Il pamphlet "Luther Blissett è morto davvero" che presentiamo risale al 2008, il periodo dell'Onda e del New Italian Epic, è stato scritto da un anonimo ed è una risposta al libriccino con cui esordì Luther Blissett nel 1995 intitolato “Guy Debord è morto davvero” (pubblicato da Crash edizioni e in seguito da DeriveApprodi).  In quel testo Luther Blissett attaccava duramente Debord sostenendo che avesse gestito in modo autoritario l’Internazionale Situazionista e che fosse diventato a partire dal suo film “IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI” il suo doppio noioso: Guy The Bore.  In questo pamphlet i ruoli sono rovesciati e Debord torna per criticare duramente la gestione stalinista del folk hero Luther Blissett da parte di un comitato centrale: il “Luther Blissett Project”.

Il pamphlet “Luther Blissett è morto davvero” che presentiamo risale al 2008, il periodo dell’Onda e del New Italian Epic, è stato scritto da un anonimo ed è una risposta al libriccino con cui esordì Luther Blissett nel 1995 intitolato “Guy Debord è morto davvero” (pubblicato da Crash edizioni e in seguito da DeriveApprodi).  In quel testo Luther Blissett attaccava duramente Debord sostenendo che avesse gestito in modo autoritario l’Internazionale Situazionista e che fosse diventato a partire dal suo film “IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI” il suo doppio noioso: Guy The Bore.  In questo pamphlet i ruoli sono rovesciati e Debord torna per criticare duramente la gestione stalinista del folk hero Luther Blissett da parte di un comitato centrale: il “Luther Blissett Project”. Il pretesto è una seduta spiritica nella quale Debord viene invocato e di cui approfitta per prendersi la rivincita e togliersi lo sfizio di dire la sua sui Luther Blissett, sui suoi esiti nella cultura seria, sulla lotta di classe, sul mondo dell’arte, sui fascisti e sulla società dello spettacolo degli anni zero. Poiché il Debord che parla è uno spirito, lo stile del testo ha ovviamente un qualcosa di esoterico che si aggiunge al linguaggio della critica radicale più matura (il testo è in parte un deturnamento di autori rinascimentali e barocchi: Baltasar Gracián, Machiavelli, Giordano Bruno, Marsilio Ficino, Baldassarre Castiglione, François Villon, François Rabelais, ecc.). Dopo quattro anni di presenza in rete è possibile oggi affermare che il testo sia uno scherzetto scritto da un Luther Blissett dissidente. Contrariamente a quanto sostiene Guy The Bore nel pamphlet, nei cinque anni in cui è esistito, il Luther Blissett Project ha rappresentato un’innovativa metodologia di attacco indiretto al capitalismo, nessuno di coloro che vi aderivano aveva altro orizzonte politico e culturale, anche quando si attaccava la teoria del recupero della critica radicale tradizionale l’idea era di entrare nel mercato per scassare tutto e gettare nel panico il sistema. Il problema non sono i cinque anni di Luther Blissett Project ma ciò che è avvenuto dopo, quando critici, curatori e accademici hanno cominciato a cercare una teoria con cui inquadrarlo. Ad esempio, la mostra “Networked Disruption - Rethinking Oppositions in Art, Hacktivism and Business” che si sta tenendo a Lubiana dall’11 Marzo al 3 Aprile ha presentato dei materiali del Luther Blissett Project di grande interesse, ma il frame teorico che storicizza tali materiali è completamente fuori luogo. L’idea di base è che le reti della cooperazione sociale delle pratiche attiviste innovino le forme di business e che con l’innovazione delle forme di business avanzi anche la teoria critica, perché avendone un’esperienza dall’interno ne conoscerebbe meglio i punti deboli per creare scariche disruptive (networked disruption). Superando le opposizioni frontali tra antagonismo e capitalismo tale teoria propone una circolarità fatta di complicità e feedback di cui si avvantaggerebbero entrambi: l’antagonismo perché vedrebbe prosperare le reti della cooperazione sociale e il capitalismo perché le scariche disruptive gli permetterebbero di riorganizzarsi, ristrutturarsi e superare le crisi. Insomma tutti contenti e nessuno si fa male. Questo genere di teorie sono poco interessate alle reali ragioni dell’antagonismo il cui fine non è restare antagonismo per sempre ma arrivare a una rottura tale da farla finita una volta per tutte con il capitalismo. Inoltre, trasformano la dinamica del conflitto sociale in una fisiologia e la naturalizzano, le scariche disruptive non sono come rotture in un campo di forze, sono scosse che ristabiliscono l’equilibrio della circolarità tra antagonismo e capitalismo all’infinito. Due critiche vanno portate avanti a queste teorie. La prima è che è vero che il fine delle reti della cooperazione sociale delle pratiche attiviste dovrebbe coincidere con il mezzo, ovvero che il fine dovrebbe essere la prosperità delle stesse reti della cooperazione sociale, ma la circolarità tra antagonismo e capitalismo rende la qualità delle reti della cooperazione sociale scadenti. Le relazioni sociali di cui sono intessute le reti della cooperazione sociale diventano ambigue, selettive e competitive, ovvero acquisiscono i peggiori aspetti della sociabilità dominante. La seconda è che è vero che l’esercizio della teoria critica può creare dei talenti e delle intelligenze, ma il suo fine non è rigenerare il capitalismo con tali talenti e intelligenze. Se è la teoria critica a generare talenti e intelligenze non abbiamo alcun bisogno del capitalismo e la circolarità tra antagonismo e capitalismo potrebbe condurre alcuni a pensare che l’esercizio della teoria critica possa portare a un’attività remunerativa, che sia una fase preliminare del business invece che uno strumento della lotta di classe. Ciò che è venuto dopo il Luther Blissett Project lo puoi trovare sugli scudi degli antagonisti nei riots, ma lo puoi trovare anche negli ambienti del marketing, tuttavia non è possibile alcuna circolarità tra questi due ambiti, le circostanze si sono evolute e sono molto diverse dagli anni del Luther Blissett Project, l’esperienza ci ha insegnato che è un’ingenuità pensare che si possa distruggere il mercato dall’interno. Ciò non vuol dire che non si possa stare sul mercato per comunicare, diffondere idee e immaginario, ma la sola presenza sul mercato con queste finalità non sarà mai abbastanza per distruggerlo. Occorre sapere da che parte stare, è finita da un pezzo l’epoca di certe teorie equivoche degli anni zero.

Luther Blissett, Lubiana, 2015

 

GUY THE BORE 

LUTHER BLISSETT E’ MORTO DAVVERO

Il nuovo ordine sociale potrebbe essere definito, in modo abbastanza appropriato, comunismo, se la propaganda, largamente diffusa, del “Partito Comunista” non avesse utilizzato questo nome per indicare il socialismo di stato, realizzato sotto la dittatura di un partito. Ma il nome non ha una grande importanza. Spesso i nomi servono soltanto ad ingannare gli uomini, a frenare la loro intelligenza critica: abituandosi ad usare certe parole, essi non riescono più a distinguere chiaramente la realtà che vi sta dietro. È quindi meglio vedere con chiarezza quale sarà la caratteristica più importante del nuovo ordine, e cioè i consigli operai.

 Anton Pannekoek

Fine della messa in scena? Non proprio. Progressivo accantonamento della logica dell’illogico barocca, questo sì.

Maria Letizia Vallone 

Dio è morto e lotta insieme a noi.

Anonimo

Quando ero ancora vivente non mancava chi mi accusasse di essere un alcolizzato incapace di nuocere, poi quando sono morto, le stesse persone hanno preso ad accusarmi di essere stato un lucido ideologo, autoritario e noioso. O una cosa o l’altra. Io ritengo siano disonesti entrambi i giudizi e mi servirò dello spiraglio aperto da questa seduta spiritica per rivolgermi a chi mi ha chiamato in causa quando non ero più nella posizione di poter rispondere.  

