**il ritorno dell'ufologia radicale**
Tra l'aprile e l'ottobre 2015 sono usciti due libri della Bordeaux edizioni, "eXploit. Come rovesciare il mondo ad arte. D-istruzioni per l'uso" a cura di Giorgio de Finis, Fabio Benincasa e Andrea Facchi e "Space Metropoliz. L'era delle migrazioni esoplanetarie" a cura di Fabrizio Boni e Giorgio De Finis dove si possono trovare dei testi-chiave dell'ufologia radicale o per comprendere ciò che è stata l'ufologia radicale. Parliamo di ritorno dell'ufologia radicale, anche se è un'imprecisione perché musicisti e intellettuali come Cobol ed Emiglino Cicala non hanno mai smesso di far progredire il pensiero esoplanetario in questi anni e ben prima di Space Metropoliz. Oltre a fare musica d'avanguardia, il loro blog è uno dei più intelligenti, interessanti e divertenti del panorama italiano e ci auguriamo che presto i vari interventi che vi si possono leggere verranno raccolti in un libro. Perché allora ritorno dell'ufologia radicale? Perché in "eXploit" si può leggere un lungo saggio di Sleena, ufologo radicale, del 1998, "La critica della terra è un contatto autonomo", da cui fu tratto allora il terzo capitolo "Scusate ma vengo da un altro pianeta: Edipo, chi è?" per il secondo numero della rivista Men in Red e che già allora si progettava di farne un libriccino. Il testo è rimasto inedito per lunghissimo tempo finché Giorgio de Finis non l'ha disseppellito pubblicandolo interamente. Quanto all'altro libro, si possono leggere due testi, uno scritto da me, una mia personale interpretazione di cosa sia stata l'ufologia radicale e uno scritto da Cobol, le cui riflessioni sono un'evoluzione dell'ufologia radicale ma molto più avanzate. L'unica nota stonata di tutta questa operazione editoriale è l'appropriazione del termine "esoplanetario" senza riconoscerne il debito con il vocabolario dell'ufologia radicale che era una formidabile macchina di neologismi. Anzi si potrebbe dire che la polarità endoplanetario/esoplanetario fosse il cuore del discorso dell'ufologia radicale e che se oggi la parola "esoplanetario" è interpretata in modo un po' rudimentale come la possibilità di creare forme di vita oltre il pianeta terra, allora aveva un senso più profondo: faceva riferimento a un insieme di attitudini emozionali indispensabili per il contatto autonomo con extraterrestri che anche qualora non si fosse mai verificato avrebbe migliorato la condizione di apertura al mondo del militante comunista.
Se all’epoca Militant X si è occupato di trovare una teoria culturale post-terrestre che si prendesse gioco delle diverse teorie post-umane, post-organiche, etc., se K si è occupato di scoprire gli arcani del capitale interplanetario, Sleena ha cercato di individuare quelli del capitale-terra. Qui vi proponiamo il suo fondamentale saggio “Capitale-Terra. La trialettica capitale-spazio-lavoro” del 1999, presente in rete da allora sul sito dei Men in Red.
Capitale-Terra
La trialettica capitale-spazio-lavoro
di Sleena (U.R.)
1. Il Capitale-Terra è il capitale che una volta superati tutti gli ostacoli alla propria autovalorizzazione previsti dalla critica classica dell’economia politica, perviene ad estendere il suo dominio reale sull’intera superficie del pianeta, non solo su ogni società, e quindi non solo come bio-potere esercitato sul corpo della specie umana, ma sull’intera biosfera. Ovunque su Terra predominano le condizioni moderne di produzione, che è come dire:
1) ovunque la ricchezza si presenta come un’immensa accumulazione di merci;
2) ovunque la vita si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli;
3) ovunque l’ambiente si presenta come un’immensa accumulazione di nocività.
Il capitale non è altro ormai che la “realizzazione negativa del vivente”, il capitale si presenta cioè dinnanzi alla biosfera terrestre allo stesso tempo come una sua propria realizzazione e come un ecosistema ad essa estranea, come oggettivazione di essa sotto forma di un potere da essa stessa indipendente e che anzi la domina con la sua propria azione. Quest’ecosistema si è generato a partire dalla sfera planetaria dello scambio, da un’esasperazione dell’autonomo essere-per-sé del valore, quindi dal puro comando di una porzione insignificante del vivente, l’Internazionale Capitalista e i suoi servitori burocrati - una sotto-specie criminale dell’Homo Sapiens - tanto sul lavoro vivo umano quanto sul resto del vivente messo a lavoro in quanto vivente.
