che cos'è la trialettica? Genealogia di una teoria dello spazio 1/2
Dal 27 al 29 ottobre si è tenuto allo IUAV di Venezia (Palazzo Badoer) il VI International Phd Seminar "Urbanism&Urbanization", per questo incontro ho presentato un paper sulla trialettica come tool per il progetto urbano che qui rendo disponibile on line in italiano. Un mio collega di dottorato Kaveh Rashidzadeh lo sottopose, mentre erano in corso i preparativi, a Edward Soja, invitato per l'occasione per una keynote lecture sulla "spatial justice", il quale gli rispose che si trovava d'accordo, ma che avevo interpretato Henri Lefebvre troppo letteralmente e di non dimenticare che si trattava di un'intelligenza nomadica che piuttosto che difendere una posizione avanzava in nuove direzioni. Durante una colazione, in quei giorni, ho avuto modo di discutere di persona con il geografo statunitense e peraltro a quell'appuntamento sono riuscito ad arrivare in tempo solo grazie a una mappa che la mia collega di dottorato Valentina Bandieramonte aveva disegnato su un foglietto. Giacché a Venezia mi perdo sistematicamente soprattutto quando non dovrei ho deciso di mettere la mappa di Valentina nella gallery. Tratterò dell’esito di quella conversazione su "spatial turn", marxismo e postmodernismo nella seconda parte di questo post.
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Che cos’è la trialettica?
Genealogia di una teoria dello spazio 1/2
Daniele Vazquez, Scuola di Dottorato in Urbanistica, IUAV, Venezia
Il calcio a tre porte
Nel 1995 sul quarto numero della rivista Fatuous Times viene pubblicato un articolo della London Psychogeographical Association (LPA) in cui si sostiene che la prima persona ad aver pensato a un “calcio a tre porte” fu il pittore danese Asger Jorn come applicazione ludica del suo metodo trialettico. Vi è scritto che la prima partita di calcio a tre porte di cui si abbia notizia fu organizzata nel 1993 dalla stessa LPA alla Glasgow Anarchist Summer School, cui parteciparono come giocatori Richard Essex (il fondatore della LPA), lo scrittore, artista e critico d’arte Stewart Home e gli aderenti al Workshop For Non-Linear Architecture.
In pratica, si tratta di un calcio che diversamente da quello a due porte non incentiva l’aggressività e la competizione, dove vince la migliore strategia difensiva giacché tra le tre squadre in gioco vince quella che ha subito meno goal. La LPA affermava che questo gioco decostruisse la mitica struttura bipolare del calcio convenzionale “where an us-and-them struggle mediated by the referee mimics the way the media and the state pose themselves as ‘neutral’ elements in the class struggle”[i].
Il campo del calcio a tre porte è esagonale e ad ogni squadra è assegnata una porta opposta alle altre due. La radicale riorganizzazione dello spazio di gioco ne fa un interessante esercizio psicogeografico e, inoltre, giacché durante la partita le alleanze tra le squadre possono cambiare rapidamente, introduce nel calcio la capacità diplomatica di trattare e fa delle qualità empatiche dei giocatori un elemento decisivo. In questo articolo si annuncia anche la fondazione di una Luther Blissett Three-Sided Football League per diffondere il metodo trialettico di Jorn. Gli aderenti italiani a questa Lega disputarono la loro prima partita di calcio a tre porte nel 1995 nella piazza d’armi del Forte Prenestino, introducendovi un ulteriore regola: il calcio-mercato nel corso della partita. Così un giocatore stanco della strategia della propria squadra poteva trattare durante la partita con chi desiderava lo scambio della maglia e passare in uno dei due campi avversari.
Giacché la LPA e il “Luther Blissett Project” confondevano ancora la trialettica con la “logica tripolare” in cui v’è uno “Stato T” (“T” sta per “terzo incluso”), dove vero e falso coesistono, c’è da dubitare che Jorn abbia davvero mai pensato a un calcio a tre porte, ma è senza dubbio vero che avesse coniato il termine “trialettica” per un procedimento di pensiero da lui inventato che si proponeva di superare la dialettica marxista classica.
Dalla dialettica triplice di Lefebvre alla trialettica di Soja
Facciamo un passo indietro di quattro anni. È il 1991 e la casa editrice Blackwell pubblica per la prima volta in inglese il libro di Henri Lefebvre “La produzione dello spazio” del 1974 (pubblicato in Italia nel 1976 dalla casa editrice Moizzi in due volumi nella collana diretta da Riccardo Mariani “Spazio e Società” che da quell’anno diverrà l’omonima rivista diretta da Giancarlo de Carlo). La traduzione per i paesi anglossassoni viene realizzata da un ex membro della sezione britannica dell’Internazionale Situazionista, Donald Nicholson-Smith, e la postfazione è scritta dal geografo marxista statunitense David Harvey.