Desidero partire da alcune ammissioni: è il fatto che io non abbia mai lavorato la ragione di tutte le debolezze che si possono trovare in ciò che ho scritto a partire dai miei diciannove anni, non l’autoritarismo o il tedio. Questo non mi distingue dai preti e dagli accademici, perfino un artista sarebbe in grado di pronunciarsi sul lavoro con più cognizione di me, circostanza che è per me motivo di grande imbarazzo.

È vero, bevevo, l’ho scritto e lo ribadisco ora, se ho nostalgia della vita è anche perché mi mancano i buoni vini e le buone birre, nessuno creda a qualche pentimento dell’ultimo momento. Ho cercato di prolungare la festa della mia giovinezza per quanto mi era possibile, ogni giorno era l’occasione per un brindisi, anche nei momenti più difficili e solitari.

A chi mi accusa di essermi reso in questo modo innocuo, rispondo con le parole di Voltaire, che era un avveduto nemico delle feste e dell’alcool: Sono stati senza dubbio i tavernieri ad inventare questo numero prodigioso di feste… È in questi giorni d’ozio e sregolatezza che vengono commessi tutti i crimini. Sono le feste a riempire le prigioni e a dar da vivere a sbirri, cancellieri, ufficiali di giustizia penale e boia.  

Non ho mai venduto la mia forza lavoro e non posso biasimare chi per questa ragione voglia farsi un’opinione che mi sia ostile, ma sappiate che non è stato facile, ho pagato con una grande miseria e una solitudine disperata questa mia scelta. La cattiva fama è di poco conforto in certi momenti, quindi non vi mettete sul mio cammino, non sono d’esempio a nessuno. 

Inoltre, devo ammettere che qualche ambizione segreta da burocrate ce l’avevo anch’io, sognavo di pianificare il tempo libero della futura civiltà dei consigli, avevo grandi idee ogni giorno in proposito, una ricchezza che cominciavo ad accumulare con la prima birra la mattina e che bruciavo già completamente all’alba con l’ultimo bicchiere. Non vi avrei solo liberati: vi avrei appassionato.

Eppure, proprio questa mia mancanza di confidenza con il lavoro, anche se per molti compagni qui con me è difficile da accettare, è stata decisiva. E’ a causa dell’ozio che ho compreso più di chiunque altro della mia generazione cosa stesse accadendo fuori dalle fabbriche e nessuno era in una posizione migliore per spiegare perché ogni mattina vi si rientrasse a testa bassa senza considerarlo uno scandalo. 

Non appartenevo a nessuna comunità operosa, tuttavia era dai lavoratori, piuttosto che da intellettuali e creativi, che avrei voluto essere ascoltato. Ma i lavoratori sono stati sempre piuttosto distanti dal nostro punto di vista e talvolta mi sono tormentato per il fatto che la teoria situazionista fosse finita sempre nelle teste sbagliate. Quanta presunzione nel dire che era finita nelle teste di tutti!

Oggi mi rendo conto che non poteva andare diversamente, la nostra teoria non poteva che trovare il suo pubblico tra coloro che meno tengo in considerazione, a parte gli oziosi autentici, che cerco di proteggere in ogni modo per quel che mi è possibile da quaggiù, perché da loro nulla si ottiene e nulla sarà recuperato. Qui ce ne siamo ormai fatti una ragione: la nostra critica dello spettacolo piace più che ad ogni altro ai gauchistes che desiderano dare il loro contributo allo spettacolo della critica.

Questi, subito dopo la mia scomparsa, non hanno più avuto freni negli ambienti radicali e, sempre in bilico tra estremismo e modeste ambizioni quali l’arricchimento personale, la gloria e il successo, si sono dati un gran da fare impiegando la nostra teoria per ottenere riconoscimenti, ruoli di prestigio e danaro da una società che avevo detto chiaramente di disprezzare. E mentre si occupavano di se stessi si preparava per l’avvenire della loro generazione il precariato di massa.

Ho le mie colpe per avergli fornito una teoria che si prestava a tali ambiguità, ma la responsabilità è soprattutto loro, che erano viventi, per non aver saputo o per non aver voluto organizzare le lotte necessarie a ostacolare la definitiva divisione della classe lavoratrice. Sempre più conquistati dall’idea borghese di felicità, tentati di passare clandestinamente nelle fila del nemico per ottenerla, hanno disquisito per lungo tempo di poco plausibili strategie di infiltrazione del campo avverso, chiamate “contaminazione”, “strategia virale”, “cavallo di troia”, “trasversalità” e altre sciocchezze simili, il cui unico scopo era nascondere il loro desiderio di disertare la lotta di classe. 

Quegli anni immediatamente dopo la mia morte, al di là delle apparenze, non hanno generato alcuna critica radicale originale, ho potuto constatare solo un gran eclettismo e qualche curiosa sottigliezza senza conseguenze. Cosa importa che l’intelletto, seppur generale, si precipiti, se il cuore di tutti tarda?

Sono morto e non ho il privilegio della fenice, una mediocre novità supera la più grande delle eccellenze una volta che sono invecchiate, ma se mai dovessi tornare non commetterò gli stessi errori, non permetterò di nuovo che il prodotto della mia esistenza al di fuori del lavoro venga accolto da chi si adopera ogni giorno per incastrare i lavoratori quando devono spendere il loro salario.

Sappiano coloro che hanno saccheggiato il mio pensiero isolandolo dal contesto della lotta per i consigli per introdurlo più facilmente nei milieu accademici, creativi, artistici o mediologici che non sarebbero durati un solo giorno nell’Internazionale Situazionista. Com’era facile unirsi a noi, bastava venirci a cercare nei nostri bistrot, così era altrettanto facile essere sbattuti fuori e sarebbero stati tutti sbattuti fuori.

Nessuno parli di autoritarismo! Ma andiamo! Cosa c’era da spartirsi? Cosa volevate da noi? A coloro cui fu pregato di andarsene abbiamo solo evitato le persecuzioni della polizia e tante seccature inutili per una causa cui non credevano affatto. Eravamo dei perduti e stare con noi significava solo esclusione e marginalità, alla fine in cuor loro tutti ci hanno ringraziato per la nostra intransigenza. Desidero che sia chiaro: sbattendovi fuori vi avremmo fatto un favore.

Ai miei tempi una certa dose di antipatia era ancora un requisito indispensabile dell’intelligenza, oggi invece siete tutti molto preoccupati di non rompere definitivamente con nessuno che vi possa portare un giorno o l’altro dei vantaggi. Dovete sempre far buon viso a cattivo gioco, nelle nuove condizioni che non avete saputo evitare vi è indispensabile per lavorare e così l’essere in comune è stato sostituite dalle pubbliche relazioni.

C’è addirittura chi si è convinto che questo cattivo gioco sia la manifestazione della potenza della cooperazione, ci facciamo delle gran risate quaggiù, c’è del ridicolo nello scambiare questi sorrisi di circostanza che hanno il gusto meschino della peggiore cultura aziendale con la Laetitia dell’etica spinoziana. 

Ripensando a coloro che sono stati allontanati ho dei rimorsi solo per il mio caro Ivain, di cui avrei dovuto capire prima che non si sarebbe mai integrato e che non ce l’avrebbe fatta da solo. Non ho mai smesso di pensare a lui e alle nostre esplorazioni alla ricerca del viso ideale di Ivich.  Gli devo molto, sono amareggiato, non volevo farne il mio Vaché.  

Voglio inoltre che si sappia che coloro mi hanno fatto davvero arrabbiare sono i cosiddetti Luther Blissett. Mi sono infuriato perché erano eccellenti e c’erano tutte le premesse perché si distinguessero da coloro che coltivavano aspirazioni meschine. Questi signori quando avevano vent’anni cercavano il passaggio a nord-ovest della vera vita esattamente come noi e mi ricordavano molto le mie avventure giovanili, ma appena si sono accorti che il recupero aveva i suoi benefici hanno pensato bene di trovare la loro strada pugnalandomi alle spalle subito dopo il mio suicidio.

Anche io, con i miei compagni, per iniziare siamo andati da Isidore Isou e dai suoi deliranti e sciocchi amici a urlargli in faccia che erano morti. Ciò nondimeno non trovate vi sia una certa differenza di stile tra il dire a un uomo vivo che è morto e dire a un uomo morto che è morto davvero? Evidentemente anche se ormai ero un cadavere nella tomba il mio spettro turbava ancora i sonni di molti.