2. Il capitale è divenuto Capitale-Terra da una parte con l’azzeramento sistematico del suo ostacolo esterno par excellence: lo spazio terrestre. Dall’altra, all’interno del processo di produzione, approssimando allo zero il tempo di lavoro necessario, cioè in definitiva portando il tempo di lavoro supplementare (il lavoro che crea l’autovalorizzazione del capitale, il lavoro spregiudicatamente comandato dal capitale - e va aggiunto: per mezzo di un’antica truffa giuridica, la proprietà privata dei mezzi di produzione, che oggi si rivela sempre di più come una truffa ai danni di tutto il vivente!) a coincidere con il lavoro tout court. Questo è stato ottenuto con un enorme potenziamento degli agenti macchinici (automazione, informatizzazione, decentramento della produzione, techno-controllo…) ed apparentemente si è trattato di una liberazione delle forze produttive dalle forme capitaliste più inattuali, ma sostanzialmente è stata un’innovazione prodotta dalla radicalizzazione delle lotte rivoluzionarie, il cui risultato positivo è rientrato esclusivamente dalla parte dell’Internazionale Capitalista, sotto forma di nuovi plus-capitali e quindi di una maggiore pervasività e profondità del domino reale del capitale sulla società, che è come dire: sotto forma di una vittoria spettacolare e apparentemente definitiva sulla rivoluzione. Con l’approssimazione allo zero del lavoro necessario il capitale neutralizza, a questo livello temporaneo di sviluppo delle forze produttive, il suo ostacolo interno par excellence: la soggettività del lavoro vivo.
3. L’ostacolo spaziale è stato superato dialetticamente attraverso la velocità, ovvero attraverso uno sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione tale da permettere una circolazione “in no time” del capitale, permettendogli quindi il raggiungimento di un livello altissimo di autovalorizzazione. Va ricordato che il capitale è valore in processo, e che il valore, creato “positivamente” dal lavoro vivente, si realizza, “negativamente”, solo nella circolazione, nel suo momento psico-geografico (per esempio, semplificando al massimo, un prodotto per essere scambiato con denaro dev’essere prima trasportato, quel prodotto finchè non approda nel mercato non è considerabile neanche una merce, quindi quanto più alto è il tempo impiegato nel trasporto, nel divenire-merce del prodotto, quanto più esso si de-valorizza, ovvero aumenta in esso il lavoro necessario e diminuisce quello supplementare). In altri termini la devalorizzazione causata dallo spazio terrestre, in quanto distanza e in quanto durata, è stata pressochè annullata con l’odierna potenza d’agenti macchinici accumulata dalle forze produttive (dai TAV alla telematica, dal Concorde alle comunicazioni satellitari…). Nel dominio reale il capitale non è più costituito da momenti tra loro chiaramente distinti e indifferenti, come all’epoca della critica radicale marxiana, esso ha raggiunto ora una velocità di rotazione critica tale (aumentata inoltre da mille espedienti finanziari che smaterializzano il capitale, che lo trasformano in informazione, rendendo possibile una circolazione artificiale “alla velocità del pensiero” (Marx); si pensi, ad esempio, al processo progressivo di “demonetizzazione” del capitale, ecc.) da far apparire i suoi momenti come un unico solo momento, un unico movimento universale, caotico e difficilmente analizzabile, un perpetuum mobile che sembra coincidere ormai con un divenire-pianeta-Terra. Questo uso della velocità da parte del capitale per autovalorizzarsi al massimo grado (e quindi per sfruttare il lavoro vivo al massimo grado), per estendere il suo dominio su tutta la Terra annullandone lo spazio è stato ampiamente studiato dall’urbanista francese Paul Virilio, che è arrivato addirittura a fondare una nuova scienza sociale basata sullo studio della velocità, la dromologia (dal greco antico “dromos”=corsa). Egli sostiene che la società capitalista sia una “dromocrazia”, ovvero una società in cui la gerarchia di ricchezza fa tutt’uno con la gerarchia di velocità, quanto più si ha in gestione la velocità quanto più si ha accesso all’accumulo capitalistico della ricchezza. Virilio ha scritto: “…il mondo si restringe, lo spazio reale del mondo intero si restringe e si ridurrà, tra quaranta o cinquanta anni, a niente. Un giorno, il mondo o niente sarà la stessa cosa. C’è qui un orizzonte negativo che nessuno analizza, e che è un fenomeno d’ecologia ed economia politica. Direi che sarebbe necessaria una dromologia pubblica per cercare di comprendere questa perdita simbolica dello spazio-tempo del mondo intero”. Ma, insomma, senza dover ricorrere ad un nuovo sapere “separato” come la dromologia, già Marx nel 1858, nei Grundrisse, scriveva: “Mentre… il capitale deve tendere, da una parte, ad abbattere ogni ostacolo spaziale al traffico, ossia allo scambio, e a conquistare tutta la terra come suo mercato, dall’altra esso tende ad annullare lo spazio attraverso il tempo”.
