In questo post ospitiamo la risposta di Sleena, ufologo radicale, alla lettera di Cobol Pongide pubblicata sul suo blog (la puoi leggere qui). Riteniamo vi siano degli spunti interessanti anche per il dibattito che luoghisingolari.net cerca di innescare da tempo sulla produzione di spazi altri e luoghi singolari e abbiamo deciso di proporvela. Sia Cobol che Sleena, nella seconda metà degli anni '90 erano nel gruppo che diede vita a una rivista, Men in Red, che si occupava di temi come il terraforming, l'urbanistica ufomorfica, la psicogeografia, l'esoplanetarismo, il pensiero post-terrestre, l'indagine del capitale-terra e del capitale interplanetario e di altri ambiti di prefigurazione ludica della produzione dello spazio, qui sulla terra come su altri pianeti. L'approccio socio-spaziale di questo gruppo era molto evoluto, la loro filosofia si basava sull'osservazione delle dinamiche locali e globali a partire da un punto di vista radicalmente esteriore al pianeta terra, dall'esosfera, un punto di vista non antropocentrico, o come sostenevano loro stessi all'epoca: non terrestre-centrico. Buona lettura!

heidegger senza la metafora spaziale non decolla

Caro Cobol,

nella “lettera sull’’umanismo’” Heidegger ha scritto: “Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo” . Ci sono due osservazioni da fare sulla posizione di Heidegger sull’essere umano: 1) la metafora spaziale (“casa”, “dimora”, “abitare”) spiega la verità del linguaggio e non il contrario 2) la metafora spaziale oggi non è più sufficiente e tutto il sistema costruito da Heidegger e lui stesso possono andare tranquillamente a vivere in campagna.

Non so risponderti con certezza, se non dicendoti che i post-umanisti sul solco di Heidegger cercano ancora la soluzione al livello del linguaggio, della comunicazione, della scienza dei segni, e sbagliano. L’errore sta nel fatto che l’essere umano ha perso la capacità intuitiva di abitare e l’ha persa qui sulla terra: “casa”, “dimora” e “abitare” non possono essere utilizzati implicitamente per spiegare qualcos’altro, sono divenuti termini in questione.

Per lasciare la terra avremmo senz’altro bisogno di nuovi modi di usare il linguaggio che non siano le tassonomie del capitalismo biopolitico, ma non possiamo accedere subito a questi nuovi modi perché, lo ripeto, sappiamo sempre meno abitare il nostro pianeta. Il pianeta terra è divenuto un posto molto inospitale e pressoché inabitabile e non poteva che andare così. La soluzione è ancora il nomadismo o la sottrazione? Non so se g sia essenziale, ma contrariamente a quanto si pensa, il nomadismo non è in opposizione all’abitare, è una sua diversa declinazione: perdere la capacità intuitiva di abitare significa, al contempo, perdere un po’ anche la capacità intuitiva di viaggiare.

Quanto alla sottrazione, forse! Ma per sottrarci occorrerebbe inventare nuovi linguaggi e come già detto è oggi impossibile. Tuttavia potremmo inventare nuovi modi di produrre lo spazio, questo sì. Dunque, come vedi, siamo di nuovo al punto di partenza: sarebbe intelligente cominciare a progettare, prefigurare, immaginare, occupare, restituire all’ambito dei beni comuni, qui sulla terra gli spazi che vorremmo abitare sugli altri pianeti. Non il terraforming, ma il suo rovescio: la trasformazione di porzioni della terra in luoghi di pianeti altri. Sarebbe un buon modo per ripristinare la capacità della specie di abitare, alcuni di noi si terrebbero in allenamento per la cosmonautica e avremmo finalmente le basi spaziali per inventare un nuovo linguaggio, meno approssimativo, identitario e differenzialista di quello che abbiamo oggi. Non so dare un nome a questo rovescio del terraforming, ma in questo sei sempre stato molto più bravo tu.   

un abbraccio,

a presto,

Sleena

 p.s. un caro saluto anche a Emiglino