Ero tanto affascinato dai loro primi passi che inizialmente ho pensato che questi giovani si stessero comportando in tal modo per evitare che venissi recuperato. Per un po’sono stato a guardare, pensavo addirittura che si dicessero anti-situazionisti perché un tempo tra di noi c’era stato chi aveva proposto che tutti gli autentici situazionisti si dichiarassero pubblicamente in questo modo. Ma mi sbagliavo.

Avevo sorvolato fino ad allora sulla colpevole mancanza tra le loro letture di un autore così importante per la gioventù come Hegel, poi ho cominciato seriamente a preoccuparmi nel momento in cui questi ragazzi presero a richiamarsi esplicitamente alla tradizione del pragmatismo. Infine venne il momento in cui affermarono che il recupero non solo non era un problema, ma, al contrario, il loro obbiettivo. In quell’esatto momento ho sentito davvero la pugnalata. Ormai era chiaro, si erano organizzati per metter su consapevolmente una strategia ciurmatrice che gli garantisse il recupero nelle forme più vantaggiose.

Come è potuto accadere? È evidente ormai che chi usava il nome Luther Blissett appartenesse a una generazione cresciuta in cattività che non ha avuto la fortuna di essere educata dalla strada e per questo del tutto priva di quei principi che avevano aiutato noi, un tempo, a distinguere il falso dal vero. Così dopo aver passato le loro tormentate adolescenze a leggere testi situazionisti e a interrogarsi sul come riconoscere la vita autentica se nel mondo realmente rovesciato il vero è un momento del falso, hanno creduto di poter divenire uomini senza risolvere davvero l’enigma.

La loro soluzione illusoria era semplicemente sostenere che l’enigma non esistesse, che porsi la questione di ciò che è falso e di ciò che è vero fosse solo una sgradevole perdita di tempo. In realtà la questione era per loro tanto perniciosa che finiva per inibirli, se non addirittura paralizzarli. Ogni inganno, per quanto allegro, che non miri a capovolgere i valori del vostro mondo finisce per rigenerarli. Non si distingue in alcun modo dalla menzogna più volgare se non produce un desengaño. L’enigma può essere ignorato, ma resta insoluto. Il beneficio di una tale incoscienza è una limitata e temporanea capacità di azione, ma, presto o tardi, l’enigma si ripresenterà e la prossima volta non vi sarà più l’alibi della giovinezza.  

Giacché si erano presentati al mondo come mentitori nessuno capiva se ciò che dicevano andasse preso sul serio o fosse facezia. Così molti hanno finito per pensare che la loro presa di distanze da ciò che mi riguardava fosse una simulazione e si sono persuasi che fossero proprio loro i miei eredi. La vicenda va molto ridimensionata, si trattava solo di uno sciocco caso psicanalitico, soltanto che diversamente da coloro che ammazzano il padre questi giovani che erano molto più spregiudicati hanno preso a gridare ai quattro venti “Lui non è nostro padre!” dopo che mi ero ammazzato da solo.

Mi dispiace, ma so benissimo come avete iniziato e vostra madre è pure una puttana. Questo lo avete fatto non perché non vi foste mai arrampicati sulle mie spalle, perché lo avete fatto eccome, ma solo perché non volevate fratelli maggiori scomodi e ottusi e avreste voluto essere generati dalla madonna. Io non voglio essere il padre dei custodi della mia teoria più di quanto voglia essere vostro padre, quindi sono io ora che vi ripudio. Io sono vicino ai poveri, agli ubriachi e agli oziosi, non certo a quelli come te, ex Luther Blissett e ora tocca a me dirlo: io come vedi sono ancora qui e tu sei morto davvero.

Hai avuto il tuo periodo eroico ed è stato il momento della diffusione spontanea e senza governo del nome multiplo. Periodo che è durato poco ma che almeno ha insegnato ai tuoi contemporanei che non ci vuole molto per divenire un individuo e che ci vogliono, piuttosto, molti per divenire chiunque. Chi usava il nome multiplo in questa fase senza controllo non era uno perché il suo gesto valeva per molti e questi molti erano un folk hero, una intensa singularidad, per cifrare e farsi equivalente di un’intera generazione.

Hai presto abbandonato questo eroismo e con esso ogni epica, pian piano sei diventato solo un personaggio dello spettacolo abbastanza celebre destinato a scomparire ai primi sbadigli del pubblico. Sei durato giusto il tempo per riuscire a raccomandare qualche tua “personalità” all’interno della cittadella della cultura. Per questo sei esistito? Per introdurre degli individui, senza nome ma numerati come dei prigionieri, nel mondo dell’arte d’avanguardia o della cultura alta? Zed è morto ma con il suo chopper non volevi andare poi così lontano. 

Ti dicevi marxista ma hai parlato troppo poco del lavoro. Hai parlato invece molto del pop. Non sarò io a dirti che hai sbagliato, ma c’è modo e modo di maneggiare la cultura. Nelle mani giuste può divenire addirittura benzina. Ma tu la maneggiavi da mediologo piuttosto che da marxista e ti meravigli che i mediologi di oggi siano tanto vicini alle tue considerazioni di allora. Te lo dico da persona ravveduta, il pop sta solo nelle teste delle persone e un marxista non parte da ciò che sta nelle teste. Le merci destinate ad occupare le teste verranno consumate dai lavoratori solo per farsi un’idea sbagliata su se stessi. 

Non si può pretendere che la società che combatti ti offra l’arma con cui vincerla, è un’ingenuità tale e quale a quegli studenti che richiedono dall’istruzione pubblica strumenti per farsi una coscienza critica. Perché dovrebbe fornirglieli? Lo scopo dello spettacolo è generare il consenso di massa e non essere messo in dubbio da tanti secchioni insolenti. 

La società mercantile-spettacolare con il pop vi sta offrendo solo mezzi di sopravvivenza, vi nega la possibilità della vita autentica, unico luogo di formazione della ragione e della critica, unico luogo dove la parola non è rovesciata e anziché allontanarvi vi avvicina, e vi forza ad avere in comune solo una vita immaginaria. Quando ogni immagine di questa vita illusoria che avete condiviso sarà sfumata non vi rimarrà che una nostalgia tanto insopportabile quanto la vita autentica che non avete vissuto. La sensazione anche per quelli più scafati, che si sono abbandonati più degli altri a passioni fraudolente, è quella di essersi persi qualcosa. Questa sensazione non mente affatto. 

Non ci vuole molto per comprendere che la vostra generazione si è messa a ballare su ritmi spezzati e sincopati perché i tempi del lavoro stavano diventando spezzati e sincopati. Questi ritmi erano dovuti meno ai nuovi software con cui si realizzavano i pezzi musicali che non all’introduzione della flessibilità nel lavoro. Ha disciplinato alle nuove condizioni del lavoro i vostri corpi e il vostro spirito più questa musica che mille trattati sull’uomo flessibile. Ed è chiaro che la tua generazione si sia stancata di questi ritmi quando ha cominciato a chiedere una vita tranquilla e un posto fisso lasciandoli ai più giovani che si affacciano solo ora al mercato del lavoro. 

Devo essere onesto, qui non mi è permessa malizia, qualche volta Luther Blissett hai parlato del lavoro, in qualche rara occasione, come nella “Dichiarazione dei diritti di Luther Blissett” ad esempio, unendoti a chi reclamava un reddito di cittadinanza. Ma la tua generazione ha presto abbandonato questa apprezzabile rivendicazione prudente e riformista preferendo chiedere invece a gran voce e alle volte addirittura con rivolte di strada un lavoro a tempo indeterminato che permettesse di farsi una famiglia tradizionale e una casetta di proprietà. 

Avete preferito essere sudditi che cittadini, avete accettato il patto sociale senza nessuna contropartita. La società mercantile-spettacolare vi ha spinti con le minacce e il manganello a rinunciare ai vostri diritti naturali e voi terrorizzati vi avete rinunciato a testa bassa senza pretendere alcuna adeguata ricompensa per questa immensa perdita. Il patto regge perché c’è il pop a non farvi ragionare mai abbastanza sul fatto che vi hanno rapinato di ciò che avevate di più prezioso fin dalla nascita. 