4. L’ostacolo costituito dal lavoro vivente è stato superato dialetticamente attraverso la fine della sua reclusione nello spazio della fabbrica (deterritorializzando e flessibilizzando la produzione, espellendo dalle condizioni di lavoro quantità sempre maggiori di popolazione, ecc.), con l’automazione e informatizzazione del processo di produzione, con la divisione internazionale del lavoro, con la produzione di spettacoli (cioè di nuovi rapporti sociali e di dispositivi adeguati al loro controllo). Il lavoro vivo, separato giuridicamente dalla ricchezza che esso stesso produce -una separazione che i movimenti rivoluzionari degli ultimi trent’anni hanno disvelato come un puro dispotismo dello Stato democratico, giustificata oltre la sua forma storicamente determinata esclusivamente per mezzo della violenza poliziesca e di un continuo regime di emergenze (lo Stato deve continuamente autonegarsi, finendo ad esercitare appunto un ruolo di mera gestione dispotica della specie, al servizio del capitale) -, viene riunificato ad essa spettacolarmente. Il lavoro vivo di fatto espropriato della ricchezza materiale se la ritrova nella propria miserabile vita quotidiana come mondo immateriale, l’Internazionale Capitalista, detta come va detta, cogliona il lavoro vivo facendolo partecipare ad una rappresentazione della ricchezza da cui esso in realtà è lontano anni luce; il lavoro vivo si riproduce in quanto comunità umana completamente mistificato da questa rappresentazione, ovvero la rete di relazioni, affetti, godimenti, soggettività, culture, innovazioni, ecc., che esso produce in quanto comunità umana è mediata da uno spettacolo, la cui produzione da parte del capitale ha come unico fine quello di distogliere l’attenzione dalla ricchezza reale, dall’esproprio capitalista. Riprodurre la comunità umana sotto il dominio reale del capitale planetarizzato, vuol dire produrre gratis le condizioni necessarie al capitale per implementare e ottimizzare la propria autovalorizzazione (ad esempio, si pensi al recupero sistematico delle culture metropolitane marginali nel linguaggio pubblicitario, nell’industria dell’abbigliamento, della musica, del cinema, dell’arte, del tempo libero, ecc. o la rilevazione degli acquisti per mezzo delle carte di credito o di telecamere apposite per orientare più velocemente l’offerta…), cioè appunto il nostro coglionamento, vuol dire una cosa sola: vivere in queste condizioni è già fare un lavoro supplementare, ovvero produrre plusvalore, probabilmente una forma di plusvalore di tipo nuovo, comunque una forma di grave sfruttamento contro la quale è necessario combattere. Noi per ora esigiamo un reddito di cittadinanza universale, ma già sappiamo che non ci basterà, è necessario che ci sia distribuita l’intera ricchezza reale di cui siamo i produttori, questo non solo è giusto, ma è anche l’unico modo per salvare concretamente il pianeta-Terra. Karl Marx descrivendo la tendenza espansionistica del capitale, la sua tendenza a superare tutti gli ostacoli, esterni ed interni, e a produrre un mercato mondiale, arrivò a prevedere che esso al culmine di questa sua rivoluzione permanente avrebbe posto le basi per un rapporto tra capitale e lavoro in una nuova forma: “…l’esplorazione sistematica della natura per scoprire nuove proprietà utili delle cose; lo scambio universale dei prodotti di tutti i climi e di tutti i paesi; la nuova (artificiale) preparazione degli oggetti naturali, mediante la quale si conferiscono loro nuovi valori d’uso; l’esplorazione completa della terra per scoprire sia oggetti utili nuovi, sia nuove proprietà utili dei vecchi, oppure le loro proprietà come materie prime ecc.; lo sviluppo delle scienze naturali fino ai massimi livelli cui esso può giungere; la scoperta, la creazione e la soddisfazione di nuovi bisogni derivanti dalla società stessa; la coltivazione di tutte le qualità dell’uomo sociale e la sua produzione come uomo per quanto è possibile ricco di bisogni perchè ricco di qualità e di relazioni; ossia la sua produzione come prodotto per quanto possibile totale e universale della società (giacchè, per avere una vasta gamma di godimenti deve esserne capace, ossia essere colto ad un grado elevato): tutto ciò è anch’esso una condizione di base della produzione basata sul capitale”. E poi di seguito, chiarificante più che mai: “…è uno sviluppo di un sistema sempre più ampio e globale di tipi di lavoro, di tipi di produzione, ai quali corrisponde un sistema sempre più ampliato e ricco di bisogni… La produzione basata sul capitale dunque, come crea da una parte l’industria universale - ossia pluslavoro, lavoro che crea valore -, così d’altra parte crea un sistema di sfruttamento generale delle qualità naturali e umane, …il cui supporto è tanto la scienza quanto tutte le attività fisiche e spirituali, mentre nulla di più elevato in sè, di giustificato per se stesso, si presenta al di fuori di questo circolo della produzione e dello scambio sociali”. Si tratta proprio di quel livello di sviluppo delle forze produttive che noi chiamiamo Capitale-Terra, un livello in cui diviene per la prima volta evidente che in realtà l’ostacolo par excellence del capitale non è che il capitale stesso.
