione intellettuale, ma è in questa fase che dirà chiaramente che il terzo termine è sempre un’ “alterità”. Il filosofo francese era preso in questo periodo da due opposte tentazioni, c’è stato un momento in cui era indeciso se chiamare la sua dialettica triplice “spazio-analisi” o “ritmo-analisi”. Per via dei suoi interessi crescenti per il rapporto corpo/spazio opterà presto per la seconda possibilità, ritenendo che al contrario dello spazio il ritmo fosse più alla portata di un discorso sul e del corpo situato e su e del corpo come luogo.
Tri-o-lettica e tri-a-lettica
Torniamo infine su quella “o” e su quella “a”. C’è una differenza significativa tra “triolectics” e “trialectics”? Se l’una parte da Jorn per arrivare alla controcultura britannica, l’altra parte da Lefebvre per arrivare alla scuola di geografia di Los Angeles, ma crediamo che si tratti in fondo dello stesso tipo di trialettica, tranne per il fatto che in quella con la “o” è sempre stato chiaro si trattasse di tre termini di pari statuto che si triangolano, mentre in quella con la “a” si avverte sempre il rischio che il terzo termine ricada in uno “stato T”, in una coesistenza non sintetica, che sarebbe arretrare al pensiero ormai classico ed acquisito di Lupasco.
Diciamo, ragionando spazialmente, che nella “triolectics” il terzo termine funziona come una soglia che è divenuta già una vera e propria zona tra le altre due, mentre nella “trialectics” sembra ancora una linea, un confine, che allo stesso tempo tiene unite e separa due zone opposte.
Riteniamo che in entrambi i casi la trialettica sia un metodo fondamentale per contribuire a una teoria dello spazio contemporaneo che esca definitivamente dal sistema di valori del postmodernismo.
[i] Jorn A., La comunità prodiga, Zona, 2000, p. 105.
[ii] Jorn A., op. cit., pp. 107-108.
[iii] Jorn A., op. cit., p. 109.
[iv] Jorn A., op. cit., p. 113.
[v] Lefebvre H., Il marxismo e la città, Mazzotta,1973, p. 94.
[vi] Lefebvre H., ibidem.
[vii] Lefebvre H., op. cit., pp. 94-95.
[viii] Lefebvre H., op. cit., p.95.
[ix] Lefebvre H., La produzione dello spazio, Moizzi, vol. I, 1976, p.59
[x] Lefebvre H., op. cit., p. 60
[xi] Lefebvre H., Il tempo degli equivoci, Multhipla, 1980, p. 165.
[xii] Lefebvre H., Lo stato, Dedalo, vol. IV, p. 11.
Tratto da The Next Urban Question. Themes Approaches Tools, Università IUAV di Venezia, 2011, pp.444-451.