Così, una volta abbandonate le vostre ambizioni di successo per rivendicare un lavoro e un luogo per tutta la vita, una volta che vi siete rassegnati alla sopravvivenza, niente più ritmi spezzati e sincopati. È davvero penoso constatare come tutte le vostre lotte oggi siano reazionarie, come chiediate tutto ciò che noi rifiutavamo. Il capitalismo contemporaneo vi sta vessando senza scrupoli perché sta raschiando il fondo del barile ed è in una crisi da cui difficilmente ne uscirà senza le ossa rotte, avrebbe bisogno di un’energica scossa rivoluzionaria, ma voi proprio non ne volete sapere e piuttosto preferite chiedere nostalgicamente un capitalismo che non c’è più, il buon capitalismo di una volta. 

Forse avete qualche ragione: perché fargli un favore? Perché risolvergli il problema? Inoltre conosciamo bene le regole dei mutamenti storici ed è del tutto naturale che laddove vi sia una restaurazione di principi superati ogni mobilitazione si limiti a salvare le conquiste precedenti e si riduca a difesa dell’esistente. Ed è chiaro che la difesa di un mondo che disprezzate quanto e più dei vostri nemici alla lunga vi possa condurre ad atteggiamenti rinunciatari e nichilisti. 

Ma la rinuncia e il nichilismo non vi fanno vedere lontano. Dovreste cominciare a prepararvi al momento ormai vicino in cui il capitalismo sarà d’ostacolo a se stesso e dovrà negare le proprie regole una volta per sempre, perché se non sarete voi a cogliere l’occasione e a prendere in mano il destino del mondo lo faranno le mafie. E gli uomini al potere saranno gli stessi corrotti di sempre senza però più il freno del terrore dei lumi. 

La crisi che attraversate è solo un annuncio. Quando il fallimento dell’economia politica, l’impossibilità cioè di sviluppare ulteriormente le forze produttive senza rinunciare ai rapporti di produzione fin qui sperimentati, salderà il rigetto da parte del pianeta di questo modello con la ragione dei lavoratori si aprirà allora l’ultima contesa il cui esito sarà un giudizio inappellabile sull’uomo. 

La società mercantile-spettacolare non potrà mai fare a meno di produrre nocività poiché essa non conosce altra via per porvi rimedio se non convertendole in un’ulteriore occasione di affari e corruzione. La causa della malattia del pianeta vorrebbe esserne anche la cura, per questo la via sarà presto sbarrata, ogni uomo e ogni donna di questo pianeta si troveranno allora a dover fare una scelta: o la borsa o la vita.  

Non si tratta di guardare all’avvenire con pessimismo o ottimismo. I pessimisti sanno individuare molto bene il problema, ma non sono in grado di formulare una soluzione. Gli ottimisti hanno sempre delle soluzioni, ma non sono in grado di individuare il problema. Di modo che il vostro mondo è diviso tra chi conosce il problema e chi offre soluzioni che mai lo risolveranno.

La teoria critica procede a colpi di pessimismo ma manca di coraggio e non osa immaginare la società a venire. Chi vi governa procede a colpi di ottimismo, non tanto perché spera in questo modo di avere la ventura di individuare alla radice il problema, ma perché è il modo migliore perché non lo individuino i lavoratori. Quanto a loro, procedono secondo ragione, non ascoltano chi non ha soluzioni e non sono inclini a rivoltarsi se non scorgono il vero problema. La ragione dei lavoratori arriverà da sé al problema e avrà l’audacia della soluzione.  

Una delle più grandi perfidie dello spettacolo è di mutare i vostri sogni più intimi in incubi che vi tengano in ostaggio e vi rendano inoffensivi. Celato dietro i vostri più mediocri sogni di successo c’era il sogno del tutto naturale e condivisibile del non lavoro. Così mentre voi attraversavate allegramente lo spettacolo con l’ingenua presunzione di volgerlo a vostro vantaggio e di poterlo pilotare, coltivando segretamente il sogno di non dover mai lavorare, esso si richiudeva su di voi, serrava ogni via d’uscita e vi preparava l’incubo del precariato.

Che lungimiranza! Lo dico a scanso di equivoci: tutto il mio raccolto è andato aux tavernes et aux filles. Quanto al mio pensiero, per ciò che nella vostra epoca possa valere, l’ho lasciato all’umanità intera, quindi a tutti e a nessuno. Certamente anche a voi, ex Luther Blissett che tanto mi avete deluso. 

Quando questi signori erano ragazzi iniziarono invitando tutti i cultural workers a diventare Luther Blissett, ad usare lo stesso nome per firmare le azioni più disparate. “Diventa anche tu Luther Blissett” o “Chiunque può essere Luther Blissett” propagandavano, dicevano di non essere l’ennesimo movimento politico, culturale o artistico, dichiaravano di voler creare un nuovo mito di lotta che avrebbe preso forme imponderabili, che si trattava solo dell’uso di un nome pop da parte di persone che probabilmente non si sarebbero mai conosciute tra loro e che pertanto nessuno avrebbe potuto governare un tale fenomeno. Così è stato forse all’inizio, ma poi subito dopo coloro che avevano lanciato l’invito a contribuire a questa mitologia hanno cominciato a disquisire su falsi Blisset (quelli con una “t” ), veri Blissett (quelli con due “t”),  Blissettt infiltrati (quelli con tre “t”). 

Poiché non bastava, costoro hanno pensato bene di far seguire al nome multiplo la parola “Project”. Questo “progetto” si proponeva di guidare il fenomeno in vista di una sua capitalizzazione. Chiunque però poteva per emulazione firmarsi “Luther Blissett Project” e allora questi Luther Blissett sono corsi ai ripari inventando “l’anello interno”, quello degli originari, quello che distingueva gli esoterici dagli essoterici. Da qui nascono tutti i problemi del multiplo e le sue contraddizioni: ma non era una “pop star aperta”?

Giacché la contraddizione tra dire che era un fenomeno aperto e metter su un comitato centrale che lo controllasse era evidente, cosa hanno fatto? Hanno messo su comunque un comitato centrale e si sono giustificati sostenendo che fosse l’unico comitato centrale il cui obbiettivo era perdere il comando. Ma non è andata così, quel comitato ancora esiste informalmente e continua ancor’oggi a vigilare sulla storicizzazione del multiplo.  

Non è stato un tradimento dell’aspirazione a una situazione in cui non vi fosse alcuna responsabilità individuale che li animava alle origini? Inoltre, quando decisero per il suicidio, che doveva essere solo il suicidio del comitato centrale e non del nome multi-uso, non sono mancati i dissidenti, quelli che li accusavano di tradire il loro stesso “progetto”. In fact, il “progetto” pur se rappresentava già un voltafaccia, aveva ancora un suo codice etico minimo: mantenere l’anonimato dei suoi aderenti. Quando alcune identità individuali sono state scoperte, tuttavia, invece di farsi da parte si sono messe al centro delle vicende.

Alle critiche dei dissidenti, questi Luther Blissett messi con le spalle al muro risposero che non volevano essere dei precari senza avvenire. Più che comprensibile, ma avrebbero dovuto lasciare il comando del comitato centrale e non farne un’impresa letteraria o artistica. C’era chi glielo diceva: non solo non state lasciando il comando ma state facendo in modo che Luther Blissett venga ricondotto a un gruppo specifico e in particolar modo a coloro che si erano cimentati con un romanzo di un certo successo. 

C’erano altre individualità che avevano avuto un ruolo decisivo nella diffusione del nome multi-uso nella fase senza governo. Il loro contribuito alla crescita della reputazione del multiplo nei primi passi fu tale che erano nella posizione di poter evitare o almeno contestare la formazione di un comitato centrale. Quando lo dovevano fare non l’hanno fatto e quando l’hanno fatto era troppo tardi. Queste individualità hanno preferito divenire parte di quel comitato, finendo per condividere completamente l’idea che l’uso del multiple name potesse essere capitalizzato presto o tardi individualmente o in piccoli gruppi. 