5. Ovviamente le cose sono molto più articolate, il superamento dell’ostacolo interno all’autovalorizzazione del capitale, la riduzione della soggettività del lavoro vivo ad un prodotto del capitale stesso, andrebbe analizzata più in profondità e da molteplici punti di vista, poichè già da ciò che abbiamo scritto ne consegue un primo aspetto importante, difficilmente accettabile dai marxisti ortodossi: la fine della legge del valore. Come ha scritto Toni Negri: “…una volta che l’intera esogeneità del valore d’uso della forza-lavoro” - cioè, quella che noi abbiamo definito soggettività del lavoro vivo - “è stata ridotta a valore di scambio, come può più esistere o essere valida la legge del valore?”. Ma sia la questione della fine della legge del valore, sia altre questioni strettamente legate ad essa (il salario, la disoccupazione, le lotte…) meriterebbero un articolo a parte, quel che per ora c’interessa far emergere è che nel dominio reale del Capitale-Terra lo spazio terrestre e il lavoro vivo, l’ostacolo esterno della circolazione e quello interno della produzione, una volta superati, si ripresentano in antitesi al processo di valorizzazione in una forma nuova, ad un livello superiore, anche dal punto di vista dei rischi; essi si rivelano per quello che in realtà già erano, due facce dello stesso ostacolo: la sfera del vivente che si dispiega attraverso l’intero spazio terrestre, la biosfera.
5.1. L’azzeramento dello spazio terrestre attraverso la velocità da parte del capitale ha prodotto una quantità immensa di nocività ed ha alterato l’ecosistema, l’estensione della sfera dello scambio all’intero pianeta ha finito con il modificarlo in profondità, di fatto il capitale-terra si presenta esso stesso come un ecosistema di tipo nuovo, un ecosistema che sembra soppiantare quello vecchio, se in questo le risorse della natura permettevano l’autogenerazione della vita, in quello nuovo le risorse della vita permettono l’autogenerazione di un valore astratto - totalità del lavoro vivente oggettivato, astratto-, un blob mortifero, una “gelatina” secondo la decrizione di Marx, del tutto estranea alla vita stessa.
5.2. L’azzeramento della soggettività del lavoro vivo attraverso la costituzione da parte del capitale della sua “comunità reale”, ovvero di una comunità umana fittizia, processo che Jacques Camatte ha chiamato suggestivamente “antropomorfosi del capitale”, ha prodotto una quantità immensa di psico-nocività che hanno ricadute terrificanti sul corpo della specie, sui suoi comportamenti, schizofrenizzati dal doppio vincolo del puro dominio, e tramite questi su tutto il pianeta.
5.3. Sia chiaro, il capitale-terra non può fare a meno di produrre nocività, esso è il movimento di un valore astratto e in quanto tale è totalmente disinteressato dalle questioni concrete, come quelle ecologiche e sociali, se non quando esse stesse si presentano come un ottimo affare, ovvero un’occasione nuova per produrre valore. In altre parole il capitale-terra mette seriamente a rischio le condizioni minime necessarie alla riproduzione del vivente, il delicato equilibrio della biosfera, e giacchè il capitale in realtà non è altro che un suo prodotto, l’attuale suo divenire entra in una contraddizione pesantissima, invalicabile, con se stesso. Questa è la situazione che ci si presenta da un punto di vista eso-planetario:
-Aut. Un divenire autodistruttivo, come movimento di decadenza del capitale in quanto organizzazione ormai inadeguata all’attuale sviluppo delle forze produttive, movimento nel quale la potenza delle forze produttive è bloccata da un intensificazione dell’esercizio astratto del potere degli stati postmoderni.
-Aut. Un divenire-altro, come movimento di superamento del capitale, nel quale la potenza delle forze produttive possa finalmente davvero liberarsi e trovare la sua forma “attuale”, movimento che può manifestarsi con una rivoluzione o con un esodo della cooperazione sociale dal comando del capitale o con modalità nuove ora completamente imprevedibili (ad esempio, con un contatto della specie umana con l’alien dissident).
O una decadenza della civiltà umana, e con essa della vita sulla Terra (in altre parole: la Terra smetterebbe di essere un pianeta di classe “M”), o una trasformazione radicale dell’esistente, una nuova forma di civiltà che abbia ridefinito il proprio rapporto con la natura, che abbia cioè superato l’arcaica concezione del progresso come “dominio sulla natura”.