Qui Lefebvre propone la celeberrima “dialettica triplice dello spazio”, quella tra spazi percepiti, spazi concepiti e spazi vissuti. Su questo studio fondamentale che tanto successo ha avuto nei paesi anglofoni torneremo, qui basti riportare il seguente passaggio di Lefebvre: “Le relazioni frontali, spesso brutali, non impediscono completamente l’esistenza di aspetti clandestini e sotterranei; non esiste potere senza complici, e senza polizia. In questo modo prende corpo una triplicità sulla quale torneremo a più riprese”[ii].
Nel 1996, di nuovo la Blackwell pubblica il libro del geografo neomarxista Edward W. Soja “Thirdspace”, questo saggio si propone di trovare nell’opera di Henri Lefebvre e, in particolare, ne “La produzione dello spazio” un pensiero della differenza che apra la geografia alle lotte di classe della seconda postmodernità, in radicale rottura con l’“anything goes” della prima. Soja chiama questo pensiero che è anche una metodologia: “Thirding-as-Othering”.
Quanto alla “dialettica triplice” di Lefebvre propone di leggerla come una “trialectics of spatiality”. La trialettica della spazialità è una “critica spaziale dello storicismo”, così al sistema binario che ha dominato il ‘900 “socialità-storicità”, il terzo termine “spazialità” riapre radicalmente i giochi. Trialettica, quella socialità-storicità-spazialità, che Soja non esita a definire come una “trialectics of being” o “trialettica ontologica”. La dialettica triplice di Lefebvre, “spazi percepiti-spazi concepiti-spazi vissuti” viene reinterpretata dal geografo della scuola di Los Angeles considerando gli spazi percepiti come un “primo spazio”, quelli concepiti come un “secondo spazio” e quelli vissuti come un “terzo spazio” - Thirdspace appunto -.
Il “terzo spazio” è fatto funzionare attraverso il “thirding-as-othering”, ma, come vedremo, nel momento in cui Soja attribuisce a questo terzo spazio il valore di un momento di coesistenza dei primi due, come un Aleph borgesiano, qualcosa tra uno “Stato T” e una “sintesi immanente psichedelica”, forza il pensiero lefebvriano e lo obbliga in una direzione da cui in realtà cercava di emanciparsi.
Il metodo è pressappoco quello applicato ludicamente dal calcio a tre porte, ma non esattamente lo stesso come vedremo: si fanno saltare i sistemi binari e la loro logica basata sul principio di non-contradddizione e quello di identità introducendo un terzo termine che funziona come un’alterità che getta scompiglio. Un esempio di terzo spazio portato da Soja sono gli “spazi altri” o “contro-spazi” chiamati “eterotopie” da Foucault.
Isotopie, eterotopie, utopie
Edward Soja dimentica che nel 1970 Henri Lefebvre, nel libro “La rivoluzione urbana”, in un momento in cui la sua dialettica triplice non era ancora sviluppata, prevede una dialettica antagonistica tra le eterotopie foucaultiane e quelle che lui chiama “isotopie”, ovvero gli spazi dell’identità, dialettica che viene fatta saltare dalla triangolazione con le utopie. Il “thirding-as-othering” di Lefebvre, dunque, qui funziona utilizzando come terzo termine le utopie e non le eterotopie.
Lefebvre scrive: “La differenza ‘isotopia-eterotopia’ non può concepirsi correttamente che in una maniera dinamica. Nello spazio urbano, succede sempre qualcosa. I rapporti cambiano; le differenze e i contrasti giungono fino al conflitto; oppure si attenuano, si erodono o si corrodono… Non dimentichiamo l’u-topia: il non-luogo… il luogo dell’altrove… Talvolta si situa in profondità, quando il romanziere o il poeta immagina la città sotterranea, o il rovescio della città votato alle cospirazioni, ai delitti. L’utopia riunisce l’ordine prossimo e l’ordine lontano. …Essa è ovunque e in nessun posto. Trascendenza del desiderio e del potere, immanenza del popolo, simbolismo e immaginario ovunque presenti…”[iii]. Esattamente quello che Soja chiama “thirdspace”.