Ma il gioco era diventato assai più noioso di prima, così alcune di queste individualità decisero di distinguersi e avere un progetto esclusivo. Un progetto poco significativo che probabilmente doveva essere una nuova beffa a nome dello stesso Luther Blissett Project e che ben presto, giacché l’aveva momentaneamente superato in visibilità, hanno scelto di trasformare nella loro identità fittizia. Costoro che avevano una certa influenza nel comitato centrale hanno ritenuto di lasciar correre, commettendo il grave errore di credere che fosse poco importante e una questione solo di principio far valere le ragioni dei dissidenti, ovvero di difendere l’idea originaria della open pop star.

All’annuncio del suicidio il “progetto” dichiarava che sarebbero stati solo i veterani a lasciare l’uso del nome cedendolo così alle nuove generazioni. Ma non è andata in questo modo. In seguito la diffusione del nome ha avuto una stanchezza improvvisa, l’idea che si erano fatti tutti ormai era che Luther Blissett coincidesse interamente con il “Luther Blissett Project” e questo interamente con gli autori del romanzo. Suicidatosi il Luther Blissett Project, non esisteva più, dunque, tantomeno Luther Blissett, il folk hero.

Non si è trattato ad essere precisi di un suicidio: il comitato centrale ha ucciso Luther Blissett. Lo ha ucciso rendendo impossibile, di fatto, la sua diffusione dopo lo scioglimento del Luther Blissett Project e, allo stesso tempo, la sua capitalizzazione a chi non faceva parte dell’anello interno. Avete criticato duramente la mia intransigenza, io espellevo chi non era all’altezza dell’Internazionale Situazionista è vero, ma in realtà li liberavo perché li mettevo nella condizione di fare ciò che realmente desideravano ed era senz’altro una pratica più rispettabile che prenderli per i fondelli. 

Altri Luther Blissett hanno provato nel momento del suicidio a confondere le acque dichiarando che non era mai esistito alcun “Luther Blissett Project”, che lo stesso Luther Blissett Project era una beffa, che esisteva solo il folk hero. Meglio troppo tardi che mai. Tuttavia questo era forse vero solo per questi ex Luther Blissett poiché avevano usato il nome soprattutto nella fase senza governo.  Inoltre costoro dopo averla dichiarata non si sono mai adoperati per sostenere fino in fondo questa posizione e hanno finito con l’essere ignorati.

Il “progetto”, invece, esisteva, ed ormai è evidente che la sua beffa più riuscita è stata quella ai danni di tutte quei giovani che avevano creduto alla storia della pop star aperta, che erano rimasti incantati dai discorsi sul primato del pop sulle vecchie tradizioni politiche e dai tanti slogan del tipo “Quando sento la parola ‘arte’ metto mano alla spranga”.  Di fatto, al contrario, chi era nel “progetto” ambisce oggi o nel migliore dei casi è già diventato, un esponente della cultura alta o dell’arte.

Coloro che si sono sentiti traditi però non meritano alcuna indulgenza, gli aderenti al comitato centrale avevano sempre detto quale fosse il loro vero scopo, certo tra mille ambiguità, com’erano d’altronde ambigue le ambizioni di tutti i gauchistes di quell’epoca, dove anche il più impegnato degli attivisti ammetteva con candore che il proprio obbiettivo fosse “diventare borghese”. “Diventa anche tu Luther Blissett” ha finito per significare proprio questo e il cavillo a volerlo leggere c’era fin dall’inizio: ora usiamo tutti lo stesso nome e poi ognuno capitalizza per sé.

Tuttavia, giacché lo spettacolo aveva lavorato a sabotare il folk hero fin da subito, costruendo lentamente una versione dei fatti che ne appagasse l’avidità di cronaca vera questa capitalizzazione è risultata impossibile ai più. Lo spettacolo aveva avuto buon gioco in queste circostanze nel ricondurre l’intero fenomeno a degli individui, alla loro attività, alla loro città. Si era così ristretto il cerchio e solo questi individui avrebbero potuto sfruttare pienamente l’intero bacino di cooperazione sociale che aveva prodotto Luther Blissett. Costoro non si sono lasciati sfuggire l’occasione di ottenere ciò che il loro talento individuale di artisti o scrittori non avrebbe potuto offrirgli.   

I tempi sono molto cambiati da quando sei morto Luther Blissett, la tua era un’epoca priva di eventi autentici, si poteva disquisire di “lavoro immateriale” o di “cognitariato” perché non c’era da temere alcun evento che mettesse alla prova la speculazione intellettuale. Oggi i lavoratori devono usare il cervello per l’arcaico bisogno di riempire lo stomaco vuoto e non dovete più temere di morire di noia, perché siete tornati a soffrire la fame.

Quando si prende a diffidare delle parole perché saziano la testa ma non lo stomaco è più difficile essere raggirati e un’epoca è destinata al risveglio.

Travail mes lubres sentemens,

Esguisez comme une pelote.

M’ouvrit plus que tous le commens

D’Averroÿs sur Aristote.

Chi vi governa preferisce essere temuto che amato, ma vuole essere temuto senza essere disprezzato perché il disprezzo della moltitudine è l’inizio della sua rovina. Il governo che vuole essere amato alla prima necessità che gli imponga un’infamia crolla, invece il governo temuto può amministrare con infamia apertamente e ogni atto eccezionale di liberalità gli conquisterà la benevolenza del popolo. Perché si apprezza più il beneficio che venga da chi ti ha sempre vessato che da chi si è compromesso a tal punto che da lui addirittura lo si pretenda. Così la società mercantile-spettacolare è allo stesso tempo un regno della paura perché il rischio generalizzato assicura a chi governa di essere temuto e uno spettacolo di liberalità di modo che la paura non muti mai in aperto disprezzo.

I grandi dispregiatori sono gli uomini più temuti da chi governa e poiché sono sempre uomini eccellenti la società mercantile-spettacolare tenta di recuperarli in ogni modo e dove possibile di volgerli alla sua causa. Qualora essi si ostinino e rifiutino le lusinghe del potere vengono messi nelle condizioni di non poter nuocere ed è ostacolata in ogni modo la divulgazione del loro pensiero. Gli uni finiranno per dover sostenere anche il disprezzo di sé, gli altri avranno il privilegio dell’eccellenza ma finiranno isolati o in miseria. In entrambi i casi il grande dispregiatore avrà sempre orrore del popolo da un lato perché non può sopportare chi manca di libero giudizio dall’altro perché ne sonda l’oscura potenza.

Il grande dispregiatore teme più il popolo che non chi governa e qualora decidesse di vincere la propria paura e volgersi alla sua causa non gli sarà comunque mai gradita la sua compagnia e finirà con l’essere sospetto. Inoltre i grandi dispregiatori sono rari e sebbene il loro pensiero sia contagioso non possono nulla senza la moltitudine che li tiene in sospetto. Ma il disprezzo è un affetto triste e a parità di condizioni il desiderio che nasce da esso è vinto dal desiderio che nasce dalla felicità. Da che ne viene che per chi vuole combattere la società mercantile-spettacolare sempre è buona cosa ascoltare i grandi dispregiatori ma anche prudente, per non essere contagiati dalla loro tristezza, non seguirli ché tanto non avete da conquistare alcun imperio se non quello sulle vostre passioni.

Finché v’è lo spettacolo lo scontro frontale è impossibile e poiché lo spettacolo è la propaganda di un’idea borghese di felicità voi dovrete opporvi con un’idea di felicità superiore a quella. Non si tratta di giudicare infelice il nemico e ridere di lui ché il nemico finirà per ridere di voi ed è stoltezza di tutti quando la metà del mondo ride dell’altra metà. Per une propagande intensive a favore di un’idea superiore di felicità dovrete esserne capaci, ovvero saper costruire delle situazioni nelle quali poterla esperire, poiché se chi vi governa teme il disprezzo del popolo, teme ancor più una felicità di cui non sia causa. Non vi si potrà specchiare senza vedersi vecchio e superato e questo sarebbe motivo di debolezza e inizio di declino, se preferirà invece ingannarsi questa sarà cagione di rovina improvvisa.