6. Quelle interpretazioni della biosfera che ne fanno un organismo vivente sui generis, cioè un sistema autosostentantesi per mezzo di complessi meccanismi naturali di retroazione, come ad esempio l’interpretazione “ecolocratica” di James Lovelock che invita a considerare la Terra come un “pianeta vivente”, GAIA, sono mistificazioni incapaci di spiegarsi “l’anomalia umana”. In esse vi è sempre un’armonia originaria della natura terrestre, un equilibrio perfetto, cibernetico, del vivente in opposizione a-dialettica all’attività della specie umana e continuamente minacciato da essa, tanto che nelle loro versioni più radicali l’Homo Sapiens finisce sempre per essere descritto come un tumore o un virus, come una specie di origine aliena o comunque una specie geneticamente portata alla distruzione della Terra. Una demistificazione di queste interpretazioni è costituita dal patafisico Gaia Liberation Front che porta la logica di Lovelock fino alle sue estreme, paradossali conseguenze. Ritenendo che l’essere umano è geneticamente portato alla produzione tecno-scientifica così come ci si presenta, cioè sussunta dal capitale, e quindi alla distruzione della natura, il GLF invita a considerarlo come una forma di vita ormai estranea al resto del vivente terrestre, alla stessa stregua degli alieni invasori della fantascienza. Ovviamente a questo punto, l’unica soluzione per la salvezza di GAIA non può che essere l’autodistruzione della specie umana (…e il GLF oltre al suicidio, all’autosterilizzazione, ecc. ritiene che il metodo più sicuro sia di creare appositamente diversi virus per colpire esclusivamente gli umani). Il paradosso del GLF in realtà è già presente fin dall’inizio, in latenza, nella teoria di Lovelock e il motivo è presto detto: in essa vi è un elemento rimosso, il capitale.
6.1. Ma paradossi simili si possono presentare per altre ragioni anche nella critica radicale, dove il capitale è tutt’altro che rimosso. Giorgio Cesarano ad esempio in Critica dell’Utopia Capitale ha scritto: “I codici istintuali non sono altro che il manifestarsi oggettivo, relazionale con l’altro da sè, dei codici genetici, e poichè sono questi che determinano il fondamento della struttura primaria e le sue eventuali mutazioni, la “resistenza” biologica a un “progetto di mutazione” meramente virtuale è, in sè e per sè, nella sua contraddizione dialettica, l’esprimersi tout-court del destino biologico della specie. Ma la distonia, la palese sfasatura tra il “progetto” così come lo vediamo sviluppato nella storia della specie e l’assetto biologico su cui si fonda, purtuttavia restano anomale, così da far pensare a più d’un sapiente - e all’immaginazione mitica che mai sa quello che vuole ma sempre ciò che deve - l’ipotesi d’un origine aliena, la specie come relitto d’una colonizzazione extraterrestre poco fortunata… Al di là di ogni fantasmagoria religiosa o metastorica, è certo che gli uomini si sono condotti verso se medesimi, e verso la biosfera che li ospita, come i più alieni, i più cinici colonizzatori”. E poi più avanti:”…la stupidità generica che fa apparire la specie come un gene alieno al pianeta, una comunità di spaesati colonizzatori piombati sulla terra per caso e senza conoscerla, e dunque privo di quell’istintuale sapienza della “terrestrità” che al contrario denota il comportamento biologico, ben altrimenti congruo, delle altre specie viventi; quella stupidità è la storia non ancora finita di un lungo sconvolgimento, un’opera di adattamento davvero demoniaca e titanica insieme, una colonizzazione totale, irreversibile”. Cesarano rifiuta la divisione tra natura e cultura poichè considera la cultura (e quindi il linguaggio) come una dimensione extra o meta-corporea della specie umana, una caratteristica determinata geneticamente che ci contraddistinguerebbe dal resto del vivente. L’evoluzione di questa dimensione extra o meta-corporea avrebbe delle determinazioni naturali (terrestri), essa infatti sarebbe una dimensione che nelle altre speci si manifesta ancora ad un livello corporeo. Ma l’evoluzione della dimensione corporea dell’uomo non andrebbe di pari passo con quella extra o meta-corporea così da creare quella nostra sfasatura rispetto alla biosfera sulla quale oggi molti “sapienti” s’interrogano. Soprattutto, il ritardo delle mutazioni della dimensione corporea rispetto a quelle della dimensione meta-corporea ci spiegherebbe l’origine della formazione dell’ecosistema capitale: il movimento autonomo del valore non sarebbe altro che la dimensione meta-corporea degli umani sottomessa realmente all’assiomatica capitalistica, un’assiomatica in principio puramente formale, giuridica. Esso dunque, dinnanzi alla biosfera (umani compresi), si