Si legga ora cosa scrive Lefebvre a proposito degli spazi vissuti: spazio “vissuto attraverso le immagini e i simboli che l’accompagnano, spazio degli ‘abitanti’ e degli ‘utenti’, ma anche di certi artisti e forse anche di coloro che descrivono e sono convinti descrivere soltanto: gli scrittori, i filosofi. È lo spazio dominato, dunque subìto, che l’immaginazione tenta di modificare e di occupare. Esso ricopre lo spazio fisico utilizzando simbolicamente i suoi oggetti. Gli spazi di rappresentazione tendono dunque… verso sistemi più o meno coerenti di simboli e segni non verbali”[iv].
E’ chiaro che Lefebvre fa evolvere la triangolazione “isotopie-eterotopie-utopie” nella dialettica triplice “spazi percepiti-concepiti-vissuti”. Crediamo di poter dire che se ne “La rivoluzione urbana” le utopie funzionano ancora come uno “Stato T” che riunisce e allo stesso tempo separa isotopie ed eterotopie, ne “La produzione dello spazio” gli “spazi vissuti” (o anche “spazi di rappresentazione”) hanno lo stesso statuto di quelli percepiti e concepiti. Per ora il discorso è opaco e lo lasceremo come tale, tornando più avanti su questa dialettica triplice.
Qui basti dire che Foucault è stato molto esplicito. Quando nella sua conferenza del 1966 su France Culture inizia a delineare la consistenza delle eterotopie parlando di utopie che hanno un luogo preciso e reale, un luogo che si può localizzare su una carta, che hanno un tempo determinato, un tempo che si può fissare e misurare secondo il calendario di tutti i giorni, vuole dire che non si tratta più di utopie. Proprio perché sono reali, localizzabili, interne a un tempo fissato e misurabile non possono funzionare come qualcosa che riunisce e separa allo stesso tempo i luoghi, alla maniera delle utopie vere e proprie.
Ad ogni modo, il tentativo di Soja di fondare un pensiero e un’immaginazione geografiche che facciano saltare la dialettica “socialità-storicità” attraverso un elemento terzo e altro, la spazialità, è di fondamentale importanza. E giacché abbiamo chiamato in causa Foucault faremo un esempio per mettere in luce quanto ancora negli anni ’70, quando il solo Lefebvre insisteva nel piegare tutta la filosofia e, in definitiva, lo stesso pensiero marxista allo spazio, regnasse ancora ostilità e sospetto verso quegli “intellettuali impegnati” che usassero anche solo delle “metafore spaziali”.
Michel Foucault, nonostante fin dal 1966 “sognasse” una scienza delle eterotopie, un’eterotopologia - la conferenza del 7 dicembre 1966 su France Culture nell’ambito di un programma dedicato all’utopia e alla letteratura e un’altra del 14 marzo 1967 tenutasi al Centre d’Étude Architecturales -, quando nel 1976 viene intervistato dai geografi della rivista Herodote, sembra quasi chiedersi: “Cosa vogliono da me questi? Cosa c’entra la mia ‘archeologia del sapere’ con loro?”. Non parla mai delle sue eterotopie e pare non sospettare che proprio dei geografi avrebbero potuto farsi carico della sua eterotopologia, come di fatto avviene oggi.
I geografi riuscirono comunque a strappargli questa interessante affermazione. “Ci sarebbe da fare una critica di questa squalificazione dello spazio che domina da più generazioni. È cominciata con Bergson o prima? Lo spazio è quel che era morto, fisso, non dialettico, immobile. Per contro, il tempo era ricco, fecondo, vivo, dialettico. L’utilizzazione di termini spaziali ha un po’ l’aria di un’antistoria per tutti quelli che confondono la storia con le vecchie forme di evoluzione, di continuità vivente, di sviluppo organico, di progresso della coscienza o del progetto dell’esistenza. Quando si parlava in termini di spazio, era perché si era contro il tempo; si ‘negava la storia’, come dicevano gli stupidi, si era ‘tecnocrati’”.
Foucault in questa intervista sembra interessarsi allo spazio geografico esclusivamente dal punto di vista di una scienza dello spazio polemologico, questo a dimostrazione di quanto anche un “pensatore dello spazio altro” come lui avesse ancora delle difficoltà a pensare in termini non metaforici di spazialità il rapporto sapere-potere.