Una felicità superiore viene per il bere e non per l’aver bevuto il nettare, per il gustare e non per l’aver gustato l’ambrosia, per l’aver continuo affetto al cibo e alla bevanda e non con l’essere sazi e senza desiderio di quelli. Non ascoltate chi vi rimprovera di perder tempo dietro a cose basse e vi richiama ad alte imprese. Ognuno può trattenersi con dignità nel godere dell’ordinario perché solo a partire da questo ci si innalza davvero alle alte imprese.

L’aver continuo affetto tollera il mondo delle merci fintantoché non è limitato dallo stesso principio economico. Insistere a questo punto nell’aver continuo affetto delle merci significa soltanto piegare questa passione naturale ad affetti tristi quali l’invidia, la contemplazione rassegnata dell’altrui fortuna e la commiserazione di sé. Qualora non s’intenda rinunciare alla felicità allora l’aver continuo affetto oltrepassa il mondo delle merci e si rovescia, divenendo ricerca del sublime al di qua e contro di esso, divenendo forza generatrice in grado di anticipare su ogni idea di bellezza lo spettacolo e di far esperire quel tanto di vita autentica e libertà, laddove nessuno le vedeva, da lasciar prefigurare con il vostro solo esempio un nuovo mondo. Chi riconquisterà questa superiore idea di felicità avrà sempre un vantaggio sullo spettacolo ché a parità di punti vince chi ha la mano.

Lo spettacolo per quanto vi risulti insopportabile non va rifiutato, ma usato come utile esercizio spirituale per affinare il gusto e rendere il vostro palato difficile da accontentare poiché se chi vi governa teme il disprezzo, lo spettacolo teme più di ogni altra cosa un gusto educato all’eccellenza.

Non pensiate che convenga con coloro che negli anni Novanta scambiavano la critica dell’identità con l’infiacchimento dello spirito, cui davano nomi altisonanti come “desogettivizzazione”. Siete stati “desoggettivizzati” tutti, era necessario per disciplinarvi meglio alle nuove condizioni del lavoro, a rendervi, come sostengono i pensatori della vostra epoca, liquidi. La reazione a questa mollezza dello spirito è il comportamento identitario. Ma l’identità che molti invocano non è che un prodotto della loro immaginazione, un argine altrettanto fiacco al divenire delle umane cose destinato ad essere travolto e spazzato via.

Essere liquidi ha i suoi vantaggi, si può divenire un’onda, ma anche i suoi svantaggi, si rischia di assumere la forma di ciò che vi può contenere. Perché i vostri amori non siano corrotti dalla precarietà e la presenza di spirito non sia continuamente da questa messa a repentaglio dovrete tornare nelle strade e cambiare alcuni aspetti materiali della vostra esistenza, tutto ciò sarà una manifestazione del vivente imponderabile per quelli nelle mie condizioni.

Un merito Blissett che ti sei preso è di aver spazzato via la vecchia tradizione ormai tribalizzata del marxismo-leninismo, le vecchie forme di controinformazione ormai inadeguate ai vostri tempi, di aver aggiornato le forme della lotta. A fare tutto ciò ci avevano provato i pensatori radicali postmoderni senza riuscirvi, ma tu dici di esserci riuscito. In questo senso potresti essere considerato l’ultimo pensatore postmoderno.

Ma non ti darò questa soddisfazione. In realtà il fatto che appaia che sia stato tu è solo un effetto di un punto di vista non materialista della storia. Non sei tu ad aver messo in crisi le vecchie forme di lotta ma la crisi delle vecchie forme di lotta ad aver creato te.

Quando una certa classe vive dello sfruttamento di un’altra che si trova più in basso di essa e quando ha raggiunto il completo dominio della società, ebbene per questa classe andare avanti significa abbassarsi, è per questo che la cultura alta ha ceduto il primato al pop. Per gli artisti non c’è molta scelta allora. Se si accordassero con l’ambiente culturale che li circonda ne diventerebbero gli interpreti e allora le loro opere non si distinguerebbero in alcun modo dalla merce più banale se non per il valore economico. Se non si accordassero non avrebbero comunque i mezzi per trasformare quell’ambiente e la loro unica possibilità sarebbe divenire oscuri ed enigmatici per rivolgersi ad un pubblico di élite.

Gli uni sono tenuti in sospetto perché è considerato un oltraggio all’intelligenza e una forma di imperdonabile ingiustizia che a un individuo che produce delle opere che si distinguono appena dal prodotto del lavoro vengano attribuiti onori, privilegi e ricchezze che al lavoratore non sono attribuiti neanche in sogno. I travagli e gli stenti della critica d’arte, inoltre, nel cercare di rinnovare in continuazione un discorso che giustifichi lo stesso diritto all’esistenza di queste opere in modalità non comprensibili a un individuo scolarizzato viene vissuta come una frode intellettuale e aggrava ancor di più il sospetto che circonda questi artisti.

Quando poi la critica abbandona le speculazioni metafisiche e si decide a parlare con il linguaggio del volgo le cose vanno di male in peggio e queste opere non vengono più solo tenute in sospetto ma viste come un vero e proprio inganno ai propri danni. Quando un lavoratore dice: “Lo saprei fare anch’io”, solo un balordo può scambiare questa elementare verità con una forma di puerile ingenuità. E’ del tutto normale che laddove l’opera non si distingua dal prodotto del lavoro, il lavoratore saprebbe misurarsi con questa arte come e meglio di questi artisti che non hanno mai lavorato davvero. Quando ciò che fa la differenza è disvelato, il metodo è tanto semplice e richiede così poco talento, che chiunque potrebbe cimentarvisi con profitto se si trovasse nello stesso contesto privilegiato dell’artista.

Quanto agli altri, si tratta spesso di artisti che non riescono ancora a liberarsi dagli spettri delle avanguardie. Isou era, si sa, un detestabile megalomane, ma se sono stato un lettrista anch’io è perché condividevamo qualcosa. È stato lo stesso percorso della poesia moderna ad aver ispirato ad entrambi comportamenti inaccettabili verso l’arte del nostro tempo. Che si fosse passati da una fase “amplique” dell’arte a una “cisélante” che corrispondeva ad una progressiva distruzione di tutte le forme espressive precedenti era ovvio a tutti. Isou aveva portato un po’ più avanti la distruzione della poesia riducendola alla “lettera” e noi avevamo terminato l’opera prendendo alla lettera la poesia della distruzione.

L’arte che va oltre se stessa è parimenti un ritorno dell’uomo in se stesso, un discendere nel proprio petto, con cui l’arte cancella da sé ogni fissa limitazione ad una cerchia determinata di contenuti e di apprensioni, facendo dell’umano la sua nuova cosa sacra. Dopo di noi non era possibile che un uomo nuovo o il niente. Gli artisti per viltà hanno preferito il niente. E non gli sono mancati a giustificazione critici che hanno voluto ridurre la negazione del contenuto precedente che aveva caratterizzato ogni fase della poesia moderna ad una dimensione originaria: il niente stesso.

Ma era piuttosto scontato che dopo che i poeti avevano fatto una tale piazza pulita ci fosse chi prendesse atto che non c’era più niente se non il niente. Lo spirito si stava affrancando da tutte le catene e poteva ambire, avendo dalla sua la verità pratica, alla realizzazione finalmente di un’arte libera, ma gli artisti volendo perdere questa opportunità hanno finito con il perdere tutto. Quello della poesia moderna era certamente un sabotaggio che non poteva non produrre degli effetti anche in altri campi, ad esempio sulla filosofia, ma la filosofia era come sempre in ritardo.

Per chi avesse voluto continuare su questa strada non c’erano che due opzioni. Fare del niente la propria poetica, ed è accaduto, ma ciò non poteva essere preso che come un capriccio irrilevante per quanto questi artisti si siano sforzati di essere riconosciuti come un episodio importante della cultura alta. O passare alla negazione stessa del niente, che senza prospettive rivoluzionarie, poteva produrre solo un qualcosa che viene dopo. La negazione del niente, spesso confusa con la positività, è un percorso divenuto sempre più oscuro e angusto.