presenterebbe come un Essere (nel senso filosofico, ma anche ad litteram) meta-corporeo estraneo che si nutre della sua energia vitale. Ma stando così le cose come ci liberiamo di questo mostro, dell’ecosistema capitale? Cesarano non ha dubbi, prima di tutto evitando di cadere nel tranello delle emergenze ecologiche lanciate dagli scienziati del “capitale autocritico” e poi sviluppando quanto di corporeo c’è in noi, ovvero quanto di estraneo c’è in noi rispetto all’Essere-Capitale. Cesarano chiama questa assoluta esogeneità del corporeo al capitale terrestrità. Ma, se è vero che si tratta, e oggi più che mai, di disvelare l’emergenza ecologica come un territorio avanzato di gestione e valorizzazione capitalista della specie e della biosfera, questo non vuol dire che il “qui ed ora” della rivoluzione (il suo momento immediato e assoluto, la negazione della negazione della vita quotidiana) debba consistere nella ricerca di un’essenza “naturale” in noi che sia insussumibile dal capitale. Cesarano, nel desiderio di rendere assoluta la sua sfida al capitale, sfugge all’analisi dialettica e approda nella ricerca disperata di un’invarianza esoterica del vivente, di un’antitesi ontologica (dell’essere) al divenire del capitale. Questo è l’errore che rende tutta la sua teoria paradossale, in modo non dissimile dalla teoria di GAIA. Portando alle estreme conseguenze la teoria di Cesarano, cioè considerando la dimensione metacorporea umana stessa ormai come L’Essere-Capitale, avremmo da una parte un capitale che è il risultato di una nostra predisposizione genetica ad esso e dall’altra la terrestrità, una predisposizione genetica contro di esso (ed è a causa di questa contraddizione genetica “dialettica” che prende in considerazione come momento analitico l’origine aliena della specie). Se stessero davvero così le cose avremmo l’occasione di utilizzare per la prima volta a buon fine la manipolazione genetica: “dissequestrando” la sapienza scientifica potremmo individuare il gene del capitale e modificarlo, avremmo così un superamento dialettico storico-genetico del capitale come rivoluzione realizzata della nostra “saggezza organica naturale”, la terrestrità! Il nostro sospetto è che questa dialettica portata fin dentro il DNA (una “dialettica radicale”, una dialettica tra esseri irriducibili, l’essere-capitale e l’essere-terrestrità, dalla quale è difficile immaginare un esito sintetico) non sia che una trasmutazione psichedelica della concezione prometeica della rivoluzione come destino storico della specie, che fa della rivoluzione, in modo ancor più stringente, un destino biologico. Il risultato malgrado tutto è tanto meta-storico quanto quello dell’origine aliena della specie. Noi crediamo che la lotta al capitale somatizzata in questo modo non può che risolversi in un’automutilazione, così come proponeva il GLF, giacchè una parte di me (la dimensione metacorporea, l’alieno che è in me) dev’essere estirpata in qualche modo… Il rimosso di questa teoria è che il capitale non è un Essere storico, ma un Divenire storico e quindi la dimensione meta-corporea umana così come è divenuta progressivamente il capitale stesso, una volta sottoposta alla sua assiomatica giuridica, così può divenire-altro. L’Essere-Capitale di Cesarano è sempre contemporaneamente un Divenire-Altro.
6.2. Per l’Ufologia Radicale non c’è più un fuori, non c’è più un’esogeneità al capitale su questo pianeta. Esogeneità al capitale vi è solo a partire dall’esosfera. Questa esogeneità concreta può essere però raggiunta dal pensiero, ed è un punto di vista sui fatti del mondo capitalistico radicalmente esteriore ad essi, un’attitudine al creare “esteriorità”, un giocare agli alieni per le strade dell’impero. Noi chiamiamo questo pensiero esosferico, il negativo del controllo poliziesco satellitare, eso-planetarismo. Tutto sommato è una cosa seria: è una critica radicale del capitale planetarizzato. Quando è cominciato tutto ciò? Nel ‘69 il situazionista Eduardo Rothe in La conquista dello spazio nel tempo del potere scriveva: “Asessuati, neutri, superburocratizzati, i primi uomini che sfuggono all’atmosfera sono le vedette di uno spettacolo che galleggia giorno e notte sulle nostre teste, che può vincere le temperature e le distanze e che ci opprime da lassù come il pulviscolo cosmico di Dio. …gli astronauti, senza volerlo, fanno la critica della terra …fluttuano nello spazio o saltellano sulla luna per far camminare gli uomini al tempo del lavoro”.
Il capitale-terra è il capitale giunto al culmine del suo sviluppo universale ed è proprio a partire da qui che diviene finalmente pensabile e quindi possibile una rivoluzione internazionalista, una rivoluzione planetaria.