La tri-dialettica del possibile di Lupasco
È da notare che mentre l’ambiente british della LPA scrive la parola trialettica con la “o” , ovvero “triolectics”, Soja la scrive con la “a”, ovvero “trialectics”. Riteniamo si tratti in fondo dello stesso metodo, ma non vogliamo sottovalutare il fatto, un’importante differenza c’è ed emergerà solo analizzando il pensiero del pittore danese Asger Jorn che per primo l’ha teorizzata. Adesso è necessario fare un lungo salto indietro fino al 1945, anno in cui esce un articolo intitolato “Valori logici e contraddizione” del filosofo ed epistemologo rumeno Stéphane Lupasco, pubblicato sulla parigina Revue Philosophique.
Lupasco in questo testo scrive di una “tri-dialettica del possibile”. Per il filosofo rumeno occorreva pensare i valori logici non come delle entità statiche date una volta per tutte, ma come processi, attività, operazioni, energie, così nella logica binaria i due poli sono degli antagonismi che non si realizzano mai in assoluto, che tendono ad attualizzarsi l’uno a discapito della virtualizzazione dell’altro, ma senza mai raggiungere l’attualizzazione o la virtualizzazione assolute, giacché, in quanto dinamismi, smetterebbero immediatamente di esistere. Questo antagonismo prevede inoltre un terzo valore che corrispondeva alla coesistenza allo stesso grado dei due valori logici opposti. Lupasco scrive: “L’esperienza logica - si può dire l’esperienza tout court - esplicita una logica dove la bivalenza implica una trivalenza polare”[v].
La sua “logica tripolare” era costituita da due veri, l’uno l’inverso dell’altro: un vero che chiama “non-contraddizione di affermazione e di identità” ed un vero che chiama “non-contraddizione di negazione e di non-identità”. Ed un falso, un terzo valore che non è la negazione del vero, ma la coesistenza contraddittoria allo stesso grado dei due veri. Questa logica era costituita dunque da tre poli che definiva “ideali” e “impossibili”. Questi poli: “costituiscono tutti tre, come tali, dei poli ideali ed impossibili che tendono verso le due verità possibili relative, o asintoticamente trascendenti, ed il falso possibile relativo, o asintoticamente immanente. La logica è così tripolare”[vi].
Questa “logica tripolare dell’impossibile” che faceva saltare la logica di identità assoluta e non dialettica di Aristotele, si evolve poi in una “tri-dialettica del possibile” che fin da subito si propone il superamento della dialettica hegeliana. Lupasco scrive: “Il pensiero investigatore di Hegel su cui hanno sempre pesato la potente metalogica della non-contraddizione ed il prestigio storico… dell’identità… aveva preso dunque per una fusione sintetica della tesi e dell’anti-tesi ciò che era solamente la repressione virtualizzante dell’antitesi. Ma una dialettica esattamente inversa alla sua, come abbiamo visto, è possibile ed effettiva, quella dove è il valore di negazione e di diversificazione, ciò che si che chiama l’antitesi, che virtualizza, attualizzandosi, il valore contraddittorio di affermazione e di identità che costituisce la sua tesi, come anche una terza dialettica, quella dove né l’una né l’altra possono trionfare rispettivamente e che scava, dunque, una contraddizione relativa progressiva”[vii]. Questo terzo valore che arriva a gettare scompiglio nei sistemi binari e che è il campo di consistenza di una “terza dialettica” è stato da lui chiamato “T State”, o “terzo incluso”, stato né attuale né virtuale, un campo di forze, un campo in tensione dove i due valori logici opposti e antagonistici coesistono, vero e falso, oggi diremmo: non “0 o 1”, ma “0 e 1”.
Gli “stati T” di Lupasco sono così descritti : “né potenziali né attuali, ma, per così dire, nel mezzo tra la potenzialità e l’attualità e, dunque, in una contraddizione, in un’ambivalenza che li unisce energicamente e li organizza, nel modo che ho descritto brevemente, come una terza materia. L’affermazione e la negazione, motori logici dell’omogeneo e dell’eterogeneo, stanno in questa materia in tensione interpenetrandosi e separandosi allo stesso tempo. Tutto è qui sul punto di nascere e morire a un tempo; le cose hanno qualcosa del sogno e della realtà”[viii]. Gli “stati T” dal punto di vista antropologico sembrano corrispondere a quelle coesistenze contraddittorie di elementi culturali che vengono chiamate sincretismi.