Non si tratta come si dice solitamente della mera ripetizione dei primi audaci gesti di negazione, ma di una claustrofobica dialettica tra il niente e il qualcosa: qualcosa viene negato e rimane il niente, il niente è negato per produrre un qualcosa differente da quello precedente. E così finché rimarrà qualcosa. La ricerca del nuovo non è null’altro e il desiderio creativo è intrappolato in questo vicolo cieco di cui in parte siamo responsabili anche noi. 

I lavoratori considerano questa dialettica come una fonte d’angoscia e si chiedono perché dovrebbero fare questa esperienza visto che già fanno molti sacrifici ogni giorno. La loro presenza di spirito è superiore in questo caso a quella dell’artista perché sanno che dovrebbero essere tutto ed è imbarazzante e avvilente doversi abbassare a questo livello, abbassarsi solo a un qualcosa. Nessuno si abbassa ad apprezzare queste opere a meno che non vi sia costretto dal proprio lavoro o dai propri studi.

Tranne coloro che hanno uno spirito infermo e cercano una consolazione squisita e un mal comune raffinato. Costoro apprezzano ancora quest’arte oscura ed enigmatica, ma sono solo un’élite tanto più infelice quanto più intuiscono il tutto che gli è stato negato. Quanto agli altri artisti che non devono cimentarsi né ad elevare il pop alla cultura alta né a dannarsi l’anima per cercare qualcosa di nuovo, rimane sempre il conforto di essere dei classici o si resuscita per loro qualche corrente superata dell’arte. E spesso quando l’arte è in crisi sono proprio i classici o le improbabili reincarnazioni del passato che vengono chiamati a ristabilire il principio di realtà.

Giacché è imbarazzante per chi governa non comprendere fino in fondo il motivo per cui alcuni individui sono divenuti delle glorie nazionali attraverso delle opere il cui valore nessuna teoria estetica o economica è in grado di giustificare. Giacché è imbarazzante per fondazioni e collezionisti essere nella posizione di poter essere frodati da chi è più furbo che talentuoso. Allora la domanda che si richiede ai saggi è di delucidare una volta per sempre cosa sia arte e cosa no. Ma i risultati sono spesso patetici e tanto più la domanda rimane in sospeso e l’arte diviene un ambito misterioso quanto più ci sono individui che decidono di crederci. Diventare artisti è ormai solo una questione di fede.

La domanda non trova risposta perché è mal posta. Non si dovrebbe chiedere cosa sia arte e cosa no, si dovrebbe partire piuttosto col chiedere che fine abbia fatto la poesia. Che fine ha fatto l’arte assoluta? La poesia è stata soppressa e non dall’Internazionale Situazionista, ma dal mercato. Poiché si tratta dell’arte più spirituale, quella che non ha necessità di esistenza esteriore, quella che offre meno ai sensi, essa non entra facilmente in circolazione nel mondo delle merci.

Si potrebbe pensare che lo spirito si sia liberato del suo mezzo espressivo per eccellenza, la poesia, per realizzarla ovunque, ma non è andata esattamente così. È vero, piuttosto, il contrario. La vostra epoca è sempre più povera di spirito e i sensi pretendono tutto. La merce sazia i sensi e tiene incatenato lo spirito ad affetti tristi. Così la poesia non avendo nulla da offrire ai sensi non si presta al consumo, non sazia, lascia lo spirito pieno di desiderio inappagato. E poiché lo spirito è quasi ovunque incatenato dalla merce e non può aver continuo affetto senza offendere se stesso, ciò che non sazia i sensi, nella vostra epoca, annoia lo spirito stesso. Chi si ostina a fare il poeta in queste circostanze è l’individuo più miserabile che si possa immaginare, colui che ha scelto di annoiare il prossimo e far scappare le donne.    

Oggi, dunque, che l’arte è ovunque tenuta in sospetto sia da chi governa che dalla moltitudine.  Oggi che è difesa unicamente da alcuni capitalisti irresponsabili che vi vedono una forma raffinata di speculazione in cui il ruolo dell’artista geniale è solo quella dell’utile idiota. Oggi che è così scandaloso per gli artisti che gli si richieda di impegnarsi su un fronte o su un altro perché si s’illudono di essere gli interpreti privilegiati della vita. Oggi che è così scandaloso per i moralisti che siano davvero pochi gli artisti che rispondono all’appello dell’impegno sociale e che questi pochi che mordono l’esca siano anche i meno scaltri. Oggi, mai come oggi, che l’arte contemporanea è in crisi perché ha perso a questo modo se stessa e non ha più nulla da offrire allo spirito, un intero settore delle nuove generazioni ha abbandonato la politica per suicidarsi su questa nave che affonda lentamente.

Sia chiaro, ai capitalisti che investono sugli artisti non importa granché se l’arte sia un modo o nell’altro, sono interessati solo far fruttare l’investimento. Se l’opera che appare come un qualcosa di nuovo, come un qualcosa che viene dopo, è preferita alle altre è solo perché ciò è un requisito della logica degli investimenti. E’ la stessa logica dello sviluppo e della crescita, ma la ricerca del nuovo e del dopo è ormai solo un aspetto procedurale che si è subordinato al dispositivo formale della finanza. Finisce per ricalcarne in tutto e per tutto il funzionamento.  

Chi pensa che si richieda il nuovo per un’estetica libertaria della trasgressione condivisa da qualche comunità di capitalisti edonisti non ha capito nulla. I giovani della classe media cui piacerebbe tanto accedere a una tale comunità così raffinata s’ingannano perché quella comunità non esiste da nessuna parte. Di questi tempi oscuri è più facile addirittura trovarsi per caso in uno spettacolo di performance art site specific che in un concerto hardcore punk e tutto ciò è davvero un’offesa alla morale.

L’arte contemporanea è una nave che sta affondando non solo per la crisi finanziaria, ma anche per i colpi che alcuni artisti spregiudicati hanno dato al misterioso discorso sull’arte. Questi artisti che hanno ben capito la situazione cercano di rovesciarla, passando da sfruttati e sfruttatori degli speculatori. Ma non è che se degli artisti si mettono a fare il gioco dei propri padroni ne guadagnano in rispettabilità, semplicemente sono più furbi, ne traggono un vantaggio temporaneo e allo stesso tempo portano un po’ più vicino il momento in cui tutti gli artisti si troveranno davanti a un baratro, loro compresi.  

Luther Blissett è morto davvero perché aveva avvisato tutti, aveva indicato la via del pop e non quella della cultura alta, ma nessuno l’ha seguito sul serio. E questo perché alcune sue personalità hanno pensato bene di diventare artisti per distruggere il sistema dell’arte dall’interno. Solo che hanno avuto tanto successo e tanti di quei riconoscimenti dal sistema che dovevano distruggere che hanno finito per essere mal compresi, e, al contrario di ciò che avrebbero voluto quando hanno iniziato, con il loro esempio, hanno indicato a tutti la direzione sbagliata.

Nella vostra epoca sono in troppi a credersi artisti e creativi e in certi casi si adoperano per esserlo sgomitando, strepitando, calpestando e umiliando il prossimo. Avanzano a forza di colpi bassi continuando a ritenere se stessi degli spiriti preziosi e ricercati. E, invece, c’è tanta affettazione nel loro procedere che anche qualora riuscissero ad ottenere ciò che vogliono saranno considerati sempre degli individui abietti. La mancanza di grazia fa stimare poco ogni talento, per quanto grande esso sia. Vedo, inoltre, tanti volontari dell’arte che offrono il proprio lavoro gratuitamente e, purtroppo per loro, sarà troppo tardi quando si accorgeranno di aver sprecato il loro tempo e il denaro delle loro famiglie dietro ad un sogno sublime di raffinatezza che non potrà mai confortarli del fatto che sono e rimarranno la servitù alle prese con le miche.