7. Le Associazioni degli Astronauti Autonomi sostengono, plagiarizzando Rothe, che il capitale “una volta saturato di merci fino all’inverosimile il pianeta-terra e giunto al culmine delle sue contraddizioni eiaculerà nello spazio”. Il grande spettacolo del progresso scientifico negli anni ‘60 lasciava supporre l’esistenza di uno sviluppo incredibile delle forze produttive che di fatto ancora non c’era e che in parte ancor’oggi non c’è. Le forze produttive avevano raggiunto un livello di potenza effettivamente nuovo che già cozzava con l’arretratezza culturale in cui versavano sia le società capitaliste che quelle burocratiche, al capitale occorreva quindi una rapida soluzione, probabilmente si credeva che sarebbe bastato accumulare spettacoli, ovvero nascondere le vere possibilità della specie attraverso un’Esposizione Universale irreale e totale. Ma non andò così, è storia: nelle società capitaliste ci sono volute le rivolte e la loro sconfitta perchè il capitale riuscisse a liberare quelle forze produttive senza autonegarsi. Quanto alle società burocratiche, esse hanno finito proprio per autonegarsi. Quello spettacolo della scienza, che era alla base tanto dei deliri iperfuturisti dell’Internazionale Situazionista quanto di quelli dei ciber-teorici, rendeva facilmente immaginabile, specialmente dopo lo sbarco sulla luna (un iperspettacolo a prescindere dal fatto che sia veramente avvenuto o meno), un capitale impegnato a risolvere le proprie contraddizioni investendo nella conquista dello spazio. Ma oggi le cose emergono sotto una luce molto diversa, e non solo perchè siamo passati attraverso il punk-rock. Quello spettacolo servì letteralmente a “sorvolare” sulle contraddizioni del capitale e a creare un mito unificante per la specie, un mito che annunciava il capitale globalizzato più che la conquista dello spazio. Camatte sostiene che il capitale per dominare realmente la specie abbia bisogno di produrre una grande rappresentazione mediatrice, una specie di equivalente generale di tutte le sue diverse e possibili rappresentazioni, ovvero “la rappresentazione del movimento indefinito e smisurato del capitale che pone, come direbbe Hegel, il cattivo infinito, questo accrescimento quantitativo che esso tenta di prolungare su altri pianeti evadendo dalla terra” (A proposito del capitale). Il mito della conquista dello spazio non è stato che questo: la produzione di una rappresentazione mediatrice che unificasse la specie sotto il dominio reale del capitale, sotto il segno della sua eternità. Di fatto oggi il capitale-terra al culmine delle sue contraddizioni non evade affatto dalla terra, se non sul piano delle rappresentazioni, delle estetiche interplanetarie ed ufomorfiche, ma nei processi reali esso si è gettato in ciò che ancora sfuggiva al suo movimento di globalizzazione: l’infinitamente piccolo dello spazio terrestre così come l’infinitamente piccolo del vivente. Il silicio e il DNA. Il microchip e il mais transgenico. La conquista dello spazio invece ricade a pioggia sulla Terra sotto forma di una rete di tele-comunicazioni totale e di un controllo poliziesco satellitare assoluto sulla biosfera, e tramite questi sotto forma di un nuovo equivalente generale delle rappresentazioni capitaliste che sembra risolvere la crisi della legge del valore, il “capitale interplanetario”, il capitale-terra visto dallo spazio in una pubblicità di telefonini cellulari, la simulazione di una comunità umana planetaria, tanto più verosimile quanto più interconnessa. Ma è una simulazione tanto potente estensivamente quanto fragile in intensità come stanno a dimostrarci i bombardamenti della Nato in Serbia e in Kosovo. Da una parte dunque il capitale, realizzando lo spettacolo di se stesso, diviene “capitale interplanetario”, un meta-spettacolo, rendendo obsoleto il vecchio spettacolo della conquista dello spazio, occultando la sua conquista intensiva del pianeta-Terra. Dall’altra, in quanto capitale-terra, indisturbato, smaterializza il suo processo di valorizzazione, divenendo informazione e accumulandosi in supporti sempre più miniaturizzati, penetrando fin dentro il DNA, creando nuove forme di vita, trasformando concretamente in vivente la sua astrazione, facendo perdere in definitiva le tracce della sua truffa giuridica ai danni dell’umanità e della biosfera tutta.