Lupasco era un filosofo molto popolare nella Parigi della fine degli anni ’50 e influenzerà profondamente la “situologia” di Jorn, noi riteniamo, anche se non possiamo dimostrarlo del tutto, che anche il pensiero marxista e dialettico di Henri Lefebvre ne abbia risentito. Infatti, il passaggio di Lefebvre dal materialismo storico al materialismo spaziale, che è anche un passaggio dalla dialettica duplice a quella triplice ha un evidente debito con le teorie di Jorn e dei situazionsiti (psicogeografia e urbanismo unitario) che conosceva di persona. Inoltre, il gruppo COBRA di Jorn , fondato nel 1948, conosceva a sua volta molto bene il primo volume di “Critica della vita quotidiana” di Lefebvre uscito nella prima edizione nel 1947 e fu una delle fonti filosofiche cui s’ispirò.
Ad ogni modo le teorie di Jorn e Lefebvre apporteranno delle sostanziali modifiche alla “tri-dialettica del possibile” di Lupasco, facendogli perdere la sua discendenza genealogica dalla logica mediterranea e civilizzata, recuperando il “pensiero barbaro”. Sia in Jorn che in Lefebvre l’origine barbara di una dialettica a tre termini è consapevole e rivendicata da entrambi. Ma mentre il primo l’applicherà soprattutto al tempo, il secondo la utilizzerà soprattutto con lo spazio.
Lo stato-T: essere e non essere
Nel 1963 esce il libretto di Lupasco “Science et art abstrait” in cui sostiene che l’artista astratto è colui che ha la qualità magica di vivere la contraddizione, di plasmare il terzo termine, o, utilizzando il suo linguaggio, “la terza materia”. Lupasco scrive: “esistono, senza dubbio, due rischi, due abissi: da una parte, l’artista astratto che parte dalle figure sensibili per dileguarle e sopprimerle, procedimento che non è il più autentico e più sicuro dell’arte astratta: per questa via può avanzare il processo stesso dell’entropia positiva crescente e offrire lo spettacolo anticipato dello svanimento di tutta la forma in un’omogeneità progressiva, della morte stessa dell’universo; dall’altra parte, per un’eterogeneizzazione… non limitata più da forze antagonistiche, si schematizza invece il sogno premonitore e cieco della vita, avanza la sua differenziazione mostruosa e la sua espansione finale in una diversità illimitata e sterile”[ix]. Per Lupasco dunque quando salta l’antagonismo dei due opposti si possono presentare queste due prospettive di annichilimento, si tratta della rottura dello stato di coesistenza, del venir meno dell’equilibrio antagonistico a favore dell’una o dell’altra delle materie.
Ma tra l’uno e l’altro valore, tra la tragedia e la pace, tra il degrado e l’accumulazione, l’artista astratto potrebbe aver a che fare con un dato strano, con una “singolarità totale e unica della nostra esperienza”: il dato affettivo. Se tutto è referenza e relazione, se l’affermazione è in relazione con la negazione, l’identità con la non-identità, l’omogeneo con l’eterogeneo, la non-contraddizione con la contraddizione, se nulla sembra poter bastare a se stesso, perché tutto è relazionale ed è in continuo divenire, il dato affettivo, invece, basta a se stesso, per la sua natura rigorosamente singolare non si riferisce che a se stesso, non è che in relazione con se stesso. L’affettivo è e non è. Lupasco chiude il suo saggio “Che cos’è una struttura?” del 1967 dicendo che il dramma non è “essere o non essere”, ma “essere e non essere” ed è da qui che attinge l’autentico artista astratto[x].
Roma-Venezia, Marzo-Aprile, 2011.
[i] London Psychogeographical Association, “Luther Blissett Three-Sided Football League”, in Home S., Mind Invaders, Serpent’s Tail, 1997, p. 56.
[ii] Lefebvre H., La produzione dello spazio, Moizzi, vol. I , p. 54.
[iii] Lefebvre H., La rivoluzione urbana, Armando, pp.145-146.
[iv] Lefebvre H., La produzione dello spazio, Moizzi, vol. I , p. 59.
[v] Lupasco S., Valeurs logiques et Contradiction, la Revue Philosophique n° 1 à 3, tome CXXXV, Janvier-Mars 1945, http://dominique.temple.free.fr/reciprocidad/valeurs.html
[vi] Lupasco S., ibidem.
[vii] Lupasco S., ibidem.
[viii] Lupasco S., “Ciencia y arte abstracto”, in Lupasco S., Nuevos aspectos del arte y de la ciencia, Guadarrama, 1967, p. 55.
[ix] Lupasco S., op. cit., pp. 68-69
[x] Lupasco S, “¿Que es una estructura?”, in Lupasco S., Nuevos aspectos del arte y de la ciencia, Guadarrama, 1967, p. 167.
Tratto da The Next Urban Question. Themes Approaches Tools, Università IUAV di Venezia, 2011, pp.444-451.