Performance, happening, eventi culturali, vernissage non cambiano la vita di nessuno e invece di divertire inchiodano a delle passioni molto inferiori a quelle che ogni uomo e ogni donna dovrebbero pretendere. Luther Blissett tu, proprio tu, che andavi a guastare le feste degli artisti, proprio tu che ti sei preso gioco attraverso il plagio dell’assurdo tentativo di stabilire nell’epoca della riproduzione digitale una distinzione tra l’originale e la copia, proprio tu che hai difeso i vandali e ne hai compreso la poesia, proprio tu che beffavi critici, professori, giornalisti ora difendi questo mondo decadente. Sei passato dall’altra parte della barricata e sono sconcertato che nessuno delle nuove generazioni sia venuto a dirti queste cose, che sia dovuto intervenire io per ribadire che sei morto davvero.

Se le nuove generazioni non te l’hanno mai detto è perché si sono infilate in quella trappola per topi che sono i social network. Questi ragazzi privi di futuro e di ogni conforto spirituale hanno lasciato la strada in balia degli identitari e hanno optato per la rete. Quando prenderanno coscienza che ciò che fanno dire ai loro avatar ha conseguenze inimmaginabili anche sull’avvenire della loro vita reale, quando si accorgeranno che stanno sfidando involontariamente i demoni del controllo sociale, allora probabilmente non gli rimarrà che radicalizzarsi e tornare nelle strade o essere confinati politicamente nei social network.

Tutta la tua generazione, Blissett, compromettendosi con il suo nemico naturale ha fatto perdere alla vostra idea di ribellione ogni parvenza di romanticismo. Sia chiaro il mondo interiore è oggi socializzato ed è divenuto anch’esso un momento del falso, non è più possibile dunque alcun reale romanticismo, ma avete lasciato che una sua parvenza passasse comunque ai giovani identitari.

Questi giovani appaiono come gli unici reduci dell’idealismo e per questo si attirano le simpatie di alcuni settori delle nuove generazioni. La parvenza di romanticismo che li circonda è dovuta al fatto che si atteggiano al disprezzo dello stile di vita borghese in modalità che apertamente tutti rigettano e intimamente nella propria parte più sordida condividono. Ma, poiché non è possibile più alcun romanticismo, tutto ciò nasconde il fatto che questi identitari sono più dei giovani individui terrorizzati dalla vita autentica e dalle sue opportunità di libertà che dei ribelli in grado di sfidare realmente lo status quo.

In fact, nello stesso momento in cui si atteggiano al disprezzo dello stile di vita borghese non sognano la libertà ma un duce che li incateni in delle gerarchie e li faccia sentire degli eletti perché è l’unica forma di riscatto che riescono a immaginare dall’esclusione formale in cui tutti loro versano. Non ci trovano nulla di strano se il mondo è corrotto, “È sempre stato così!”, pensano. Ed è chiaro che chi la pensa a questo modo non potrà mai riscattarsi davvero, non potrà mai elevare il proprio spirito, non cambierà mai nulla in modo rivoluzionario, può solo sperare nella venuta di un uomo perfetto che riporti ordine nel mondo.

Hanno paura della vita autentica perché temono la libertà e le sue conseguenze. Temono i propri desideri e preferiscono qualcosa che li avvinca con le catene e non qualcosa che li liberi. Si rendono conto di non essere in grado di trovarsi una propria regola e se si ribellano è solo perché sperano di essere riportati all’ordine. Se il problema a sinistra è il recupero, a destra è la cooptazione.  Nel migliore dei casi questi ribelli si faranno cooptare in torbide gerarchie più o meno segrete a difesa dello status quo che volevano combattere. La società mercantile-spettacolare si servirà di questi ribelli facendone i cani da guardia dell’ordine borghese, indorandogli la difesa dei padroni con il nome di patria.

Una volta che avranno fatto del loro cuore un infernale abisso di tristezza, invece di aver purificato la società come avrebbero voluto finiranno per dover purificare piuttosto se stessi, abbracciando definitivamente i dogmi della chiesa o l’idea borghese di felicità.

Tranne questi gruppi giovanili, la maggior parte degli uomini identitari hanno finito con il compromettersi platealmente con il potere che li aveva sconfitti e lo hanno fatto a tal punto da diventare i maggiori conformisti in circolazione. Lavorate a costruire una nuova potente mitologia di lotta che spezzi l’odioso luogo comune che vuole che si dica sempre qualcosa di reazionario perché vi possiate sentire conformi e al riparo da ogni rischio.

Blissett tu mi hai accusato anche di aver creato un concetto paralizzante: lo spettacolo. Lo consideravi nocivo per l’azione, una riproposizione del concetto di totalità che creava una preoccupazione esagerata e improduttiva per il recupero. È probabile effettivamente che nel tuo tempo il concetto fosse diventato paralizzante se era diventato un alibi per non fare nulla e scambiare il rifiuto della cultura con il rifiuto di conoscerla. Il rifiuto non ha alcun effetto se non si conosce molto bene ciò che si rifiuta. Non si può rifiutare ciò che non si conosce senza passare per degli imbecilli in qualsiasi discussione.

Ma a te sembra migliore il concetto che si è imposto di “complessità”? Un concetto che vi dice che non ne verrete mai a capo? Che vi permette movimento ma vi paralizza lo spirito e ne frustra il desiderio di conoscenza? Che toglie da sotto i piedi qualsiasi terreno sul quale edificare un progetto per indirizzare il percorso della specie verso esiti che non siano l’autodistruzione e la catastrofe? Un concetto che delega alle chiese, agli economisti e, nel migliore dei casi, alla scienza, di custodire la conoscenza della totalità?

No, Blissett lo spettacolo c’è eccome. Ma il dominio del capitale sulla società approfondendosi si mostra sempre più apertamente per quello che è. In queste circostanze lo spettacolo è necessario, ma non sufficiente. Oggi chiunque è messo davanti alla scelta tra spettacolo e vita autentica, e tutti finiscono per scegliere lo spettacolo.

Lo spettacolo è un prodotto delle società opulente di una volta e la crisi economica del mondo contemporaneo ha rotto l’incantesimo. Se va avanti è solo perché tutti preferiscono che continui ad esserci. È più piacevole vedere le proprie catene adorne di fiori che vederle per quello che sono e la specie è talmente addomesticata che pur potendo vederle per quello che sono è troppo fiacca per scrollarsele di dosso. Tuttavia lo spettacolo è diventato anche una coperta corta e per molti non c’è alcuna scelta. Molti, i precari e i migranti in particolare, spesso si trovano esclusi dallo spettacolo.

L’esclusione dallo spettacolo è come una scomunica, è come l’esclusione dalla vita. Si tratta di una vita immaginaria, ma comunque la vita sociale in cui si riconosce la maggior parte della specie. Tutti quindi pregano di rientrare dentro lo spettacolo e di non rimanerne mai fuori, tutti pregano che nessuno gli svuoti la testa delle proprie illusioni, perché senza quelle illusioni si ha che fare con gli spettri della catastrofe e non con l’immaginario della liberazione. Nell’epoca dello spettacolo interiorizzato il rovescio sembra valere il dritto e c’era da aspettarselo.

Il fatto è che una vita che si è interamente formata sullo spettacolo non può passare alla vita autentica senza passaggi intermedi. E’ una dura disintossicazione ed è prudente, per evitare traumi e crisi d’astinenza, procedere con cautela attraverso le ombre perché nulla è contrario all’ombra, né la tenebra né la luce. Ma lo capisco, anche se tutto ciò mi rattrista: per ora è meglio avere illusioni che non averne, se non averne è più paralizzante dello spettacolo stesso.

Tuttavia non disperate, il capitalismo non ha futuro e dinnanzi alla fame non c’è alcuna specie di spettacolo che tenga. Abbiate sempre presenti le parole del vostro nolano: “nulla si fa absolutamente da un pacifico principio”.  Le circostanze sono tali che gli eventi storici vi recluteranno in un modo o nell’altro per liberarvi una volta per sempre da quest’epoca di sfruttamento. E se ne uscirà rimettendo tutto, eccetto noi stessi, al solo potere dei consigli. La morale della fine non è ancora stabilita.

 

Guy The Bore, Ottobre 2008