8. E’ chiaro che dal punto di vista esoplanetario ormai l’ Astronautica Autonoma si rivela del tutto obsoleta: oggi competere dal basso con la conquista capitalista dello spazio non ha più senso. Gli astronauti autonomi invece, non solo sono convinti di produrre una critica radicale d’avanguardia del mondo contemporaneo, ma hanno anche un’idea di sè piuttosto gonfiata (anche perchè è il modo più facile per combattere la gravità!): “La AAA non è il più importante gruppo rivoluzionario esistente al mondo, ma dell’universo!”. Noi siamo assolutamente convinti che la AAA sia davvero il gruppo rivoluzionario più importante del mondo, ora che il mondo è stato sussunto dal capitale, ridotto al nulla. Ma nell’universo provocherebbe solo l’ilarità degli alieni. Gli astronauti autonomi credono che “l’universo sia il terreno dell’ultima rivolta, quella contro i limiti imposti dalla natura” e pensano bene quindi di attrezzarsi per “depredarlo”. Questo atteggiamento da saccheggiatori dell’universo, questo loro approccio “micro-fascista” al sapere tecno-scientifico come dominio sulla natura non li fa all’altezza di un’attività rivoluzionaria al di fuori del capitale-terra. Essi esporterebbero nello spazio la cattiva coscienza delle società capitaliste e burocratiche e sarebbero inoltre impreparati a gestire rapporti politici con gli alieni, i quali attualmente nelle loro teorie figurano ancora come il “terzo escluso” . E questo è davvero un cattivo uso della trialettica! Le teorie sconclusionate della AAA sono proprio il risultato di una mancanza di familiarità con il metodo trialettico, la cui invenzione essi peraltro continuano ad attribuire erroneamente ad Asger Jorn. La trialettica invece è stata inventata da Marx nei suoi ultimi studi, una dialettica a tre termini estremamente articolata definita, nella parte incompiuta de “Il Capitale”, come la “formula trinitaria”: capitale-terra-lavoro. Marx arrivò alla trialettica considerando che il capitale globalizzandosi avrebbe esteso la proprietà privata della terra all’intero pianeta, sancendo di fatto la proprietà del pianeta-Terra da parte di pochi umani, una situazione rischiosissima. Già allora era chiaro che:”nella proprietà terriera è compreso il diritto del proprietario di sfruttare il terreno, le viscere della terra, l’aria e perciò la conservazione e lo sviluppo della vita.” Ad un alto grado di sviluppo delle forze produttive la dialettica capitale-lavoro non può più spiegare l’alta complessità della situazione, è necessario allora aggiungere un terzo termine, la terra: “Riguardata sulla base di una più sviluppata struttura economica della società, la proprietà privata della superficie terrestre da parte di singole persone sembrerà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche tutta una società, una nazione, e anche tutte le società di una stessa epoca prese insieme, non possono essere proprietarie della terra”. (Il Capitale, III, VI). Henri Lefebvre svilupperà la trialettica marxiana negli anni ‘40 e ‘50, chiamandola “spazio-analisi”, e tramite lui arriverà al gruppo COBRA, il gruppo di artisti di cui faceva parte Jorn prima del Bauhaus Immaginista. Capitale-Terra-Lavoro! Fu utilizzata anche da Deleuze e Guattari per l’analisi degli apparati di cattura! Ma se gli Astronauti Autonomi non sono proprio dei trialettici eccellenti, malgrado certe pose, sembrano comunque corrispondere alla perfezione, con le loro navicelle autocostruite, alla figura dell’”artigiano cosmico”, una soggettività esoplanetaria descritta da Deleuze e Guattari in Sul Ritornello:”La figura moderna non è quella del fanciullo nè del folle, ancor meno quella dell’artista, è quella dell’artigiano cosmico: una bomba atomica artigianale, è davvero molto semplice, è stato provato, è stato fatto. Essere artigiano, e non un artista, un creatore o un fondatore, è questo il solo modo di divenire cosmico, di uscire dagli ambienti, di uscire dalla terra”. L’Ufologia Radicale comunque, pur apprezzandolo, non è interessata all’artigianato, ma piuttosto a sottrarre la produzione sociale alla gestione capitalista, al conflitto reale (un impianto della NASA sarà sempre più avanzato del migliore dei synth-a-modelli-fisici!). Sempre Deleuze e Guattari in proposito sono stati molto chiari: “La terra è, ora, la più deterritorializzata: non soltanto un punto in una galassia, ma una galassia fra le altre… La battaglia, se c’è n’è una, ormai si combatte altrove. I poteri costituiti hanno occupato la terra e hanno formato organizzazioni di popolo. I mass-media, le grandi organizzazioni del popolo, del tipo partito o sindacato, sono macchine per riprodurre, macchine per fare il vago, che effettivamene disorientano tutte le forze terrestri popolari. I poteri costituiti ci hanno posto nella condizione di un combattimento ad un tempo atomico e cosmico, galattico”. (1837-Sul Ritornello, Mille Piani).
Solo combattendo contro il “capitale interplanetario” disveleremo la nuova forma di spettacolo del capitale-terra.